Il cece (Cicer arietinum) è coltivato su 11 milioni di ettari e rappresenta la terza leguminosa da granella per importanza mondiale, dopo il fagiolo e il pisello. Originario dell’Asia occidentale, nel tempo si è diffuso in India, in Africa e in Europa. Anche se viene ancora considerata una coltura minore, il cece sta incrementando considerevolmente gli investimenti in tutta Italia. Nell’ultimo censimento del 2011, la superficie coltivata a cece era di 5830 ha. Nel 2016 gli ettari sono calati fino a circa 3500 ha, poi negli ultimi due anni la coltura sta nuovamente aumentando e conquistando nuovi areali soprattutto nel Nord Italia come in Emilia-Romagna.
Rabbia e altre avversità fungine
Il cece è attaccato da alcune avversità fungine che colpiscono l’apparato radicale come Rhizoctonia spp., Fusarium spp. e Verticillum spp., mentre l’apparato aereo può essere attaccato dalla ruggine (Uromyces cicer-arietini) e dalla rabbia o antracnosi (Ascochyta rabiei). Quest’ultima è la malattia del cece più frequente e dannosa in tutti gli areali di coltivazioni del mondo.
L’antracnosi è causata da Ascochyta rabiei, un fungo patogeno in grado di sopravvivere sui residui colturali, sul seme e sui ricacci della coltura precedente. Le infezioni sono favorite da un andamento meteorologico fresco e umido e possono prendere avvio dal seme infetto o dalle ascospore trasportate dal vento.
Sulla pianta gli attacchi cominciano lentamente e possono interessare tutti gli organi al di sopra del colletto. Le infezioni producono delle lesioni necrotiche di colore bruno, allungate e leggermente depresse che possono arrivare ad interessare tutta la circonferenza dello stelo fino ad indebolire e rompere gli steli laterali e i peduncoli e a fare disseccare la parte sopra alla lesione infetta. In corrispondenza delle lesioni il fungo produce corpi fruttiferi (picnidi) che si rendono visibili come piccole aree nerastre, leggermente in rilievo, spesso disposte in anelli concentrici.
Tre modalità d'inoculo
In campo, l’antracnosi compare inizialmente a chiazze interessando piccoli gruppi di piante. La distribuzione iniziale della malattia spesso è indice di come l’inoculo primario si sia diffuso. Questo generalmente avviene in tre modi:
- all’interno o sulla superficie del seme;
- per mezzo delle correnti d’aria;
- dai ricacci o dai residui colturali infetti.
Quando i sintomi iniziali sono uniformemente distribuiti è probabile che l’epidemia sia partita dal seme infetto mentre una presenza meno uniforme dei sintomi in campo deriva da conidi diffusi dal vento o dai residui colturali infetti. Dato che la presenza di acqua ibera è essenziale per l’infezione e lo sviluppo della malattia, spesso i focolai di antracnosi si localizzano in avvallamenti del terreno o in corrispondenza di aree soggette ad essere irrigate per aspersione, dove l’acqua tende a ristagnare per un periodo di tempo prolungato.
Con condizioni climatiche favorevoli, i focolai possono allargarsi rapidamente e le lesioni possono estendersi agli organi più alti della pianta interessando anche le foglie e i baccelli da cui si può avere, infine, la trasmissione ai semi. La contaminazione dei semi non è sempre visibile e, anche in laboratorio, può essere difficile isolare il fungo. Solo quando i semi sono gravemente colpiti la presenza di lesioni, raggrinzimenti e imbrunimenti di parte o tutto il seme, facilita la diagnosi.
