Fioriscono già gli amenti di nocciolo.
Un anticipo legato alle stranezze del clima ma che può essere un segno di speranza, l’evidenza dell’avvicinarsi della fine dell’inverno e di un cambio di vento per la nostra agricoltura dopo due anni di sofferenze legate alla pandemia (sempre che il climate change non faccia ancora da guastafeste, come con le gelate dell’anno scorso, ad esempio).
Il nocciolo sta infatti diventando un simbolo di rinascita. In mezzo alla crisi della frutticoltura è l’unica coltura in espansione, grazie anche all’influsso positivo degli accordi di filiera.
Tra questi “Noccioleti italiani”, il progetto di verticalizzazione di Loacker, entra nel vivo proprio nel 2022 con i primi conferimenti da parte dei partner produttori.
Anteprima di Terra e Vita 5/2022
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L’obiettivo della condivisione
«Si tratta in effetti– spiega Wanda Hager, direttore del settore agrario della società – di un’iniziativa di condivisione partita nel 2014 da una visione della famiglia Loacker che prima ha investito sui terreni di proprietà in Toscana (vedi riquadro) e poi ha coinvolto partner esterni, centri di ricerca e produttori privati. I primi contratti sono stati firmati nel 2016, gli impianti realizzati nell’anno seguente e proprio nel 2022 sono previsti i primi conferimenti».
Con quali obiettivi?
La valorizzazione dell’origine e la tutela della sostenibilità ambientale e sociale – risponde Hager – sono da quasi cento anni elementi fondamentali dell’immagine del nostro brand. Quello della frutta secca e della nocciola in particolare è un comparto che gode di una domanda mondiale in decisa crescita, un trend sostenuto da aspettative di tipo salutistico che è destinato a proseguire e che mette in evidenza la necessità di strutturare l’offerta. Il progetto “Noccioleti italiani” è stato sviluppato in due date emblematiche.
Il 2014 è stato un anno di crisi per il nocciolo, innanzitutto di approvvigionamenti.
Da sempre Loacker utilizza materia prima di origine nazionale, mettendolo in evidenza nel labelling delle confezioni: non possiamo rassegnarci a subire l’impatto di eventi climatici avversi ricorrendo all’import turco.
Il 2016 è stato invece l’anno del devastante terremoto che ha colpito prima Amatrice e poi ampie zone del Centro Italia. Eventi che hanno determinato l’abbandono di numerose aree agricole interne a cui, con il nocciolo, possiamo offrire concrete chance di riscatto.
Nodi tecnici e commerciali
Quali sono i punti di forza del contratto?
Il nocciolo è una specie autoctona, presente lungo tutta la penisola, ma coltivata solo in alcuni areali specializzati e ciò è legato soprattutto a due problematiche.
La prima è commerciale: il nocciolo impiega non meno di cinque anni dall’impianto per produrre i primi frutti e non meno di otto per la piena produzione. Per affrontare l’investimento bisogna poter contare su un partner affidabile.
Per questo abbiamo strutturato un’iniziativa di filiera che si basa su un contratto di fornitura di durata minima di 15 anni, con garanzia di ritiro totale del prodotto, prezzo garantito e premio di qualità in base alla resa e alle caratteristiche qualitative. Il prezzo è stabilito in base alla media delle quotazioni delle borse merci (di Viterbo per la Tonda Romana e di Salerno per la Giffoni) nel periodo della raccolta, integrato con il 50% dell’eventuale aumento di prezzo registrato nei 12 mesi seguenti (nel caso invece di un calo dei prezzi, vale la quotazione originaria).
La firma sul contratto di filiera, grazie ad un accordo con la Banca Intesa-San Paolo, vale come garanzia per un finanziamento caratterizzato da un piano di ammortamento di 12 anni e tassi bassi. In più, in Toscana e Umbria, le aziende che aderiscono possono contare sui contributi connessi ai progetti di sviluppo rurale (Misura 16) a cui Loacker aderisce.
E il secondo motivo?
È squisitamente tecnico. Teniamo a mantenere un rapporto diretto con i nostri partner, anche per favorire la crescita delle competenze agronomiche necessarie per una gestione sostenibile di questa coltura. Tanto che il contratto non è strutturato in forma collettiva ma rivolto in maniera individuale ad ogni produttore che si impegni a coltivare almeno tre ettari di nocciolo.
A quel punto ne accompagniamo la crescita con una serie di servizi che partono dall’analisi del terreno e l’ispezione del campo per studiarne localizzazione, esposizione e disponibilità idriche e fornire così le corrette indicazioni agronomiche riguardo alle varietà da impiegare, il sesto d’impianto, la forma di allevamento, ecc. Il protocollo agronomico messo a punto con le Università partner prevede di migliorare l’impatto ambientale facendo leva su microirrigazione e digitalizzazione per abbassare water e carbon footprint, ricorso a concimi fogliari biologici e nessun intervento erbicida, grazie anche alla possibilità di utilizzare un portinnesto non pollonifero che stiamo diffondendo grazie alla collaborazione di alcuni vivai.
