Rigenerare i suoli per rigenerare le società

agricoltura rigenerativa
Principi, pratiche ed esperienze di un approccio agricolo rivoluzionario. Parla Matteo Mancini, agronomo e coordinatore tecnico dell'Ong Defal

L’agricoltura rigenerativa è un argomento di grande tendenza a livello internazionale. Nell’ultimo decennio sempre più persone hanno cercato questo termine sul web, il numero di pubblicazioni scientifiche sul tema è cresciuto e sono nati diversi movimenti ad esso connessi. Le sue origini sono però antecedenti all’interesse recente. Il termine “agricoltura rigenerativa” venne coniato all’inizio degli anni Ottanta dal Rodale Institute, un’organizzazione no-profit statunitense. Da allora si è diffuso in tutti i continenti, sono stati pubblicati diversi libri a riguardo, un numero crescente di agricoltori vi ha aderito e alcune organizzazioni hanno iniziato ad occuparsene a vario titolo.

Questo approccio agronomico si fonda sull’idea che la produzione agricola non debba semplicemente ridurre il proprio impatto negativo sull’ambiente, ma possa spingersi fino a creare esternalità positive. In altre parole, l’agricoltura rigenerativa identifica l’attività agricola come un mezzo per ripristinare i suoli, il paesaggio agricolo e le interazioni nella catena di produzione, integrando colture e animali da allevamento. Condivide vari aspetti agronomici con carbon farming, agricoltura conservativa, agricoltura biologica e agroecologia. Ciò che più la contraddistingue dall’agricoltura biologica è il suo non essere regolamentata e l’essere definita più dai propri obiettivi di rigenerazione che dai singoli mezzi impiegati per raggiungerli.

L’agricoltura rigenerativa in Italia

In Italia l’organizzazione pioniera dell’agricoltura rigenerativa è Deafal, un’associazione non governativa costituita nel 2000, attiva a livello nazionale e internazionale. Promuovendo in modo trasversale un approccio agricolo biologico e rigenerativo, Deafal diffonde lo studio, la formazione, la sperimentazione e l’applicazione di metodologie innovative in ambito agronomico, economico e sociale per la produzione di cibo sano e accessibile. I suoi obiettivi sono il miglioramento delle condizioni di vita dei produttori agricoli, l’autodeterminazione alimentare delle comunità e la tutela dell’ambiente. Questi obiettivi vengono perseguiti attraverso la promozione di un’agricoltura che preservi la biodiversità, rispetti i cicli naturali, rafforzi il ruolo e il potere contrattuale dei produttori agricoli, contribuisca allo stoccaggio di carbonio nel suolo e alla mitigazione del cambiamento climatico.

Proprio a causa della mancata regolamentazione legislativa, l’agricoltura rigenerativa non ha una definizione univoca. Secondo Deafal «l’agricoltura organica e rigenerativa è una disciplina teorico pratica che attinge da differenti approcci ed esperienze agricole che hanno attraversato il secolo scorso e quello attuale, combinando le pratiche tradizionali con le moderne conoscenze scientifiche» spiega Matteo Mancini, agronomo e coordinatore tecnico di Deafal.

Rigenerare ecosistemi, relazioni e saperi

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Matteo Mancini, agronomo e coordinatore tecnico di Deafal

Prima di definirla a parole, Deafal ha vissuto l’agricoltura rigenerativa in campo. «Dopo anni di collaborazione con oltre 4.500 agricoltori, nel 2018 Deafal ha scelto di sintetizzare i punti chiave del proprio approccio nella Carta dei principi e dei valori dell’agricoltura organica e rigenerativa – continua Mancini –. La carta si declina in quattro principi: rigenerare il suolo, rigenerare gli ecosistemi e la biodiversità, rigenerare le relazioni tra gli esseri viventi, rigenerare i saperi».

«Rigenerare il suolo significa aumentarne la fertilità, quindi incrementare il carbonio organico, la diversità microbiologica, la dotazione e la disponibilità degli elementi minerali. Nei terreni di collina e di montagna lo facciamo scegliendo sistemi e tecniche che limitino l’erosione del terreno – precisa l'agronomo –. Inoltre, adottiamo pratiche scientifiche, innovative e sperimentali che valorizzino le specificità e le culture locali, traendo spunto dalle tradizioni dei territori. Rigeneriamo gli ecosistemi e la biodiversità diminuendo le contaminazioni ambientali da sostanze chimiche di sintesi, valorizzando gli scarti aziendali attraverso l’autoproduzione dei mezzi tecnici, rivalutando le risorse genetiche locali, gestendo in maniera efficiente le acque e le risorse agrosilvopastorali».

