Roberto Berutti, 53 anni, piemontese, è il membro italiano nel gabinetto del Commissario europeo all’agricoltura, il polacco Janusz Wojciechowski. Berutti il settore agroalimentare e il mondo rurale li conosce bene, non solo per la sua formazione – prima diplomato in agraria poi laureato in economia alla Bocconi –, ma anche per aver ricoperto negli ultimi cinque anni l’incarico di esperto agricolo regionale alla Rappresentanza dell’Italia presso l’Unione europea.
Terra e Vita lo ha intervistato a Bruxelles per sondare qual è la logica che sorregge la strategia Farm to Fork, declinazione del Green Deal europeo nel settore agroalimentare, appena pubblicata insieme a quella sulla biodiversità, dalla Commissione europea.
Ma anche per capire se si può parlare di Pac post emergenza Covid 19 in chiave di riconoscimento del ruolo degli agricoltori e dell’agricoltura nella società europea.
Cosa rappresentano le strategie Farm to Fork e biodiversità?
In questo momento rappresentano delle ipotesi di percorsi, non sono decisioni, né regolamenti, né tantomeno direttive: nulla è vincolante. I documenti, seppur fondamentali, restano delle strategie. Personalmente ritengo che si sia creata un’eccessiva aspettativa su questi documenti come se fossero già legge. Siamo invece solo all’inizio del percorso, non alla fine, e si andrà verso una regolamentazione sulla base delle idee inserite in termine di prospettiva in questi due documenti.
È una premessa doverosa altrimenti si rischia di portare in una direzione sbagliata gli osservatori, gli operatori, coloro che sono coinvolti nel settore agroalimentare e in tutta la filiera agroalimentare.
I tempi di questi percorsi?
Ci sono prospettive temporali che vanno da qui a 10 anni, a 15 anni e quant’altro. Non ci sono scadenze immediate. Le prime scadenze sono entro il 2030.
Al momento non sembra esserci coerenza tra la proposta di riforma della Pac sul tavolo con i piani tracciati con la Farm to Fork e gli obiettivi della biodiversità. Come farete?
Essendo la Pac uno strumento legislativo che ha un periodo di validità di minimo 7 anni, con la nuova programmazione sicuramente si arriva a ridosso delle prime scadenze proposte dalle nuove strategie. Di conseguenza, si cercherà nell’ambito della politica agricola comune di fornire gli strumenti necessari agli agricoltori europei e a tutto il settore per poter raggiungere, o quantomeno avvicinarsi, a quelli che sono gli obiettivi tratteggiati dai progetti Farm to Fork e biodiversità. Naturalmente questo dipenderà dal risultato del negoziato istituzionale con Parlamento europeo e Consiglio Ue. È una pietra che si lancia nello stagno: vedremo i cerchi dove portano.
La nuova "rivoluzione verde" come si pone rispetto all’etichetta d’origine e a quella nutrizionale, fondamentali per la salvaguardia del Made in Italy?
Per l’etichettatura nutrizionale l’azione fondamentalmente della Commissione europea è di armonizzarla in tutta Europa e renderla obbligatoria. L’intenzione è quella di dare indicazioni al consumatore su una serie di elementi utili per permettere di scegliere in maniera corretta il cibo dallo scaffale. Si tratta di fare conoscere il valore nutrizionale del cibo offerto sotto il profilo di grassi, sale e zucchero e quant’altro, senza però arrivare ai livelli del ‘semaforo’ inglese, in cui si davano indicazioni troppo tranchant.
Bisogna cercare di rimanere equilibrati, senza dire ciò che è buono o cattivo, ma fornendo informazioni e mettendo il consumatore nelle condizioni di decidere. È un equilibrio difficile da trovare ma è fondamentale farlo. Basti pensare alle indicazioni geografiche che hanno un protocollo, un processo stabilito e certificato affinché rientrino nella definizione di quella IG specifica. All’etichettatura nutrizionale va aggiunta quella di origine per conoscere la provenienza del prodotto.
È stato realizzato anche un rapporto sull’etichettatura nutrizionale che non rientra nella strategia Farm to Fork. Di cosa si tratta?
Il rapporto non è altro che una raccolta dei risultati prodotti da una serie di sperimentazioni fatte nei singoli Stati membri sull’etichettatura nutrizionale. Il testo cerca di sedare le valutazioni soggettive dei diversi valutatori. Ma tengo a ribadire che tutti questi documenti non hanno nessun tipo di vincolo giuridico, legislativo o legale, sono elementi che hanno la chiara intenzione di indirizzare opinione pubblica, operatori e legislatori verso alcune direzioni. Siamo a inizio percorso e vorrei dire a tutti gli interessati che ci sono le condizioni e le tempistiche per poter dare voce alle loro ragioni. Di tutto ciò dovrà farsi carico il legislatore e i co-legislatori per cercare di raccogliere il più possibile il polso verde dell’Europa.
L’obiettivo di ridurre del 50% l’uso dei prodotti fitosanitari entro il 2030 è realizzabile?
