Un altro anno da dimenticare per il mais che, dopo le campagne d’oro in cui la Pac lo aveva favorito più di altre colture, sembra colpito da un periodo di crescenti difficoltà. Anche le prospettive per l’annata che si sta aprendo rimangono incerte, dipendenti da troppe variabili che sfuggono al controllo degli agricoltori. Tuttavia il momento delle prime decisioni sulle scelte colturali è sempre più vicino in questo strano inverno che almeno fino a gennaio avanzato è stato più simile ad uno snervante autunno prolungato, con un contorno di piogge che inizia a diventare preoccupante. Proprio le piogge sono state l’avvio di un’annata come il 2013 in cui per i primi mesi, e sino a giugno, nelle zone maidicole la quantità di precipitazioni si è mantenuta mediamente attorno al doppio della media dell’ultimo quarto di secolo. In seguito il ritmo è rallentato, ma spesso era tardi per correre ai ripari. Le piogge insistenti oltre a complicare i lavori di campagna hanno costretto in molti casi a riseminare o, nei casi limite, a intervenire con altre colture sui programmi iniziali che prevedevano il mais. Come se non bastasse, il prezzo interno si è allineato a quello mondiale e ha continuato a scendere.
Era già poco remunerativo al momento delle semine, tanto da sconsigliare numerosi produttori, ma nei mesi successivi è andato peggio, sino alle attuali quotazioni che ci riconducono ai minimi del dicembre/gennaio 2010 e 2011. La carenza di prodotto di origine nazionale, che ha agito verso marzo al rialzo sul mercato interno, si è prontamente esaurita sulla scia delle quotazioni internazionali. Il risultato è stato negativo per i produttori a causa della concomitanza di una produzione minore delle attese e dei prezzi bassi. Se a ciò si aggiungono, da un lato, la complicazione dei vincoli posti all’impiego dei mezzi di produzione e, dall’altro le problematiche legate alla qualità del prodotto, ci si rende conto che il quadro dell’annata è stato di grande complessità.
Sul mercato mondiale vi erano forti aspettative per una ripresa dei prezzi trainata da due fattori: una maggiore domanda di mais per far fronte alle necessità delle politiche energetiche e una situazione di risalita dei prezzi dei prodotti zootecnici a seguito della crescente domanda mondiale. Tuttavia l’incremento della produzione Usa e dei paesi dell’ex Unione Sovietica, in particolare quelli del bacino del Mar Nero che appaiono in riconversione, ha fatto sì che la produzione toccasse nuovi record e consentisse di conservare l’equilibrio fra offerta e domanda a livello mondiale, nonostante il cattivo andamento produttivo dell’area europea meridionale che è stato subito compensato da un incremento delle importazioni.
Scenario produttivo
Per il terzo anno consecutivo la superficie a mais nel 2013 si è presentata in calo andando a collocarsi a circa 918.000 ettari, il minimo degli anni più recenti e comunque ben lontana dagli otre 1.100.000 dei primi anni 2000 (tab. 1 e fig. 1). Il punto di rottura del trend di stabilità nelle superfici destinate a mais, dopo gli eccessi legati all’anomalia del 2003 e del 2004, si colloca nel 2006/2007, da quel momento inizia la discesa che sembrava in fase di assestamento con il ritorno verso un milione di ettari nel 2010 in occasione della ripresa dei prezzi, e che invece si è consolidata.
Lo spostamento degli interessi degli agricoltori verso altre colture, in particolare con il ritorno del frumento per ragioni di maggiore redditività in termini relativi, insieme agli emergenti orientamenti della Pac nelle diverse riforme che si sono susseguite si è così manifestato, nonostante le necessità del sistema zootecnico e l’incremento dei nuovi usi alternativi del mais. Contemporaneamente anche la produzione subisce una contrazione particolarmente evidente nel 2013, ma già identificabile come trend da alcuni anni (fig. 2).
Nel 2013 essa si riduce a 7.522.000 tonnellate, un minimo storico su cui occorre riflettere con grande attenzione e che fa seguito, comunque, agli 8 milioni scarsi di produzione del 2012. Se in quell’anno il dato rappresentava un minimo che venne attribuito al crollo delle rese ad ettaro scese a 8,1 t/ha, il dato più negativo dopo quello del 2003 l’anno del grande caldo, nel 2013 esse si sono mantenute sullo stesso livello, ma con una superficie nettamente inferiore, con il risultato di un calo complessivo di produzione di circa 400.000 tonnellate. L’annata negativa, al di là delle dinamiche meteo su cui occorre dire qualche cosa, si inserisce in una situazione che va affrontata con grande preoccupazione.
Parlando delle rese dobbiamo sottolineare il fatto che esse sono ferme nel nostro paese dalla fine degli anni ’90 a causa della mancata introduzione di sementi più produttive frutto di ricerca innovativa. Un fatto che è determinato dal concentrarsi in tutto il mondo della ricerca sulle piante geneticamente modificate. Il nostro paese conferma la sua volontà di non compiere questa scelta con chiarezza, dimenticando che gli altri produttori beneficiano di condizioni produttive che noi rinunciamo ad utilizzare. Parlare di competitività, in questo contesto, è evidentemente inutile, ma noi rischiamo di non avere né le nuove varietà né altre che almeno rechino con sé migliori rendimenti produttivi. Un ragionamento analogo è quello del ricorso a quei mezzi di produzione che sono idonei a contrastare gli effetti delle annate negative, ma che da noi non sono ammessi. L’impiego dei mezzi tecnici unito allo studio ed all’approfondimento dei meccanismi produttivi delle piante è la spiegazione dell’incremento delle rese a livello mondiale. Non è un caso se da decenni lo spauracchio delle carestie si è allontanato. Ma non è nemmeno un caso se nel nostro paese da alcuni anni le rese sono in calo mentre non lo sono altrove.