L’agente causale
Ascochyta rabiei è un microrganismo fungino che, oltre al cece, può occasionalmente attaccare anche erba medica e pisello. Su questi ospiti alternativi di solito le infezioni rimangono latenti o, al più si manifestano in forma lieve. Tali ospiti alternativi, tuttavia, possono giocare un ruolo determinante per la sua sopravvivenza. Sui residui colturali sopravvive per tutto il periodo in cui questi rimangono visibili sulla superficie del suolo. A.rebiei possiede una fase sessuale e asessuale, ognuna in grado di produrre due distinti tipi di spore. Le spore asessuate (conidi) si producono abbondantemente all’interno di picnidi in corrispondenza dei tessuti infetti. Le spore sessuate (ascospore) si producono all’interno di corpuscoli similari (pseudoteci) sui residui della coltura più a contatto con il suolo bagnato. La fase sessuata di A. rabiei, (Didymella rabiei) che si origina da dall’unione sessuata di ceppi compatibili, può contribuire allo sviluppo di nuove razze del patogeno. La riproduzione sessuata contribuisce alla diversità genetica presente nel fungo e pertanto permettergli di sopravvivere su altri ospiti o di superare la resistenza delle varietà tolleranti.
Biologia del fungo e la sua diffusione
La presenza di A. rabiei all’interno e sulla superficie del seme è molto difficile da rilevare per cui la malattia può facilmente diffondersi con la semente infetta. Un’altra fonte di inoculo è rappresentata dalle ascospore prodotte sui residui colturali della stagione precedente, che persistono sulla superficie del suolo e vengono diffuse dalle correnti d’aria. Le ascospore, una volta rilasciate in primavera – inizio dell’estate in presenza di condizioni prolungate di bagnatura, possono essere trasportate anche distanza di chilometri.
Dopo l’evento infettivo, sui tessuti infetti si producono le spore asessuate in grado di causare più cicli infettivi secondari sulle piante vicine, diffondendo la malattia. I conidi vengono prodotti anche con una bagnatura minima e vengono prontamente dispersi dagli schizzi d’acqua e dalle correnti d’aria. Possono tuttavia venire dispersi anche da parti di piante infette, su ospiti di leguminose infestanti come anche dalle macchine usate per le operazioni colturali.
Difesa
L’uso di varietà resistenti è il mezzo più corretto per il contenimento della malattia sia dal punto di vista economico che ambientale. A questo proposito sono state realizzate delle varietà da impiegare, soprattutto, nelle aree con pressione elevata del patogeno e con condizioni climatiche e di umidità favorevoli allo sviluppo della malattia. Anche l’impiego di semente certificata proveniente da aree indenni dalla malattia è fortemente raccomandato in quanto rappresenta la garanzia migliore per evitare danni alla produzione.
Controllo chimico: dal punto di vista normativo il cece è considerato una coltura minore per cui sono pochi i principi attivi impiegabili per la difesa del cece dall’antracnosi. Fortunatamente negli ultimi due anni, grazie allo strumento delle tavole di estrapolazione messe a punto dall’EPPO, sono stati autorizzati per il controllo della malattia alcuni nuovi principi attivi. Al momento per la coltura sono autorizzati i sali di rame e la miscela di pyraclostrobin+boscalid.
Questo non significa che questi formulati specificamente autorizzati possano essere applicati indiscriminatamente; l’eventuale applicazione fungicida infatti, può dimostrarsi inefficace in termini di costo/beneficio se la pressione di inoculo è troppo lieve o se vengono coltivate varietà resistenti. Per questo motivo è fondamentale un monitoraggio della coltura specialmente in primavera-estate per determinare se e quando un eventuale intervento fungicida possa efficacemente essere applicato. Speciale attenzione deve essere prestata nel periodo di crescita vegetativa dell’apparato fogliare per individuare i primi sintomi della malattia e valutarne la progressione epidemica. I fungicidi autorizzati per la concia del seme (sia sistemici che di copertura) hanno scarsa efficacia nei confronti della malattia.
Pratiche agronomiche: A.rabiei può sopravvivere in campo fintanto che i residui colturali infetti e i gli eventuali ricacci rimangono in superficie per cui, dopo la raccolta, dovrebbero essere eliminati con l’aratura. In alternativa i produttori devono applicare rotazioni colturali di almeno 3-4 anni, modo da assicurare una completa devitalizzazione del fungo nel terreno. Dovrebbe essere altresì evitata la coltivazione della coltura in appezzamenti adiacenti a quelli coltivati con cece colpito dalla malattia.