Limitare il più possibile i danni. È questa la parola d'ordine per tutti gli operatori della filiera mais, alle prese con una delle peggiori campagne degli ultimi decenni. Dopo le rese modeste, da mesi si combatte contro il nemico aflatossine. Pericolo che rende molte partite di mais non commercializzabili e potenzialmente dannose per la salute.
E non è un caso che diverse migliaia di tonnellate di prodotto siano ancora ferme nei sili degli stoccatori, impegnati in un'operazione di recupero alquanto complessa. Poiché correre ai ripari appare difficile, lungo e dispendioso. Ma senza alternativa se si vuole racimolare comunque qualcosa.
La situazione più problematica sembra essere quella di Emilia-Romagna e Veneto.
A fornire un quadro dettagliato e, soprattutto, un esempio significativo di ciò che sta accadendo è Loredano Poli, responsabile Conferimenti di Progeo, cooperativa che ha il suo cuore proprio nei bacini emiliano-romagnoli più colpiti.
«In primo luogo - evidenzia Poli - vorrei sottolineare l'eccezionalità dell'annata e il fatto che non ci sono responsabilità degli agricoltori. A inizio campagna ci si era anche posti il problema se ritirare o meno il prodotto. Ma, come era naturale che fosse, è prevalsa la natura cooperativistica e abbiamo ritirato tutto il mais dei nostri conferenti».
«Un mais che - continua Poli - era nella stragrande maggioranza dei casi contaminato. Su 250mila quintali di prodotto conferito possiamo stimare che solo poco più del 10% fosse immediatamente buono e commercializzabile a prezzi di mercato. Il resto in molti casi era abbondantemente sopra i 20 ppb e su questa quantità si è iniziato a lavorare. La scelta è stata quella di investire in una selezionatrice ottica (con un'uscita di oltre 200mila euro, ndr) da utilizzare dopo una prima pulitura tradizionale. Naturalmente l'obiettivo di fondo è quello tornare nei limiti, scartando il meno possibile e non superando il 30% di scarto. In questo modo stiamo rientrando con circa l'80% del totale».
Al di là di queste perdite i problemi si sommano. «Intanto - prosegue Poli - va risolta la questione del prodotto di scarto contaminato, che in altre regioni (Lombardia, ndr), ha avuto il via libera per l'utilizzazione bioenergetica, ma che in Emilia-Romagna è ancora in stallo. A tal proposito speriamo che si riesca a siglare un accordo-quadro per questo mais da dirottare alle bioenergie con un prezzo che non sia inferiore ai 140-150 euro/t».
«A ciò si aggiunge - sottolinea Poli - un aspetto prettamente tecnico. La macchina selezionatrice opera al ritmo di 800-1.000 quintali al giorno, difficilmente si va oltre 20mila q/mese. Pur lavorando con addetti su due turni (e con relativo aumento dei costi industriali) per selezionare oltre 200mila quintali di prodotto servono 8-10 mesi. Un impegno gravoso e fortemente dispendioso». E, a proposito di soldi, Poli conclude evidenziando che per andare incontro ai conferenti si è provveduto a dare un acconto di 80 euro/t, per poi saldare a campagna finita».
Sensibilmente diversa la situazione in una delle culle italiane del mais, il Cremonese.
«Non siamo messi così male - evidenza il direttore del Consorzio agrario di Cremona, Paolo Nolli -, poiché tutta la zona nord della provincia, dove c'era più acqua, ha avuto pochi problemi. Nell'insieme il prodotto contaminato è attorno al 10% (su un milione di quintali gestiti, ndr), quantitativo che riusciamo a lavorare abbastanza agevolmente con la pulizia classica. A ciò si aggiunga che il prodotto di scarto lo indirizziamo ai biodigestori, cosa permessa in Lombardia».
«A inizio campagna - continua Nolli - qualche problema negli allevamenti si era registrato, ma già da novembre 2012 non abbiamo avuto più nessuna segnalazione, indice di un lavoro efficace sul mais, che nel nostro caso viene interamente destinato alla mangimistica».
«Certo - aggiunge Nolli - quest'anno i bilanci risentiranno dei maggiori costi di energia per la pulitura, che il Cap si è caricato, anche per rispetto dei soci».
La chiusura di Nolli è dedicata al prezzo: «Come Consorzio abbiamo preso la decisione di pagare ai conferenti tutto a prezzo di mercato senza decurtazioni. Non abbiamo dato acconti specifici, ma seguiamo le normali regole di pagamento ormai consolidate, che prevedono valorizzazioni con criteri basati su prezzi medi, con relativi acconti periodici, oppure vendite a lotti con saldo alla vendita di ogni lotto».