Una soluzione che può scongiurare le reazioni di chi contesta l’impatto ambientale e territoriale di questa coltura.
Il nocciolo è una delle colture più sostenibili, necessita di un numero molto minore di interventi rispetto ad esempio alla vite o alle pomacee, ma occorre affrontare in maniera razionale problematiche emergenti come quella della cimice asiatica, in diffusione da Nord verso Sud.
Le prove allestite all’azienda sperimentale Cà Tron assieme all’Università di Padova ci consentono di affermare che ogni intervento deve essere calibrato in relazione all’effettiva presenza dell’insetto, da monitorare attraverso frappage. Per l’adesione al protocollo tecnico i produttori possono contare sul confronto costante con i nostri agronomi e su strumenti digitali come l’app CropIn, facilmente consultabile su smartphone, che indica tra l’altro, in maniera georeferenziata, le previsioni sull’epoca di raccolta per ogni particella e per ogni varietà, per realizzare l’obiettivo del completo tracciamento dal campo al prodotto finale (la crema dei wafer).
Non si butta via niente
Gli scarti di lavorazione della nocciola vengono utilizzati come biomassa per la generazione di energia termica o per lo sviluppo di nutraceutical, mentre dai residui da potatura vengono creati compost da impiegare come ammendanti migliorando la carbon footprint della coltura.
Prima c’è però la fase di post-raccolta, come è organizzata?
Il contratto non prevede alcun obbligo di dotarsi di essiccatoi: le macchine per la raccolta, che deve essere tempestiva e frazionata in più epoche, vengono condivise tra i produttori attraverso alcune formule di sharing e abbiamo definito una rete di hub regionali dove poter consegnare il prodotto ancora fresco e “sporco”.
Qui verrà eseguita la prima lavorazione, con la pulizia ed essiccazione. Il successivo taglio evidenzierà l’eventuale presenza di marcio occulto e cimiciato e la vera resa allo sgusciato. È in via di ultimazione una linea di sgusciatura realizzata nel Lazio. Il prodotto dei diversi hub verrà concentrato qui anche per realizzare un progetto di piena economia circolare attraverso la valorizzazione dei gusci per la produzione di energia termica e della cuticola del seme per riutilizzarne fibre e proteine in ambito nutraceutical.
La tostatura finale per la realizzazione dei nostri semilavorati viene poi effettuata nello stabilimento di lavorazione in Alto Adige.
Un vero progetto di sostenibilità a 360°
Il nocciolo è una coltura generosa: cerchiamo di utilizzarne tutte le componenti, ma soprattutto di valorizzare gli sforzi di tutti i partner. Il progetto “Noccioleti italiani” è strategico per Loacker: permette di garantire la totale tracciabilità del prodotto, dal campo al consumatore finale, ma soprattutto di essere coerenti con l’impegno di applicare e promuovere un’economia inclusiva e sostenibile, uno sforzo avvalorato dall’adesione al Global Compact delle Nazioni Unite, la più importante iniziativa a livello mondiale a sostegno di una gestione d’impresa responsabile.
Obiettivo mille ettari
Qualità, origine italiana e sostenibilità. Tre elementi che fanno la differenza per la filiera corilicola.
Tre obiettivi che hanno spinto Loacker a intraprendere il progetto “Noccioleti italiani”, prima investendo su una superficie di 240 ettari con le due tenute di proprietà: Corte Migliorina e Collelungo, in provincia di Grosseto (comuni di Orbetello e Roccastrada).
E poi coinvolgendo anche altri produttori, prima in Toscana con l’attivazione, attraverso la misura 16 del Psr 2014-2020 di un Progetto integrato di filiera, e poi in altre regioni come Veneto, Umbria, alto Lazio e Marche con l’obiettivo di raggiungere ulteriori mille ettari.
«Una localizzazione – spiega Wanda Hager – giustificata dalla necessità di svilupparci attorno agli hot spot dei centri di lavorazione aziendale di Auna di Sotto (Bz) e del nuovo centro di sgusciatura che sta nascendo in provincia di Viterbo».
Un impegno di tracciabilità e sostenibilità che non riguarda solo il nocciolo ma anche altre materie prime come il latte alpino lavorato nel centro di produzione “Dolomites Milk”, le bacche di vaniglia del progetto “Vaniglia Bourbon dal Madagascar” e il cacao ottenuto in Costa d’Avorio ed Ecuador grazie al “Sustainable Cocoa Farming Program”.
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