Servono programmazione e aggregazione per ridare slancio e creare prospettive certe per il futuro del comparto dell’uva da tavola. E, per delineare le forme opportune per programmare e aggregare, la Commissione uva da tavola (Cut), a un anno dalla sua costituzione, ha convocato i soci per dare vita agli “Stati generali dell’uva da tavola”.
Dai quali è emerso con chiarezza, come ha evidenziato il presidente della Cut, Massimiliano Del Core, «che la costituzione del Distretto agroalimentare di qualità dell’uva da tavola rappresenta, oggi, la vera sfida della filiera. Solo esso potrà adottare gli strumenti adeguati – aggregazione, innovazione e promozione – per assicurare prospettive certe al comparto».
La Cut, Associazione nazionale di filiera dell’uva da tavola
La Cut è l’Associazione nazionale di filiera dell’uva da tavola, ha introdotto Del Core. «Essa è un organismo di rappresentanza verticale della filiera, nato dal territorio per interpretare le esigenze particolari del comparto italiano dell’uva da tavola, e si ispira alle altre importanti associazioni internazionali di riferimento per il sistema dell’uva da tavola nel mondo. Ne fanno parte tutti gli anelli della filiera: vivai, produttori, operatori commerciali, Op, tecnici e aziende che operano nell’industria dell’uva da tavola italiana.
La Cut crea energie positive fra tutti gli attori della filiera, la seconda per importanza nell’export agroalimentare italiano, per reddito, valore e volumi, dopo la filiera delle mele. E lo fa affinché gli attori della filiera perseguano obiettivi comuni e possano programmare e sviluppare insieme le attività strategiche per la competitività e la crescita del comparto italiano dell’uva da tavola, in modo che torni leader a livello mondiale. La Cut si occupa inoltre di creare vantaggi alle imprese associate, proponendo piccoli servizi e convenzioni per lo svolgimento della loro attività».
Il Distretto agroalimentare di qualità dell’uva da tavola
La vera attuale sfida della filiera, ha sostenuto Del Core, è la costituzione del Distretto agroalimentare di qualità dell’uva da tavola.
«Solo il Distretto potrà adottare gli strumenti adeguati – aggregazione, innovazione e promozione – per assicurare prospettive certe al comparto. Se da un lato potrà essere il mezzo attraverso cui intercettare nuovi fondi per lo sviluppo, dall’altro testerà le capacità produttive e commerciali dell’intero comparto.
Esso infatti dovrà dimostrare di essere in grado di continuare a produrre rispettando l’ambiente e mettendo a sistema tutte le novità che la tecnologia, l’innovazione, la biologia e la scienza offrono per recuperare competitività. La Cut ha avviato l’iter per la costituzione del Distretto agroalimentare di qualità dell’uva da tavola. Per la Cut questo passo rappresenta, infatti, la chiave di volta per recuperare competitività sui mercati, italiano ed estero».
Produzione e consumo molto concentrati
La produzione dell’uva da tavola italiana è molto concentrata, con 25.000 ettari in Puglia, 19.000 in Sicilia e 3.000 in altre regioni, soprattutto in Basilicata. E anche in Sicilia e in Puglia essa è presente non dovunque, ma in specifiche aree molto vocate.
«Tale alto livello di concentrazione – ha sottolineato Del Core – è il chiaro segnale che si tratta di un distretto produttivo già esistente nella realtà, anche se ancora non istituzionalizzato. Bisogna perciò che ne prendiamo coscienza e agiamo di conseguenza, noi produttori pugliesi insieme con i colleghi siciliani e lucani.
Se la produzione è molto concentrata, lo è altrettanto il consumo. L’offerta nazionale, secondo i dati Ismea del 2020, è destinata per il 42% al mercato domestico nazionale e per il 40% a quello estero. Per l’uva da tavola italiana il mercato principale è senza dubbio l’Unione europea, alla quale bisogna aggiungere anche Svizzera e Regno Unito: quello estero è in sostanza un mercato unico, segno che è il riferimento di un distretto produttivo e commerciale già esistente nei fatti».
Il mercato europeo e i suoi trend evolutivi
Ebbene, ha aggiunto Del Core, «conoscendo le nostre potenzialità produttive e commerciali e i nostri mercati, sicuramente possiamo intraprendere un percorso alla cui base devono esserci la programmazione e l’aggregazione. Basta considerare che, nel 2019, l’80% dell’uva da tavola prodotta in Italia era ancora con semi, e solo il 20% era apirena. Nel 2020 la produzione di uve apirene è arrivata al 30%, poiché sono giunti in produzione numerosi impianti di uve seedless, seguendo l’andamento europeo dei consumi: l’offerta italiana si è fatta trovare impreparata di fronte alla richiesta del mercato, ma adesso sta recuperando il tempo perduto.
Il mercato europeo è però caratterizzato anche da altri elementi distintivi: è un mercato saturo e quindi può determinare perdite di valore per chi lo frequenta; vive la grande pressione della concorrenza, in primo luogo Spagna e Grecia; vede la crescita della richiesta di uva da tavola ottenuta da produzione biologica o integrata, a residuo zero e così via; infine chiede sempre più prodotto confezionato, soprattutto attraverso la grande distribuzione organizzata, tendenza andata di pari passo con l’aumento della domanda di uve seedless sul mercato europeo e della quale i confezionatori di uva da tavola devono tenere conto».
Alla ricerca di nuovi mercati
Oggi però il mercato europeo, sotto la pressione dell’offerta di nuovi Paesi produttori, sta diventando sempre più stretto. «È perciò vitale – ha concluso Del Core – individuare per l’uva da tavola italiana nuovi sbocchi commerciali, dai Paesi arabi, alla Cina, dal Sud Africa ai Paesi del Sud-Est asiatico. Dobbiamo puntare sulla qualità delle nostre uve per avere ragione della concorrenza, ma con la filiera unita. È in questa direzione che sta lavorando la Cut».