Un confronto fra l’evoluzione della superficie a mais e quella destinata agli altri cereali, indica il rallentamento ulteriore, rispetto ad un trend recente per sé abbastanza evidente (tab. 2). La tendenza di lungo periodo delle superfici a cereali segna una costante perdita che però in precedenza era in gran parte imputabile all’arretramento del frumento oltre che del mais. Di recente, tuttavia, mentre il frumento si presenta in ripresa, il mais perde terreno. La quota del mais rispetto al totale dei cereali scende dal 28,9% del 2011 al 28,1 % del 2012 ed al 27,2% del 2013. Oltre alle considerazioni sulle rese e sull’impiego degli opportuni mezzi di produzione, è doveroso un collegamento con l’evoluzione della Pac e con il fatto che il nostro paese nella formulazione dei relativi indirizzi, in occasione delle ricorrenti tappe della riforma in atto, spesso dà l’impressione di trascurare gli aspetti strategici di questa coltura e di altre tipiche dell’assetto produttivo del paese. Nel caso del mais il collegamento con le produzioni zootecniche, quelle che danno il maggior valore aggiunto alla produzione agricola, è ad esempio uno degli aspetti che andrebbe più rappresentato e difeso.
Localizzazione colturale
Nonostante le difficoltà legate alle condizioni meteo, nel 2013, come già era accaduto nel 2012 trova conferma la distribuzione territoriale consolidata nel tempo. Il peso delle due circoscrizioni settentrionali cresce ancora un poco rispetto a quello degli anni precedenti e raggiunge il 91% della superficie e il 92,7% della produzione guadagnando rispetto al 2012 qualche ulteriore decimo di punto percentuale (figg. 3 e 4). con il Nord Ovest che in termini di superficie sale al 42,2% dal 41,6% e il Nord Est al 48,8% dal 48,5%, rispettivamente con 387.000 e 447.000 ettari. Il Centro scende di un punto al 5,3%% della superficie e il Sud si conferma al 3,6%. In termini di produzione, la situazione cambia profondamente a seguito delle anomalie meteo che hanno colpito maggiormente il Nord Ovest il cui peso relativo scende al 39% e meno il Nord Est che sale al 53,7%, mentre il Centro cala al 4,4% ed il Sud al 3,0%. Le rese produttive della circoscrizione centro-occidentale quindi crollano a 76 quintali/ha rispetto ai 107,5 del 2012, mentre in quella nord-orientale salgono a 90 q/ha di fronte ai 67,5 dello stesso anno. A titolo di confronto, ricordiamo che nel 2011 le rese erano rispettivamente di 98,3 q/ha nel Nord Ovest e di 93,6 q/ha nel Nord Est, mentre nei paesi competitori sono stabilmente sopra i 100 q/ha. La distribuzione regionale (tab. 3) conferma di fatto il calo quasi generalizzato e le rese differenziate già descritte.
Il quadro economico
I prezzi del mais nel 2013, come abbiamo anticipato, hanno manifestato un andamento deludente e, a partire dall’inizio dell’estate, in costante flessione, nonostante l’evidenza delle prime previsioni sul raccolto che davano chiaro un quadro in netta perdita di produzione. Nella prima metà dell’anno i prezzi (fig. 5) già in contrazione dagli ultimi mesi del 2012, si sono mantenuti 24,4 euro/quintale e 22,5 arrivando a giugno a circa 24 €/q. Tuttavia, in seguito è iniziata la discesa nonostante il deficit produttivo interno a cui si è ovviato con un ricorso crescente alla merce di importazione anche europeo, in particolare proveniente dai paesi dell’Est europeo. Le quotazioni, per altro,rispecchiano l’andamento del mercato mondiale che anche nella campagna 2013/2014 è prevista in crescita sino a 966,92 milioni di tonnellate con un incremento del 12% rispetto a quella 2012/2013. Il raccolto Usa dovrebbe raggiungere un record storico che consentirà di alimentare l’esportazione e di soddisfare i crescenti usi energetici. anche le produzioni dell’altro emisfero sono positive e quindi nel complesso vi sono le premesse per un’annata ancora con prezzi dell’ordine di quelli attuali.
Ciò solleva due ordini di questioni, il primo è quello dell’approvvigionamento nazionale di mais che con un deficit rispetto al fabbisogno di circa un quarto del totale rivela una complessiva debolezza del comparto dell’alimentazione del bestiame dove il deficit della soia rimane superiore all’83%, l’altro è quello delle scelte produttive, in particolare dell’alternativa con la soia. Le previsioni di prezzo per quest’ultima, sulla base delle quotazioni dei futures a un anno indicano che anche il prezzo della soia rimarrà su livelli bassi, nonostante maggiori fluttuazioni. La scelta quindi si gioca sulla redditività e sulle rese. Rese elevate del mais, sulla base di quelle degli anni precedenti l’ultimo biennio, possono aprire uno spiraglio interessante specialmente se si tiene conto che le pregiate produzioni dell’alimentare italiano non possono ragionevolmente continuare ad essere ottenute semplicemente trasformando prodotti agricoli di importazione se vogliamo continuare a giocare la carta dell’origine.
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