Dopo aver assistito alle alte temperature e ai problemi irrigui che hanno segnato la campagna mais 2022, non sono pochi gli agronomi che temono che anche quest’anno il climate change finisca per rendere la vita difficile ai maiscoltori. Ma il docente dell’Università di Torino Amedeo Reyneri Di Lagnasco, uno dei maggiori esperti italiani della coltura, non si dichiara pessimista.
Professor Reyneri, diversi segnali lasciano presagire che anche nel 2023 avremo mesi estremamente siccitosi e caldi com’è avvenuto nel 2022. Di fronte a questa probabilità, può dirsi ancora conveniente per gli agricoltori italiani progettare di seminare, oltre ad altre colture, anche il mais?
Le previsioni a lunga scadenza sulle precipitazioni sono troppo incerte per fornire un attendibile quadro meteorologico. Il semestre estivo (aprile-settembre) potrebbe anche rivelarsi più piovoso della media degli ultimi decenni. Viceversa per quanto riguarda le temperature la tendenza consolidata in atto evidenzia un progressivo aumento. Tuttavia questo non significa che il 2023 sarà più caldo del 2022, ma la media delle temperature sarà probabilmente più alta della stessa media del decennio 2010-2020. Se questo è uno scenario possibile, allora ritengo che il mais abbia tutte le carte in regola per essere coltivato.
Perché?
Il suo adattamento alle alte temperature è elevato. Il problema è l’acqua, intesa considerando assieme le tre classiche componenti della questione: le riserve idriche del suolo, le precipitazioni durante il ciclo colturale, l’irrigazione. Nel 2022 sono mancate in larga misura le prime due voci e di conseguenza anche gli apporti irrigui sono stati limitati; ma non abbiamo elementi per dire che la situazione del 2023 si ripeta.
In ogni caso, come si potrebbe anticipare il periodo colturale del mais da granella in modo da evitare almeno le ultime settimane dell’estate? Quando seminare, quale classe Fao scegliere?
L’anticipo del ciclo colturale a partire dalle semine è un elemento fondamentale delle buone pratiche colturali. Le semine tempestive o anticipate collocate a marzo, anche nella prima e nella seconda decade, sono possibili, ma vanno sostenute con concimazioni fosfo-azotate localizzate alla semina per aiutare la pianta a superare i freddi della prima parte della primavera. L’anticipo della semina si traduce in un anticipo della fioritura, premessa per evitare che la fase critica della fioritura cada in un periodo molto caldo con conseguenti limiti di fertilità della spiga. In altri termini la formazione del naso all’apice della spiga se non ad una vera e propria sterilità diffusa. Evidentemente la scelta di ibridi più precoci non può che accentuare l’anticipo della fioritura aumentando le probabilità di avvenire in una fase di minor stress idrico e termico.
In termini operativi?
In termini operativi è possibile seguire questo consiglio: se dopo un inverno ordinariamente piovoso si sono ricostituite le riserve idriche ma se si prevedono difficoltà a gestire lo stress idrico estivo, allora è buona regola scendere di una classe di precocità; se invece durante l’inverno non si sono ricostituite le riserve in modo sufficiente, allora occorre non solo scendere di una classe ma anche ridurre di 1 pianta/m2 l’investimento, oppure introdurre decisamente un ibrido molto precoce. A tale proposito conviene ricordare che negli ultimi anni gli ibridi precoci hanno ridotto sensibilmente la differenza produttiva con quelli a ciclo pieno e che possono fornire risultati di assoluto interesse anche nelle prime semine. Aggiungiamo che l’esperienza dell’anno passato ha permesso di individuare bene gli ibridi delle diverse classi con maggiore tolleranza allo stress termico e idrico. I tecnici delle case sementiere saranno in grado di guidare bene la scelta.
Quali lavorazioni del terreno sarebbero più opportune per realizzare questo tipo di anticipo?
