Dopo oltre 70 anni di ricerca nel campo della fitoiatria, è evidente che non stiamo vincendo la “guerra contro i parassiti”.
In tutto il mondo le perdite pre-raccolta nelle principali colture alimentari raggiungono infatti una media del 30%, aggravata dalla conseguente perdita di energia, acqua e altre risorse (vale a dire input agricoli), relativa a quella quota di colture “consumate” da parassiti e malattie. D’altra parte, è ampiamente accettato che in assenza di agrochimici e resistenza della pianta ospite (comprese le colture geneticamente modificate), tali perdite raggiungerebbero livelli dal 50 all’80%.
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L’impiego tradizionale degli agrochimici di sintesi, grazie alla loro impareggiabile ampiezza di applicazioni, rimane la base della gestione dei parassiti nella maggior parte dei sistemi di produzione alimentare visto che gli strumenti sostitutivi, presi a sé stanti, al momento, non riescono a realizzare una sufficiente protezione delle colture.
Nanotecnologie e biostimolanti
Una prima risposta a questo problema può venire dai progressi tecnologici nella formulazione dei principi attivi antiparassitari, sia convenzionali chimici, sia biologici. La formulazione, infatti, può migliorare l’efficacia dei prodotti fitosanitari e ridurre gli effetti negativi nei confronti dell’ambiente.
La microincapsulazione delle singole sostanze attive e la formulazione di nanoparticelle, ad esempio, sembrano essere particolarmente promettenti a questo riguardo. Allo stesso tempo sta aumentando in maniera esponenziale l’impiego dei biostimolanti che potrebbero contribuire a recuperare l’efficacia dei prodotti fitosanitari, in una logica di gestione olistica dei parassiti delle colture.
tab. 1 Strumenti e tattiche di gestione integrata dei parassiti |
|
Categoria | Esempio |
Protettivi esogeni delle colture | Prodotti fitosanitari (incluso i biopesticidi) |
Agenti di biocontrollo (BCA) | |
Biostimolanti | |
Protettivi endogeni delle colture | Organismi geneticamente modificati (OGM)Tecniche di evoluzione assistita (TEA)Miglioramento genetico classico per la resistenza |
Manipolazione dell’habitat/ingegneria ecologica | Gestione dell’acqua, cover-crops, pacciamatura, consociazione colturale |
Coltivazione protetta | Serre, tunnel, coltivazione verticale |
Soppressione della popolazione del fitofago/patogeno | Confusione e/o disorientamento sessuale mediante feromoni, Tecnica dell’insetto/sterile, silenziamento genico (RNAi etc.), Peptidi microbici |
La (scarsa) fiducia nel breeding
Secondo molti ricercatori anche l’introduzione delle colture alimentari geneticamente modificate (Ogm) è necessaria se si vuole avere qualche speranza di produrre i volumi di cibo necessari per soddisfare i bisogni di una popolazione mondiale in rapida crescita. Il principale ostacolo per lo sviluppo e successiva implementazione delle colture ogm è però rappresentato dall’accettabilità pubblica. La fiducia dei cittadini su questa tipologia di strumenti di gestione dei parassiti è infatti molto scarsa e questa contrarietà si riflette sulle scelte delle agenzie governative incaricate di regolarne l’uso.
Una possibile soluzione potrebbe venire dall’utilizzo delle Tecniche di evoluzione assistita (Tea) con le quali è possibile realizzare velocemente nuove varietà resistenti ad alcune fra le più importanti avversità delle piante coltivate.
Purtroppo, col tempo, queste resistenze geneticamente indotte potranno essere bypassate dai parassiti e questo porterà inevitabilmente ad un continuo lavoro di ricerca e di miglioramento (le resistenze vanno difese con strategie adeguate).
Orizzonte Tea
Il miglioramento genetico tradizionale richiede tempi molto lunghi e ingenti risorse sia umane sia economiche: si stima che il tempo medio tra l’inizio di un programma di miglioramento genetico classico e la commercializzazione di una nuova varietà sia intorno ai 10 anni. La valenza rivoluzionaria delle Tea sta nella loro capacità di modificare in maniera mirata, veloce e relativamente poco costosa l’informazione genetica che controlla le caratteristiche di una pianta inducendo variazioni genetiche specifiche. La modifica di singoli nucleotidi, tra i miliardi che compongono il genoma, può determinare nella pianta l’insorgenza delle caratteristiche desiderate. Utilizzando il complesso Cas9-gRNA possono essere così indotte mutazioni nei geni di interesse con effetti molecolari del tutto identici, ma mirati, rispetto a quelli prodotti dalle mutazioni spontanee.
Questo approccio è, ad esempio, particolarmente efficace per inattivare un gene necessario all’infezione di un patogeno, producendo così una pianta resistente. Le Tea offrono in questo caso la possibilità di inserire una nuova informazione genetica in modo preciso (genome editing), sostituendo solo piccole porzioni di DNA. Un’altra strada percorsa dalle Tea è quella della cisgenesi, che è particolarmente efficace per valorizzare la diversità genetica presente nelle specie selvatiche, senza l’incertezza e i tempi lunghi dei programmi di miglioramento genetico.