«Rigenerare le relazioni tra gli esseri viventi vuol dire garantire alle colture trattamenti che favoriscano la loro salute nel tempo e il loro costante equilibrio fisiologico; agire nella cura e nel rispetto della dignità delle persone e degli animali; favorire rapporti di lavoro e di scambio basati sulla tutela dei diritti e sulla trasparenza – aggiunge Mancini –. Infine, rigenerare i saperi consiste nel promuovere la conoscenza come bene collettivo in continua trasformazione ed evoluzione, da acquisire e trasmettere in una dimensione di apertura e interazione con gli altri».

Una scelta necessaria

Considerando l’attuale crisi ambientale, l’agricoltura rigenerativa sembra essere un’esigenza comune e una scelta non più rimandabile. «Ricerche recenti ci dicono che ogni anno nel mondo vengono persi 24 miliardi di tonnellate di suolo fertile e che, se la tendenza dovesse continuare nei prossimi anni, il 95% dei suoli a livello mondiale potrebbero andare incontro a una condizione di degrado» spiega Mancini. «Questa situazione è dovuta principalmente a pratiche agronomiche e forestali impattanti, come le lavorazioni troppo profonde e frequenti o eseguite in zone con elevate pendenze, il sovra-pascolamento, la lisciviazione dei nutrienti o, banalmente, il disboscamento di vaste aree, soprattutto in zone tropicali e subtropicali. Per questo, più che una scelta, credo che l’enorme mole di dati che certifica il costante e inesorabile degrado dei suoli a livello mondiale ci dica che è necessario adottare da subito pratiche rigenerative ovunque possibile».

Una scelta obbligata, dunque. Ma quali sono i benefici per gli agricoltori? «Il vantaggio più evidente dell’agricoltura rigenerativa è il costante (seppur lento) recupero della fertilità organica, fisica e chimica del suolo, che evidentemente si ripercuote anche sulla sostenibilità economica dell’azienda agricola» risponde Mancini. «Dalla nostra esperienza con numerose aziende italiane abbiamo osservato che, attraverso una minore intensità delle lavorazioni e un costante apporto di ammendanti nelle prime stagioni, è possibile recuperare dallo 0,5% all’1% di sostanza organica in 3-4 anni.

Queste pratiche sono applicabili anche in collina e in montagna, areali che interessano i tre quarti del nostro paese e che sono drammaticamente soggette a fenomeni erosivi. Da un recente studio che ha condotto il Cnr su un nostro lavoro di sistemazioni idrauliche agrarie in collina, attraverso pratiche rigenerative come il Keyline design è possibile ridurre sensibilmente la perdita di suolo e favorire l’infiltrazione dell’acqua prima nel suolo e poi nella falda. L’approccio Keyline è stato citato anche nell’ultimo rapporto dell’Ipcc come strumento per il contenimento dell’erosione idrica.

Anche in questo caso, la nostra esperienza di quasi 15 anni in campo è supportata da solide basi scientifiche che ne dimostrano l’efficacia. Tali pratiche hanno un elevato potenziale di mitigazione degli effetti del cambiamento climatico attraverso lo stoccaggio al suolo di parte del carbonio atmosferico. Quindi ogni azienda agricola può rappresentare un piccolo ma determinante tassello nella lotta al riscaldamento globale».

«Un ulteriore vantaggio dell’agricoltura rigenerativa - continua l’agronomo - è poi la possibilità di ridurre i costi di produzione dei concimi fogliari e dei biostimolanti, che possono essere prodotti in azienda a partire da scarti e sottoprodotti».

Preparazione di mezzi tecnici in azienda (foto di Elisa Decarli - Deafal)

Le principali difficoltà

C’è quindi un grande potenziale, ma anche qualche limite. «Credo che esistano tre grandi problematiche nell’attuazione delle pratiche rigenerative, tutte collegate tra loro. La prima è sotto gli occhi di tutti: è sempre più difficile rendere l’agricoltura un’attività redditizia. In molti casi, penso soprattutto alle aziende cerealicole e olivicole, ma ultimamente anche al comparto lattiero-caseario, i costi di produzione sono diventati maggiori dei ricavi. Questo porta le aziende a indebitarsi, limitando gli investimenti su nuove possibilità produttive. La mancanza di prospettiva - e passo al secondo problema - è aggravata dall’elevata età media degli operatori agricoli, che per ovvi motivi spesso non sono particolarmente inclini a investire né tanto meno a formarsi» sintetizza Mancini.

