La recente approvazione a maggioranza da parte dei ministri dell’Ambiente dei 27 Paesi dell’Unione europea del Regolamento proposto a giugno 2022 dalla Commissione Ue per ripristinare le aree naturali già degradate (uno dei tasselli del Green Deal), ha generato molteplici reazioni per la sua natura dirigista e la perentoria scadenza al 2030.
Se nell’affrontare questa sfida è condivisibile la necessità di promuovere sistemi di produzione più sostenibili, nel momento in cui si discute tanto di cambiamenti climatici, l’agricoltura, cioè la pratica quotidiana di gestione delle risorse naturali, rappresenta una delle principali soluzioni. Perché solo l’esercizio attivo può garantire che l’ambiente rurale venga migliorato, e non certo i divieti, utili solo ad aumentare le problematiche attuali e propedeutici all’abbandono delle aree rurali.
Ma per invertire questa tendenza è indispensabile coinvolgere gli agricoltori “con i piedi per terra”, i primi con la capacità di adattarsi, imparare e provare cose nuove, incentivandoli nel tempo con adeguate misure economiche per i maggiori costi sostenuti e/o minori profitti, oltre ai dati oggettivi riguardanti l’impatto del nuovo regolamento nei tempi previsti. Questo aspetto dovrà considerare anche le esigenze della popolazione mondiale in crescita, che comporta, di conseguenza, la produzione di più cibo con le limitate risorse disponibili. Ma per “produrre di più con meno”, sono necessarie tecnologie e competenze che implicano un apprendimento continuo e un significativo riconoscimento dei benefici equamente distribuiti tra tutti gli attori coinvolti, a cominciare dagli agricoltori che generano beni pubblici da cui tutta la società trae beneficio.
Anteprima di Terra e Vita 23/2024
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In questa prospettiva il sistema di gestione che meglio risponde alla necessità di ripristinare la natura e alle molteplici esigenze considerate nel regolamento, dalla degradazione del suolo, alla riduzione della biodiversità e delle emissioni di gas climalteranti, è l’Agricoltura rigenerativa, che, dove già adottata, dimostra vantaggi crescenti nel tempo per l’aumento della resilienza ai cambiamenti climatici che si traduce in stabilità delle rese produttive, ma anche per la progressiva riduzione degli input esterni, in particolare dei prodotti di sintesi.
Tuttavia, il limite che oggi questo sistema di gestione deve affrontare riguarda il supporto economico per la fase di transizione, in particolare nelle aree non irrigue, per l’adozione di insostituibili pratiche agronomiche, tra cui gli avvicendamenti colturali con le leguminose da granella, fondamentali per garantire la copertura permanente del terreno con residui colturali e apparati radicali funzionali anche a fine ciclo produttivo. Nel contempo, bisogna modernizzare le partnership di ricerca tra università e industrie sementiere nell’ambito dello sviluppo di una strategia nazionale per coordinare la ricerca e lo sviluppo di nuovi genotipi in grado di adattarsi e resistere alle mutate condizioni ambientali.
Esplorare le potenziali applicazioni delle Tecnologie di evoluzione assistita (Tea) alle leguminose da granella rappresenta una frontiera promettente per l’agricoltura italiana e più complessivamente per i Paesi del Mediterraneo, in quanto determinanti per l’adozione e la diffusione di nuovi sistemi di agricoltura responsabile, remunerativa e pertanto concretamente sostenibile.
di Michele Pisante
Università degli Studi di Teramo, coordinatore del Comitato tecnico scientifico di Edagricole