Lasciamo da parte percentuali e tempistica. Guardiamo alle tendenze che mi paiono la cosa più importante. È evidente la tendenza a ridurre l’uso della chimica, così come una maggiore preservazione dell’ambiente. Su questo fronte in Europa alcuni Paesi hanno già target e standard virtuosi, altri molto meno. Quindi nella strategia ci sono numeri e date che sono previste per poter mettere dei momenti di verifica e di controllo.
Quindi le nuove biotecnologie sono benvenute?
Ricerca e innovazione, utilizzo di nuove forme di tecniche di coltivazione, prodotti innovativi: sono fondamentali. Gli strumenti innovativi derivati dalla ricerca e dall’innovazione in agricoltura saranno oggetto di uno sforzo economico importante da parte della Commissione europea, per contribuire in maniera consistente a questa svolta. La biotecnologia sostenibile non ogm è benvenuta e siamo totalmente aperti a queste nuove ricerche e tecniche di approfondimento scientifico e a tutto ciò che produrranno. Sono sicuro che saranno foriere di novità sia in termini di produzione più accurata per un migliore adattamento alle condizioni climatico-ambientali delle varie coltivazioni, sia di salubrità del prodotto finale e di resistenza a parassiti e infestanti.
Quali saranno i benefici dalla strategia verde per il mondo rurale?
L’attenzione da parte del Commissario all’agricoltura e del suo gabinetto verso le realtà rurali è massima. Siamo convinti dell’importanza di valorizzare queste realtà, fino alle comunità più piccole e remote, dando connessioni digitali adeguate che consentano loro di essere meno isolati e rendendole partecipi alle iniziative più svariate, dalla filiera corta all’agriturismo alla ristrutturazione o mantenimento dei vecchi borghi, fino al presidio e alla tutela del territorio in modo da prevenire catastrofi naturali. Secondo noi il profilo più ‘verde’ dell’Europa passerà anche e soprattutto da una nuova dimensione rurale, più innovativa e attrattiva non solo per i giovani che ci vivono o vorrebbero viverci.
Il Commissario agricolo Wojciechowski ha annunciato 26,5 miliardi di euro (a prezzi correnti) supplementari per la Pac e il mondo rurale per i prossimi sette anni?
Bisogna dire che questi 26,5 miliardi non tengono conto dei finanziamenti indiretti che verranno dalla ricerca e innovazione.
Quello che ritengo rilevante è il riconoscimento che hanno ottenuto il settore agricolo e la filiera agroalimentare per il ruolo avuto durante l’emergenza del coronavirus, riuscendo a garantire ai cittadini europei la fornitura di prodotti freschi e salutari, che hanno permesso di superare la crisi in maniera egregia. A questo si è aggiunta l’opera di persuasione del commissario Wojciechowski nel collegio della Commissione europea. Prima dell’emergenza del coronavirus il comparto non era cosi reputato e valorizzato, al punto che si pensava di tagliare una serie di provvidenze. Questa ritrovata attenzione nei confronti del settore – nell’ottica della green transition e digital transition – fa ben sperare per i futuri passaggi che ci saranno anche dal punto di vista finanziario ed economico.
Quali interventi urgenti state vagliando per i comparti in crisi?
Siamo in un momento di aggiustamento dopo la prima dimostrazione di flessibilità nei confronti di primo e secondo pilastro e delle Ocm. Abbiamo cercato di rendere meno burocratico possibile l’uso delle risorse a disposizione, cercando di tamponare le emergenze più impellenti. Ora stiamo cercando di capire ulteriori esigenze.
Stiamo valutando anche elementi di ritorno sul funzionamento o meno delle azioni già in vigore. Ad esempio, avevamo previsto un contributo all’ammasso per l’agnello che non sta funzionando, soldi che non verranno spesi e verranno riutilizzati in altri ambiti. C’è grande attenzione al settore del vino, ma anche a ortofrutta e florovivaismo. Così come, in ambito zootecnico, al comparto del vitello e all’avicoltura.
Quindi ci si può attendere dall’Europa più finanziamenti per prossimi sette anni, rispetto a quelli già prospettati?
Tengo a precisare che, se i soldi sono importanti, lo sono ancora di più i progetti. Altrimenti si rischia di non spenderli o di spenderli male. Lo ha dimostrato proprio questa proposta sul Quadro finanziario europeo 2021-2027. Se i progetti sono rilevanti per un settore che lo merita, nessuno ti nega i soldi. Questi arrivano. Vorrei che si scardinasse questa provinciale attitudine – e vale per tutti gli Stati membri – a vedere il singolo euro in più o in meno: serve invece una visione più olistica dei progetti.
In conclusione, come vede il percorso che ci attende e il modello di attività agricola a cui mira la Commissione europea per il futuro?
Siamo in quella fase in cui si lavora ancora per uscire dall’emergenza. Poi, subito dopo la "riparazione", seguirà la fase della ripartenza. Infine, la fase di rilancio con nuovi obiettivi. Quanto alle attività agricole, dovendo secondo noi preservare qualità e salubrità del prodotto, non possono essere industrializzate in maniera intensiva.
Per questo ritorno a un più adeguato equilibrio tra sfruttamento intensivo e preservazione di ambiente, salute e benessere umano e animale, ci sarà un sostegno economico dell’Ue. Tutto questo fa parte dell’European Green Deal, che sarà finanziato, sostenuto e agevolato.