«Nonostante gli ingenti investimenti da parte dell’Unione europea, la formazione non sembra essere incisiva. In Italia abbiamo circa un milione di lavoratori in agricoltura, ma pochissimi si formano in maniera costante ed efficace. Questo è dovuto in parte, di nuovo, all’età degli operatori, ma anche all’incapacità degli organismi preposti di intercettare i potenziali interessati ai percorsi formativi. Per questo da oltre 10 anni con Deafal lavoriamo sulla formazione di agricoltori e tecnici, proponendo moduli formativi sulle pratiche rigenerative e giornate in aziende modello di tutta Italia. Sempre più spesso riusciamo a intercettare fondi comunitari e a garantire una formazione gratuita» aggiunge.

«Un altro problema che incontriamo, slegato da quanto detto finora, è l’elevato costo di fabbricazione, trasporto e distribuzione di certi mezzi tecnici imprescindibili per la rigenerazione dei suoli. Penso innanzitutto al compost, che può essere prodotto in azienda, ma che senza una logistica ben organizzata è spesso eccessivamente caro. Il compost prodotto dalla frazione organica del rifiuto solido urbano, invece, è a volte di bassa qualità perché manca la dovuta cura nel fare la raccolta differenziata, con ripercussioni negative sul prodotto che deve tornare al suolo. Un altro ammendante molto studiato ultimamente, il biochar, ha mostrato grandi potenzialità nel ridurre gli stress idrici delle colture in annate particolarmente asciutte, ma la sua produzione deve necessariamente essere associata alla produzione di energia attraverso pirolizzazione. Questi impianti da noi sono ancora poco diffusi, quindi il prodotto è quasi introvabile o carissimo».

La rete di produttori in Italia

Molti gli scogli da affrontare, eppure l’interesse non manca. Qual è il vostro approccio? «Deafal si occupa di tante tematiche, non solo quelle strettamente legate alla produzione agricola. Per quanto riguarda l’area che coordino, quella dell’agricoltura organica e rigenerativa, abbiamo una strategia a medio periodo che interessa un ambito strettamente tecnico e aspetti più generali e politici – specifica il coordinatore tecnico di Defal –. Partendo da questi ultimi, crediamo che il lavoro fatto in questi anni con gli agricoltori vada difeso e diffuso per arrivare a un numero sempre maggiore di produttori. Per questo da pochi mesi è nata l’associazione nazionale dei produttori per l’agricoltura organica e rigenerativa, che sta sviluppando un protocollo da sottoporre alle aziende interessate».

«Il protocollo non approfondisce solo gli aspetti tecnici, ma lavora molto anche sulla sostenibilità sociale dell’azienda. Questo punto è centrale per noi e per i tanti gruppi e movimenti in tutto il mondo, ma sembra non esserlo per le numerose aziende multinazionali, soprattutto dell’agroindustria e del cibo, che si sono lanciate in linee rigenerative. Il problema, dal nostro punto di vista, è che lo fanno proponendo gli stessi strumenti di lavoro che hanno contribuito a condurci nella situazione di degrado di cui sopra. Per questo da qualche tempo abbiamo lanciato la campagna #difendilarigenerativa che sta avendo il sostegno di centinaia di associazioni, cittadini e imprese».

«Dal punto di vista tecnico, invece, abbiamo l’obiettivo di continuare a crescere come staff e come numero di aziende coinvolte nell’attuazione di pratiche rigenerative. Negli ultimi due anni abbiamo investito tantissimo, e continueremo a farlo, nella creazione di rapporti e di progetti con il mondo della ricerca. Sentiamo il bisogno di avere un continuo supporto e validazione delle pratiche che attuiamo ogni giorno in campagna. D’altro canto, crediamo che il nostro lavoro possa facilitare la comunicazione tra il mondo produttivo e quello della ricerca, che troppo spesso procedono separatamente, ma che traggono grandi vantaggi l’uno dall’altro quando la comunicazione è efficace».

Rigenerare i suoli per rigenerare le società - Ultima modifica: 2024-03-05T10:45:38+01:00 da K4

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