Nell’ultimo quinquennio molti sono stati gli impianti di nuova costruzione ed avviamento: numeri alla mano sono quasi 1.000 gli impianti oggi operativi in Italia, per lo più autorizzati nel settore agricolo, soprattutto nell’area della pianura Padana.
Ora che l’onda lunga delle nuove realizzazioni è scemata e sempre maggior coscienza viene acquisita da parte dei gestori degli impianti, è arrivato il tempo della piena “ottimizzazione” dell’investimento: ciò consiste nell’individuare una ricetta di alimentazione che sia in grado di fornire la massima resa energetica al minor costo della razione, previlegiando, laddove possibile, scarti e sottoprodotti alle colture dedicate.
Tutto ciò risulta possibile solamente seguendo con attenzione, cioè “monitorando”, il processo di digestione anaerobica al fine di ottimizzarne l’efficienza e le rese energetiche.
Il processo di digestione anaerobica è un processo biologico che, in assenza di ossigeno, converte la sostanza organica degradandola a composti solidi, liquidi e gassosi i principali dei quali sono CO2 e CH4, il cosiddetto biogas.
Il processo biologico, nel suo complesso, prevede quattro distinti momenti che vanno dall’idrolisi delle biomasse complesse alimentate al reattore anaerobico, all’acidogenesi, cioè la trasformazione di molecole complesse in altre più semplici, i cosiddetti acidi grassi volatili (AGV), all’acetogenesi, cioè la trasformazione degli acidi grassi volatili con più di tre atomi di carbonio ad acido acetico, ed infine la metanogenesi che porta appunto alla formazione di biogas (CH4 e CO2) come prodotto finale partendo dall’acido acetico.
La figura 1 evidenzia schematicamente il processo appena descritto.
Se uno di questi passaggi è, per un qualsiasi motivo, sfavorito, l’intera catena ne soffre con conseguente riduzione della produzione di biogas e quindi di resa energetica del sistema.
Dalla descrizione appena fatta appare evidente che due sono i punti che necessitano di attenzione per massimizzare le prestazioni del processo come consigliato anche dal gruppo di lavoro Bioenergy della International Energy Agency - IEA (Drosg, 2013):
1) la caratterizzazione delle biomasse alimentate al digestore anaerobico;
2) la verifica dei parametri chimico-fisici che caratterizzano il digestore anaerobico vero e proprio.
Di seguito si riportano i principali elementi di interesse per questi due importanti punti di controllo del processo.
Caratterizzazione chimico-fisica delle biomasse
I parametri chimico-fisici indispensabili per poter valutare le caratteristiche della biomassa alimentata e quindi formulare la miglior razione di alimentazione al digestore anaerobico sono i seguenti:
- contenuto in sostanza secca, cioè il contenuto di materia che, al netto dell’acqua, caratterizza la biomassa alimentata e definisce quindi la sua densità energetica;
- contenuto in sostanza secca volatile, e quindi, in prima approssimazione la frazione di materiale organico contenuta nella sostanza secca. Questa frazione sarà molto elevata, oltre il 95%, per le colture dedicate (insilati vari) e tenderà a scendere sotto il 90% per letami e liquami che sono per loro natura maggiormente stabilizzati;
- contenuto di sostanza secca inerte (ceneri), questa è la differenza tra i valori del contenuto della sostanza secca e della sostanza secca volatile e rappresenta la frazione di materiale inerte presente nella biomassa. Questo valore può essere elevato, anche oltre il 20% della sostanza secca e va tenuto ben presente al fine di evitare rischi di “intasamento” di pompe, tubazioni e digestore anaerobico;
-contenuto della sostanza organica ossidabile, come COD (domanda chimica di ossigeno) o come carbonio, necessario per poter definire il massimo quantitativo di biogas, e quindi la massima quantità di energia, teoricamente ricavabili da una certa biomassa;
- contenuto di azoto e definizione del rapporto C/N, che dovrà preferibilmente ricadere in un intervallo compreso tra 15 e 30;