Silenziamento genico
Una tecnologia simile è quella del silenziamento genico mediato o Interferenza dell’RNA (RNAi). Mediante l’applicazione esogena di un doppio filamento RNA (dsRNA), opportunamente ingegnerizzato per silenziare i geni di una pianta che codificano per la suscettibilità ad una determinata avversità, si è in grado di ottenere una pianta a questa resistente. Una tecnica altamente specifica e potenzialmente dotata di grande efficacia, che condivide tuttavia, pregi e limiti delle varietà, per esempio, di mais codificanti l’espressione della tossina Bt.
Un’altra tecnica potenzialmente impiegabile nel prossimo futuro è basata su specifici formulati da distribuire sulla vegetazione come fossero normali agrofarmaci, a base di dsRna opportunamente ingegnerizzati in grado di silenziare la codifica di determinati enzimi digestivi di alcuni importanti fitofagi o di specifiche caratteristiche vitali di agenti patogeni fungini. Una limitazione dell’RNAi come strumento di gestione dei parassiti è che questi devono ingerire una dose sufficiente di dsRNA per essere eliminati e quindi devono essere sviluppati sistemi di trasporto all’interno del parassita che facilitino tale l’acquisizione. Utilizzando questa tecnologia, è stata sviluppata la prima coltura di mais progettato per gestire la diabrotica del mais (Diabrotica virgifera virgifera).
Questa cultivar, contenente dsRNA e la proteina tossica del Bt, è stata approvata per alimenti e mangimi negli Stati Uniti e Canada. Finora gli organismi dannosi più suscettibili a questa tecnica sembrano essere i coleotteri come appunto la Diabrotica del mais o Leptinotarsa decemlineata (Dorifora della patata) mentre sui principali lepidotteri finora si hanno pochi effetti. Questa tecnologia può anche rivelarsi vantaggiosa per la gestione degli emitteri ad alimentazione floematica che non sono direttamente suscettibili o non esposti a tossine Bt come, ad esempio, la cicalina marrone (Niliparvata lugens), il parassita predominante del riso.
Peptidi ciclici microbici
Le preoccupazioni del pubblico circa i potenziali effetti collaterali sulla salute umana e sull’ambiente dei fungicidi chimici di sintesi, ha stimolato la ricerca e lo sviluppo di nuovi agenti antimicrobici che soddisfino gli standard di salute e sicurezza. I peptidi ciclici antimicrobici prodotti microbiologicamente destano oggi molto interesse per lo sviluppo di una nuova classe di fungicidi. Ciò è in parte dovuto al fatto che la loro struttura possa rompersi nei suoi derivati amminoacidici in seguito all’impiego nell’ambiente agricolo, che ne impedirebbe l’accumulo in composti residuali potenzialmente dannosi. La ciclizzazione di un peptide conferisce una notevole rigidità rispetto alla sua forma lineare.
Questo cambiamento strutturale fornisce un legame migliorato e stabile con i siti target e di tolleranza all’idrolisi da parte delle proteasi a causa dell’assenza di terminali amminici e carbossilici. Queste caratteristiche assicurano che le molecole ciclizzate abbiano un’attività migliore e più affidabile e un’adeguata residualità. I peptidi ciclici antimicrobici lavorano prendendo di mira le caratteristiche fondamentali dell’involucro della cellula fungina. Si pensa che tali modalità di azione riducano il rischio di sviluppo di resistenza nelle popolazioni microbiche.
I peptidi ciclici antimicrobici sono prodotti come metaboliti secondari composti da un massimo di 50 residui di amminoacidi, le cui molecole complesse sono legate, tra le altre, in modo covalente da catene di acidi grassi (lipopeptidi). I peptidi ciclici antimicrobici di origine microbica sono sintetizzati non ribosomicamente da peptidi sintetasi non ribosomiali (NRPS), utilizzando aminoacidi sia codificati che non proteinogenici. Sono stati segnalati un discreto numero di peptidi ciclici con una varietà di strutture attive contro funghi e batteri fitopatogeni. Questi peptidi mirano principalmente a componenti presenti nell’involucro cellulare microbico come chitina, glucano e sfingolipidi. Inoltre, recentemente è stata sviluppata una vasta gamma di peptidi ciclici con proprietà migliorate in termini di attività, specificità, biodegradabilità e tossicità, sintetizzati utilizzando la chimica combinatoria.
Il freno del principio di precauzione
Per avere disponibili in tempi brevi queste novità di fitoiatria molecolare occorre considerare con attenzione anche l’aspetto regolatorio, fermo restando il “principio di precauzione” cardine della politica Ue. Per molte delle tecniche potenzialmente impiegabili non vi sono infatti ancora sufficienti studi sia ecotossicologici sia sul destino ambientale dei formulati, in grado di garantirne l’innocuità. Prima di un loro impiego su larga scala è pertanto necessario che si sviluppino tecniche adeguate in grado di monitorare la loro presenza nell’ambiente e gli effetti, sia acuti che cronici, che potrebbero arrecare all’uomo, agli animali e all’ambiente. Dei formulati chimici di sintesi conosciamo pregi e difetti, la loro efficacia, come e quando applicarli ma soprattutto sappiamo come poterli rintracciare nell’ambiente e sulle derrate alimentari per minimizzare la loro tossicità. È necessario che le stesse conoscenze siano acquisite anche per questi nuovi prodotti biotecnologici prima di un loro impiego su larga scala.
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