Le interazioni tra le lavorazioni e le caratteristiche del terreno sono troppo forti per trarre delle indicazioni generali. Un esempio: l’aratura consente di aumentare l’accumulo di riserve idriche nel periodo invernale nei terreni fini, ma nei terreni più sciolti questo non è rilevante. Tuttavia il suolo arato è esposto a maggiori perdite per evaporazione e nel caso di scarse precipitazioni nel periodo tra l’aratura e la semina questo è un elemento ovviamente negativo. Sintetizzerei però l’argomento con un consiglio: il mais cresce e produce se l’approfondimento delle radici è corretto e pertanto le lavorazioni superficiali che in certi terreni e con definite modalità di esecuzione ne limitano lo sviluppo son da evitare soprattutto in previsione di scarse precipitazioni. In terreni di medio impasto o sciolti lo striptill, cioè la lavorazione di media profondità ma limitata alla fila, è un buon compromesso.
Quali dotazioni irrigue dovrebbero essere comunque disponibili?
Convertire o modificare il sistema irriguo aziendale non è cosa né facile né sempre risolvibile in un breve periodo. Tuttavia è opportuno ricordare che ogni azienda deve tendere a predisporsi in vista di uno scenario diverso e dove lo stress idrico sarà più frequente e acuto. La strada ovviamente è quella di aumentare l’efficienza irrigua quando possibile programmando il passaggio dai sistemi tradizionali a scorrimento ai sistemi a pioggia, meglio se con ranger e pivot, oppure a sistemi basati sulla microirrigazione.
Aumentare l’efficienza irrigua…
Questa trasformazione, che si può definire epocale in alcune aree dove lo scorrimento è il sistema tradizionale se non l’unico diffuso, richiede da un lato sensibili investimenti, e su tale punto occorre senza indugio valutare quanto verrà proposto nelle azioni strutturali e di miglioramento del Psp, dall’altro di valutare e agire in concerto con i gestori delle reti irrigue per disporre di turni più appropriati. In altri termini: meno volumi a fronte di maggiore frequenza.
Realizzando questo tipo di anticipazione del ciclo colturale, come cambierebbero i problemi fitosanitari? Ci sarebbero vantaggi su questo per il coltivatore?
L’anticipo delle semine e più in generale dei cicli espone la pianta di mais a un certo cambiamento della gerarchia dei problemi fitosanitari. Aumentano i rischi di danno da elateridi, ma si riducono da un lato quelli da piralide, perché la seconda generazione giunge a maturazione del chicco già avviata, e dall’altro la probabilità di incorrere in danni gravi da diabrotica sull’apparato radicale. Anche per questi motivi assume un rilievo maggiore la protezione del seme e della plantula sia con geoinsetticidi granulari sia con opportuni interventi in concia con l’anticipo del ciclo.
Sappiamo bene che esistono ibridi dedicati alla produzione di granella e ibridi dedicati alla produzione di trinciato. Pur consapevoli di questo, sarebbe praticabile, di fronte a una eventuale recrudescenza di siccità e caldo, l’idea di rinunciare alla produzione di granella per procedere invece alla trinciatura con destinazione silomais, o pastone? Rinunciarvi, intendiamo, come intervento di emergenza dell’ultimo secondo, per evitare di affrontare le ultime settimane critiche.
Il mercato delle sementi nell’ultimo decennio ha sempre più marcatamente offerto ibridi con specifiche attitudini alla produzione di granella e di insilato per il trinciato integrale (silo mais). Alla semina quindi occorre una programmazione definita a seconda della produzione prevista. Spesso nel corso della campagna, ma in modo assai frequente nel corso dell’estate scorsa, si è reso necessario un cambio di destinazione per opportunità commerciali, esigenze della stalla o per una emergenza idrica tale da perdere la produzione. Il cambio di destinazione è sempre possibile anche se non conduce ad un risultato ottimale: gli ibridi da granella presentano una digeribilità dello stocco inferiore e una biomassa minore, ma rimane vero che i fattori più rilevanti rimangono il corretto stadio di raccolta e gli stress sopportati dalla coltura nelle settimane immediatamente precedenti la raccolta.
Concludendo: in sintesi, secondo lei conviene seminare mais questa primavera?