- contenuto di metalli in tracce essenziali (cobalto, selenio, molibdeno….), al fine di definire eventuali carenze che possono essere deleterie per il processo di digestione anaerobica (Facchin et al., 2013). Se non presenti a sufficienza, infatti, questi elementi si comportano da fattori limitanti: essi determinano cioè l’impossibilità di un corretto sviluppo dei microrganismi coinvolti nel processo di digestione anaerobica (vedi figura 2) con conseguente “blocco” del sistema e quindi della produzione di biogas: come l’asse più corta determina la capacità, cioè il volume, della botte, così l’elemento limitante determina la capacità di crescita di un organismo vivente. L’elemento che risulta carente è quello che determina la possibilità di crescita dell’organismo. Tipico è il caso dei digestori anaerobici alimentati con solo insilato di mais;
- potenziale di biometanazione (BMP), cioè la definizione per via biologica del potenziale in biogas (o metano) di una determinata biomassa. Ciò si ottiene mediante specifici test condotti in piccoli reattori che simulano il digestore in piena scala e definiscono il massimo quantitativo di biogas (e metano) ricavabile da una certa biomassa per via biologica. Questa informazione risulta fondamentale per capire l’effettivo livello di biodegradabilità e quindi di conversione a biogas per una certa biomassa.
Al fine di dare un quadro generale dei valori attesi per i parametri sostanza secca, sostanza secca volatile, azoto e potenziale di biometanazione per alcune biomasse tipicamente utilizzate nei digestori anaerobici oggi in funzione tra Veneto, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna raccolti nel corso degli ultimi anni dal gruppo di Impianti Chimici del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona sono riportate in tabella.
Queste risultano perfettamente in linea con quanto pubblicato da altri ricercatori italiani attivi nel settore del biogas in ambito agricolo: si vedano a tal proposito, fra gli altri, i lavori di Adani et al. (2008) e Fabbri et al. (2012).
Monitoraggio del processo biologico
Con riferimento al processo biologico anaerobico vero e proprio, numerosi sono i parametri chimico fisici di cui è necessario tener conto al fine di avere piena coscienza dell’andamento del processo così da poterlo realmente ottimizzare.
I più importanti tra di essi sono senz’altro i cosiddetti parametri di stabilità biologica. Questi sono: il pH, il contenuto e specie degli acidi grassi volatili (AGV), l’alcalinità totale e parziale e il rapporto tra acidi grassi volatili e alcalinità, l’ammoniaca.
Di seguito si discutono nel dettaglio il significato e i valori attesi per i parametri menzionati.
Alcalinità totale e parziale: l’alcalinità rappresenta la capacità di un sistema di “tamponare” protoni, cioè gli acidi. Essa si esprime generalmente con unità di misura carbonato di calcio, CaCO3. In un digestore anaerobico questa non è altro che il risultato della presenza di varie specie chimiche quali carbonati e bicarbonati (che derivano in gran parte dalla solubilizzazione della CO2 contenuta nel biogas in acqua), dalla presenza di acidi grassi volatili e da quella dell’ammoniaca. L’alcalinità di un mezzo viene determinata per titolazione con un acido forte. Il valore determinato tra il pH di partenza fino a un valore di pH pari a 4,3 prende il nome di “alcalinità totale” mentre il valore determinato tra il pH iniziale e quello a pH 5,75 prende il nome di “alcalinità parziale”. La differenza tra i due rappresenta, in prima approssimazione, la presenza di acidi grassi volatili, e viene utilizzata per la definizione della stabilità del processo biologico: un tipico esempio è il cosiddetto FOS/TAC (Fluchtighe Organische Sauren/Totales Anorganisches Carbonat) utilizzato nei paesi di lingua tedesca per il monitoraggio degli impianti.
