«La difesa digitale, evoluzione della difesa di precisione, si basa su un approccio che utilizza tecnologie digitali e informatiche per ottimizzare la protezione delle colture dagli agenti biotici». «L’integrazione di dati, sensori e dispositivi tecnologici consente di gestire in modo più efficiente i trattamenti».
Un incipit chiaro, lineare ma un po’ banale. Anche perché ricavato interrogando una chatbot, ovvero un programma che elabora risposte utilizzando l’intelligenza artificiale (Ai, da Artificial intelligence). Per il giornalismo, soprattutto per quello tecnico, sembra quindi ancora utile affidarsi all’intelligenza naturale. E per la fitopatologia?
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Speciale Agricoltura di precisione, vantaggi agronomici ed economici
Le aspettative sui Big data
«L’intelligenza artificiale ha un ruolo centrale per accelerare il progresso verso i millennium goals, gli obiettivi dello sviluppo sostenibile».
I grandi gruppi mondiali dell’information technology come Amazon, Google, Ibm, Inflection AI, Meta, Microsoft, OpenAI, Bill & Melinda Gates Foundation ci credono e cercano di convincere i governi dei Paesi tecnologicamente più avanzati (un incontro al vertice su questo tema si è tenuto lo scorso settembre a New York presso le Nazioni Unite).
Sistemi a confronto
Per la difesa sostenibile questo è però vero solo in parte. «In un recente lavoro sperimentale – spiega Roberto Confalonieri dell’Università di Milano – abbiamo confrontato diversi sistemi di monitoraggio e allerta del rischio di infezione da brusone del riso in differenti ambienti in Italia, Grecia, Spagna».
«I modelli basati su dati biofisici e sulla comprensione e modellizzazione del ciclo della malattia, messi a punto in Europa o anche in Giappone, sembravano adattarsi più o meno bene». «Quelli basati su reti neurali sono invece risultati inesportabili».
Nel senso che, per farli funzionare, servirebbe un periodo più o meno lungo di “allenamento”, implementando numerosi dati osservati localmente. «Per costruire una rete neurale che abbia valenza globale servirebbero talmente tanti dati da renderla antieconomica».
Le reti neurali artificiali sono infatti sistemi software che cercano di imitare, in maniera semplificata, il nostro cervello. Sono alimentate da Big data raccolti da sensori, centraline e da ogni altro tipo di informazione digitale utile a fornire output affidabili, in questo caso per gestire le malattie delle piante.
Il problema è che la logica umana, a differenza di quella del computer, funziona anche con gradi di verità diversi da 0 e 1 (il “forse” ha un ruolo spesso decisivo nei rapporti umani). Inoltre le reti neurali artificiali non conoscono il nesso causale.
«Si tratta dell’estrema evoluzione – commenta Vittorio Rossi dell’Università Cattolica di Piacenza - dei sistemi empirici di previsione, come ad esempio la regola dei tre dieci per la peronospora della vite».
«Fotografano il più fedelmente possibile la realtà esistente in un dato areale, ma possono avere forti limiti nel prevedere come cambierà e, soprattutto, perché». Un limite che può rivelarsi micidiale in un periodo storico in cui il climate change genera andamenti meteorologici estremi e apparentemente imprevedibili.
L’impatto del climate change
«Le piogge frequenti e intense della scorsa primavera – ricorda Confalonieri – hanno messo in luce, proprio nei momenti cruciali per i trattamenti, la difficoltà a centrare le previsioni meteo locali da parte di alcuni dei modelli in circolazione».
I prodotti fitosanitari a disposizione degli agricoltori hanno infatti un’efficacia soprattutto preventiva e non curativa. Servirebbero dati puntuali (almeno 3-4 giorni di anticipo rispetto all’evento infettante) e calibrati a livello di singola parcella e non di Comune, ma l’orografia del territorio italiano, caratterizzato da numerosi rilievi e specchi d’acqua, può vanificare la precisione di dati ottenuti attraverso interpolazione.
Il rischio di bruciare il mercato
Eventuali “cilecche” su questo fronte rischiano però di essere pagate a caro prezzo, soprattutto sui cereali o le leguminose. Sistemi colturali dove è ancora diffusa la prassi dei trattamenti “a calendario” e dove la difesa digitale e il ricorso ai Dss (sistemi di supporto di decisione, che puntano a trattare solo dove e quando è necessario) possono produrre i risultati più significativi, visto il loro ampio areale di coltivazione, riguardo all’obiettivo Farm to Fork del dimezzamento dei trattamenti fitosanitari entro il 2030. Ma se il Dss non funziona, si rischia solo di “bruciare” il mercato.
«Un altro elemento critico – continua Confalonieri – è rappresentato dal rischio “assuefazione”». Alcuni bollettini fitosanitari diramati da enti pubblici possono infatti risultare ridondanti: riportando continuamente il rischio zero rispetto a qualsiasi patologia, fanno abbassare la guardia rispetto al momento in cui il rischio invece subentra. «Bisognerebbe diramare l’allerta, con sistemi efficaci, solo quando si verifica realmente».
E in ogni caso la maglia geografica ampia di questi bollettini non consente previsioni puntuali accurate, con il risultato che gli interventi di difesa non si discostano, di molto, dalla lotta a calendario. La vera transizione digitale della difesa delle colture sarà quindi realizzata solo quando sarà accompagnata da un’evoluzione culturale.
