Il termine della raccolta nell’Emisfero Nord e la pubblicazione dei dati definitivi per le produzioni 2024, ci stimola a fare alcune considerazioni. Lo scenario globale, almeno fino al prossimo anno quando si confermeranno i raccolti dell’Emisfero Sud, si presenta con ampia disponibilità cerealicola, solo di poco inferiore ai consumi per una sostanziale tenuta o incremento degli stock mondiali, anche se in gran parte stoccati in Cina e irrilevanti in caso di future criticità.
Sui nostri mercati il mais evidenzia le conseguenze di un’annata problematica che ha penalizzato produzioni e qualità (tossine) non solo in Italia ma anche nel bacino allargato dell’Europa, con le forniture extra Ue (Ucraina e Americhe) dai porti che faticano a rientrare dall’iniziale problema di logistica. Passando ai grani teneri, il 2024 evidenzia una minore produzione in Italia di misti a favore dei grani di forza, ma, a compensare le non perfette specifiche molitorie, così come per il mais, l’aiuto dalle origini comunitarie (Austria ed Est Europa) è limitato dal generale calo della qualità media. Per il grano duro l’annata ci vede pesantemente dipendenti dall’import sia in volumi che, al Nord, come specifiche.
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Con queste premesse e per le semine 2024 ci si chiede se sia ancora conveniente e richiesto produrre cereali, e se sì, come difendere il margine dell’intera filiera produttiva in primis. In regime di deficit strutturale, nell’Italia leader produttivo ed esportatore alimentare deve esserci una produzione locale, ma quale? Per i grani, meglio orientarsi alla quantità (alte rese) o alla qualità (alta proteina e glutine)? La scelta, dove possibile e fatto salvo l’imprevisto climatico, si interseca con la crescente richiesta italiana di cereali con specifiche superiori a livello di proteina e glutine (grano duro), energia e stabilità (grani teneri), merceologiche (orzo), salubrità (mais). Ma fare qualità ripaga lo sforzo?
La risposta resta “sì” per la costante domanda dei nostri trasformatori, subissati da offerte di granaglie “any origin”, e l’ormai inclusione commerciale a dazio zero di Kiev nel sistema agricolo comunitario con costante import di grano, orzo e mais generici a prezzi concorrenziali.
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Lasciando per il momento da parte l’utilizzo industriale che però resta una valida alternativa soprattutto per i maiscoltori, se è vero che l’Italia produce alimenti di alta qualità, il futuro resta legato a doppio filo all’imprescindibile necessità di fare squadra tra produttori, trasformatori e utilizzatori finali per trovare il modo di garantirsi sia prodotti che margini di qualità, abbandonando definitivamente il tavolo, alieno per la nostra agricoltura, di chi insegue solo il minor prezzo. In quest’ottica tornano buone, se non ottime, le strategie (contratti di coltivazione) e gli strumenti (accordi in pre raccolto) che senza sorprese legano il produttore all’utilizzatore.
Per i contratti di coltivazione, meglio se pluriennali a mediare il risultato in più annate, ma anche per gli accordi in pre raccolto, in alternativa alla “media prezzo a listino” delle Borse merci oggi è possibile legarli alle quotazioni giornaliere del “future” europeo di Parigi. Riflettiamo sul fatto che per ridurre il rischio da anni nell’Ue a 27 si fa sempre più strada per i grani teneri, il mais, e la colza l’utilizzo di contratti con prezzo “future più premio” e che, per il grano duro, si lavori per diffondere l’indice europeo Sitagri.
Ognuno è libero di decidere come e con che strumenti continuare a produrre, ma per il settore cerealicolo e la sua sopravvivenza paiono imprescindibili pochi semplici concetti: produrre alta qualità, piena collaborazione tra gli attori della filiera e condivisione del rischio prezzi sulla stessa piazza: che sia una borsa merci o un mercato a termine.
di Stefano Serra
Amministratore della Info granarie e servizi Srl