L’agricoltura italiana e - più in generale - il sistema agroalimentare del nostro Paese sono sempre più in difficoltà a produrre le materie prime necessarie a confezionare le eccellenze gastronomiche che tutto il mondo ci invidia e acquista con sempre maggior frequenza: l’export di settore ha di recente superato quota 60 miliardi di euro di fatturato.
Senza mais e grano non si possono fare pasta, Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Prosciutto di Parma e altri alimenti Dop e Igp che contribuiscono per una percentuale rilevantissima a comporre quel fatturato.
Anteprima editoriale Terra e Vita 15/2023
Abbonati e accedi all’edicola digitale
L’età dell’oro della globalizzazione è stata messa in crisi dalla pandemia di Covid-19 e dal conflitto tra Russia e Ucraina. Abbiamo così scoperto i costi di una dipendenza eccessiva da fornitori lontani dai nostri confini. Dalle chiusure alle sanzioni, gli ostacoli al flusso globale delle merci ci hanno penalizzato molto. Dividere su più continenti produzioni fondamentali ha ridotto i costi di produzione, ma ci ha resi più vulnerabili come agricoltori, consumatori e cittadini.
A ciò si aggiunge una produzione cerealicola nazionale che nel 2022 a causa della siccità è stata tra le più scarse di sempre. Sei i miliardi di danni alle colture provocati dalla mancanza di precipitazioni. Ma lo scorso anno è stato anche caratterizzato dal balzo dell’inflazione che ha fatto impennare i costi di produzione. Una conseguenza di questa combinazione di fattori negativi è stato il record di import di mais che per la prima volta ha superato la quota del 60%, mettendo a serio rischio alcune produzioni italiane d’eccellenza.
In questo scenario che vede anche un’importante diminuzione di aziende agricole (tra 2010 e 2020 ne sono sparite circa un terzo, in base ai dati dell’ultimo censimento Istat), è necessario progettare e realizzare un nuovo piano agricolo nazionale. Il nuovo governo ha rinominato il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali come ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste: se le parole hanno un senso, “sovranità alimentare” significa incentivare le colture strategiche per il nostro sistema agroalimentare e difenderle anche da una miope e incomprensibile politica dell’Unione europea, sempre più indirizzata a smantellare le produzioni cerealicole continentali per poi importare grano e mais a volte di qualità non eccelsa, a tutto svantaggio dei consumatori italiani e degli altri 26 Paesi.
Nei giorni scorsi alcuni Paesi dell’Est Europa (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria) hanno chiesto alla Commissione (direttamente alla presidente Ursula von der Leyen) un intervento per ristorare i danni dovuti a un’importazione a basso costo di cereali di produzione ucraina, ottenendo comunque 100 milioni di euro come “indennizzo”, ma vedendosi negare l’introduzione di dazi per rendere più equilibrato il prezzo dei cereali in arrivo da Kiev. Ciò che stiamo vivendo è una distorsione del valore del prodotto e nessuno nega che ci debbano essere forme di aiuto a un popolo che combatte una giusta guerra di difesa, ma tutto ciò non deve essere a scapito dei produttori europei e in particolare italiani.
Mi rivolgo alle organizzazioni del settore primario, alle istituzioni e all’esecutivo, in particolare al ministro Francesco Lollobrigida, affinché sappiano garantire un futuro alle 90.000 aziende (dati Istat) che coltivano mais nel nostro Paese con passione e spirito di sacrificio, per fare agricoltura non solo con le parole, ma anche con i fatti.
di Mario Vigo, presidente Innovagri
Anteprima editoriale Terra e Vita 15/2023