Acidi Grassi Volatili (AGV): gli acidi grassi volatili (AGV) di maggior interesse per il monitoraggio del processo anaerobico sono quelli a catena corta, vale a dire con un numero di atomi di carbonio da 2, l’acido acetico, a 5, l’acido valerico o pentanoico. In generale, non risulta di particolare interesse il valore assoluto della somma degli acidi o della presenza delle singole specie ma piuttosto la loro “variazione” nel tempo e il rapporto relativo tra acido acetico e acido propionico.
Scostamenti significativi del contenuto di acidi grassi volatili e della presenza di acido propionico risultano molto significativi, data la loro sensibilità e influenza sull’alcalinità, per determinare lo stato di salute del digestore anaerobico.
Rapporto AGV/Alcalinità: questo rapporto risulta molto simile (seppur diverso) a quanto ottenuto dal FOS/TAC: in generale rapporti inferiori a 0,3 stanno a indicare un regime di lavoro “stabile” e ben bilanciato del processo biologico mentre valori superiori sono indice di un sovraccarico di AGV a causa di una probabile sovralimentazione del digestore.
Produzione e composizione del biogas: scostamenti dei valori dei parametri descritti sopra si riverberano immediatamente nella produzione e qualità del biogas. Risulta quindi fondamentale associare gli andamenti del biogas prodotto e la presenza relativa di CO2 e CH4 nella miscela del biogas con i parametri di stabilità indicati sopra al fine di meglio interpretare eventuali situazioni di sovraccarico, o, al contrario, di “fame” del digestore anaerobico.
Ammoniaca: la presenza di ammoniaca nel digestore anaerobico dipende dalla qualità delle biomasse alimentate e deriva essenzialmente dalla degradazione delle proteine. Essa è fondamentale entro certi limiti per il corretto funzionamento del processo biologico e per la sua capacità tampone (partecipa all’alcalinità totale del sistema) mentre può divenire “inibente” per la metanogenesi oltre certi livelli.
L’inibizione non è legata tanto alla concentrazione in termini assoluti dell’ammoniaca, ma piuttosto alla presenza dell’ammoniaca libera, NH3, la cui concentrazione dipende da temperatura e pH del sistema.
pH: il valore del pH dipende dall’influenza di tutti i parametri visti sopra. In particolare, ad esempio, laddove il contenuto di ammoniaca è elevato si osserveranno valori di pH maggiori. Tipicamente per i digestori anaerobici che trattino biomasse di origine agrozootecnica ricade in un intervallo compreso tra 7 e 9. Tuttavia è qui necessario richiamare l’attenzione sul fatto che questo parametro, per sua natura, è poco specifico e poco sensibile: vale a dire che risulta difficile condurre un buon monitoraggio basandosi solamente su questo dato in assenza di informazioni sugli altri parametri quali la presenza di AGV e il valore dell’alcalinità.
Strumenti indispensabili
Le caratterizzazioni chimico-fisiche delle biomasse alimentate al digestore anaerobico contestualmente al monitoraggio dei principali parametri di stabilità biologica del processo risultano strumenti indispensabili per l’ottimizzazione del processo anaerobico e delle sue rese di conversione della biomassa in biogas, e quindi energia.
Tutte queste conoscenze, unitamente ai parametri ingegneristici di processo (carico organico, tempo di ritenzione, temperatura del reattore), partecipano alla definizione delle prestazioni del digestore anaerobico così da individuarne eventuali situazioni di problematicità al fine di intervenire e ottimizzare il processo biologico.
di Andrea Mattioli, Nicola Frison, David Bolzonella
La bibliografia è disponibile presso gli autori.
Gli Autori sono del Dipartimento di Biotecnologie, Università degli Studi di Verona - Strada Le Grazie 15 - Verona - Tel 045.8027965 - david.bolzonella@univr.it
Allegati
- Scarica il file: Un buon monitoraggio aumenta la resa di biogas