«Gli agricoltori devono essere consci che le informazioni di qualità non hanno costo zero». «Un Dss – spiega Rossi - è costituito da tre componenti: raccolta dei dati, loro analisi e interpretazione e quindi formulazione di un consiglio agronomico, in forma di allerte, opzioni o scenari». «Quando manca una di queste componenti non si può parlare di Dss».
E non è tutto. «Se il sistema di analisi e interpretazione dei dati non è corretto, o non sufficientemente preciso, o non adeguatamente testato sui territori e nei diversi contesti colturali e climatici, allora i consigli agronomici, tra cui quelli per la difesa, saranno errati». Molti dei Dss oggi disponibili per la protezione delle colture si basano su modelli matematici di tipo empirico, reperiti in letteratura, codificati in un linguaggio informatico e, quindi, resi disponibili agli utenti senza un’adeguata verifica dell’attendibilità nelle specifiche condizioni d’uso.
Sistemi diplomati “all’Università della vita”, come scrivono molti utenti facebook. Se invece avessero frequentato le aule delle Università di Agraria avrebbero potuto conoscere, nel dettaglio, i cicli delle diverse malattie che interessano le colture e il cui studio è alla base dei modelli previsionali che alimentano i Dss più precisi e attendibili nelle diverse condizioni colturali.
La frontiera dell’interattività
Il prossimo step è poi dietro la porta: per essere ancora più efficaci i Dss dovrebbero infatti tenere conto non solo delle variabili meteo, ma anche di quelle agronomiche e gestionali. Varietà (tolleranti o meno), epoca di semina, tipologia di suolo agrario, epoca e dosi utilizzate nella concimazione, prodotti e dosaggi utilizzati nei precedenti trattamenti: sono tutte informazioni decisive per l’efficacia della difesa.
Dati che presuppongono la possibilità di una continua interazione tecnica dei tecnici e degli agricoltori con i Dss. L’intelligenza naturale, a conti fatti, è migliore di quella artificiale anche nella difesa delle colture.
L’occhio dello smartphone
Tipologia di sintomi, percentuale di area fogliare interessata, percentuale di area fogliare latente: le schede visive delle diverse malattie sono state per decenni la base per calcolare le soglie di intervento.
Una montagna di carta che oggi può essere risparmiata grazie all’intelligenza artificiale. «Oggi basta un qualsiasi smartphone – spiega Confalonieri – e un efficace programma di elaborazione di immagini per poter agevolmente identificare malattia, grado di infezione e impostare il timing dei trattamenti».
Il timing giusto contro la septoria
Ruggine bruna, gialla, persino nera. Oltre a oidio, septoriosi, fusariosi. Il clima estremamente piovoso dell’ultima primavera ha innescato pesanti infezioni fungine sui cereali vernini come il grano duro. E l’incidenza per molte di queste è stata maggiore al Sud rispetto agli areali del Nord.
«Nel tavoliere delle Puglie – spiega Pierluigi Meriggi, agronomo, esperto in produzione integrata delle colture e Ceo di Horta – chi ha seguito la prassi di abbinare il trattamento contro ruggini e septoria a quello di diserbo è rimasto spiazzato».
La difesa contro queste patologie è infatti efficace solo se è già presente la foglia a bandiera. Un modello come granoduro.net ha individuato correttamente il timing, posizionando il trattamento nella seconda decade di aprile, ovvero circa tre settimane dopo l’intervento di diserbo. «Il trattamento anti-septoria effettuato troppo precocemente, in marzo, ha anche un negativo effetto psicologico: ti fa sentire protetto quando non lo sei, e l’effetto si paga sotto trebbia». E le indicazioni del modello si sono dimostrate efficaci anche nell’individuazione del rischio fusariosi che, dove presente, non si è abbinato quest’anno, come previsto, alla presenza di contaminazioni da Don.
Guidi: «Il supporto digitale va integrato con l’esperienza personale»
Un’azienda agricola di 600 ettari a prevalente indirizzo cerealicolo a Codigoro (Fe) e un’esperienza di lungo corso nell’applicazione di Dss (sistemi di supporto alle decisioni).
Mario Guidi, ex presidente di Confagricoltura, Anb, Agrinsieme è la persona giusta con cui parlare di difesa digitale delle colture estensive. «Utilizzo i modelli di Horta, Fieldview e aderisco al modulo di sostenibilità della Carta del Mulino di Barilla».
L’abbinamento tra le indicazioni agronomiche georeferenziate e gli allerta fitopatologici forniti dai diversi modelli assicura un sicuro vantaggio tecnico. «Soprattutto se queste indicazioni sono mediate dall’esperienza personale». L’interattività è insomma un vero asso nella manica per Guidi. «Difficilmente un Dss risulta utile sin dal primo anno di utilizzo, soprattutto per un’azienda estesa e articolata come la mia».
I dati, anche quelli meteo, vanno infatti affinati anche in base ai rilievi delle centraline aziendali. «È importante che le indicazioni dei modelli siano interpretate in base alla gestione agronomica dei diversi appezzamenti e che l’efficacia degli interventi sia valutata con i rilievi satellitari».
Con queste accortezze Guidi è riuscito a difendere efficacemente i suoi 100 ettari di frumento duro e i 120 di tenero, ottenendo, anche nel difficile 2023, risultati record in un’areale come quello ferrarese colpito dall’emergenza climatica dello scorso maggio. 65 q/ha è stata infatti la media del frumento duro, con caratteristiche qualitative di pregio; 80 q/ha per il tenero, con punte di 87 q/ha per le varietà biscottiere.
Tratto da Terra e Vita 33
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