Rispondo subito sì. Anche se non possiamo prevedere né l’andamento meteorologico, né quello del mercato delle commodity e dell’energia, è probabile che l’annata prossima comporti stress meno severi di quella passata, con prezzi ancora piuttosto sostenuti - così leggiamo dai report sull’andamento internazionale di produzione, consumo e stock finali - oltre che con costi energetici meno estremi. Se questo è probabile, allora dalla coltivazione del mais si possono cogliere ottime opportunità purché si investano le risorse opportune per sostenere produzione e qualità, anche inserendosi nelle filiere che più valorizzano la nostra granella.
Gli effetti sulle rese degli stress idrici 2022
Abbiamo chiesto ad Amedeo Reyneri di ricordare brevemente quali siano stati nel 2022 gli effetti degli stress idrici sulle rese del mais, in granella e in trinciato. E quali gli effetti sulla qualità del prodotto raccolto, citando in particolare la presenza di micotossine.
Rese in granella. Com’è ampiamente riconosciuto, ci ha risposto, «la campagna maidicola del 2022 è stata la più problematica degli ultimi decenni. Le rese a seconda degli areali si sono ridotte dal 20 al 50%, la riduzione si è attestata in media sul 35-40%».
Rese in trinciato. Le rese di trinciato invece, ha continuato il docente torinese, «sono più difficili da valutare perché la raccolta spesso è stata necessariamente effettuata a uno stadio colturale anticipato. In molti allevamenti le trincee si sono riempite solo al 50%. I secondi raccolti di mais che hanno potuto essere adeguatamente irrigati sono andati a ruba, spuntando un valore anche circa del doppio rispetto a quello dell’anno precedente. Si rileva nell’attuale campagna un notevole impiego del frumento foraggero e di insilati di triticale per sopperire alla domanda di foraggio coperta tradizionalmente dal trinciato di mais».
Micotossine. La scorsa campagna, ha concluso Reyneri, «ha inoltre ripresentato il problema delle aflatossine. Ormai in diversa misura interessano tutto l’areale, da Udine a Cuneo, tuttavia con livelli di contaminazione molto diversi. Sebbene la riduzione non sia lineare, l’anticipo del ciclo e l’adozione di quelle pratiche che riducono gli stress sono attualmente la soluzione per attuare un‘efficace prevenzione. Ricordiamo ancora che per gli impieghi zootecnici i prodotti basati su ceppi di Aspergillo non tossigeni dimostrano un’elevata efficacia».
Sorgo, un'alternativa non molto all'altezza
Con il docente torinese si è ragionato anche del sorgo come eventuale alternativa al mais. Ossia in quale misura e in quali condizioni aziendali si possa eventualmente pensare di sostituire ettari a mais con ettari a sorgo, dal momento che questa seconda coltura appare forse meno sensibile a stress idrici e caldo. Reyneri ha affrontato la questione evidenziando tre casi.
Sorgo da granella. Il sorgo da granella «rimane una soluzione di ripiego, salvo in quegli areali ad esempio di bassa collina o dove in ogni caso lo stress idrico è presente a causa del suolo e della scarsa capacità di accumulo dell’acqua piovana causata dalla pendenza. In tutte le altre condizioni i mais precoci sono in grado di esprimere valori produttivi uguali o superiori».
Sorgo trinciato. Il sorgo da trinciare e insilare, ha aggiunto, «è una interessante coltura per le rimonte nelle stalle da latte».
Sorgo da erbaio verde. «Invece il sorgo da erbaio verde, dopo le esperienze drammatiche di agosto, deve essere considerato con attenzione e proposto solo in miscugli con miglio o panìco, come da anni suggerisce l’assistenza negli areali più caldi degli Stati Uniti». Nell’agosto scorso, ricordiamo, si sono verificati in Piemonte alcuni casi addirittura di avvelenamento di bovine lasciate a pascolare su campi con residui della raccolta del sorgo, con decine di animali morti entro pochissimo tempo. Sotto accusa la presenza nei residui di sorgo, soprattutto nelle foglie, della durrina, un glicoside cianogenetico che ha effetti tossici per gli animali.