«La sostenibilità aumenta con innovazione e formazione»

sostenibilità
Il punto di vista dell’amministratore delegato di Syngenta Italia Massimo Scaglia. Ricerca continua di nuove soluzioni meno impattanti. Ma anche la necessità di un cambio di mentalità da parte degli agricoltori

La sostenibilità, anche economica, come componente imprescindibile e trasversale per ogni soluzione e prodotto. L’innovazione come investimento anche in direzione di un’agricoltura rigenerativa, quella che aiuta a non depauperare il suolo. E ancora, i vincoli imposti dall’Europa sui principi attivi e l’interesse in aumento per i prodotti biological che, nel giro di quattro anni, rappresenteranno un quarto del business totale dell’azienda. Così Massimo Scaglia, da un anno e mezzo amministratore delegato della filiale italiana di Syngenta, ha fatto il punto sui principali obiettivi e indirizzi della multinazionale svizzera dell’agrochimica nel nostro Paese.

Come si è mossa Syngenta sul tema della sostenibilità?

«Abbiamo iniziato destinando risorse specifiche alla sostenibilità e creando una divisione dedicata. Ci siamo, poi, resi conto di come, in realtà, il tema sia trasversale. Oggi ciascuna funzione e ciascuna unità di business hanno necessariamente a che fare con la sostenibilità, che è diventata una componente irrinunciabile. Questo ha di fatto avvicinato tutte le varie aree dell’azienda e le iniziative sono molteplici, quasi sempre legate all’impiego sostenibile delle nostre soluzioni tecniche, delle nostre innovazioni.
Quanto più noi portiamo innovazione sul mercato, tanto più il tema della sostenibilità diventa un elemento qualificante della nostra offerta. Per esempio, abbiamo lanciato quest’anno un nuovo prodotto che si chiama Exployo Vit, un feromone per il controllo della tignoletta della vite che può essere applicato per via fogliare, non più attraverso dei dispenser. Questo rende il prodotto molto più semplice come impiego, parte integrante delle normali applicazioni che vengono eseguite anche con altri prodotti, come i fungicidi sulla vite. Quindi per certi aspetti è anche più sostenibile. Syngenta ha in corso circa 300 progetti a livello globale proprio sulla sostenibilità e sta investendo molto anche sulla formazione degli agricoltori. Ovviamente la sostenibilità è anche economica e con quella ambientale deve andare di pari passo. L’agricoltore deve riuscire a produrre in maniera sostenibile anche dal punto di vista economico».

Per quanto riguarda invece la politica dell’Ue che impatto ha avuto il Green deal?

«Ci siamo trovati tutti molto d’accordo sotto l’aspetto concettuale, ma non pensiamo che ci sarà un cambiamento drastico sugli agrofarmaci. Si arriverà comunque a una maggiore riduzione di consumi di agrofarmaci o comunque all’impiego di soluzioni tecniche con ridotto impatto ambientale. Stiamo facendo tutti questo percorso, ma il problema è legato ai tempi e di realizzazione, anche a causa di una certa burocrazia, per la registrazione degli agrofarmaci. I tempi richiesti dall’autorità spesso non sono compatibili con quelli tecnici. Soffriamo di più per l’approccio ideologico e spesso ci confrontiamo con valutazioni di chi pone problematiche magari senza conoscere a fondo qual è la realtà produttiva e quali sono le esigenze».

I risultati più recenti raggiunti in tema di tecnologie innovative in agricoltura?

«Nel rientro in Italia dopo tanti anni passati in Svizzera ho trovato un’agricoltura decisamente più innovata, ma è necessario trasformare queste esperienze positive in un modello replicabile. Ce lo siamo posti proprio come obiettivo, lavorare con un certo numero di aziende più orientate all’innovazione per provare a costruire dei modelli operativi in base alle necessità, che possono essere così scalabili per essere estesi a un gruppo più ampio di aziende. Per quanto riguarda Syngenta contiamo a investire sugli agrofarmaci, nella chimica di base. E abbiamo prodotto un certo numero di nuove molecole che sono state lanciate nei mercati di tutto il mondo. È ovvio che gli agrofarmaci di oggi non sono quelli di 50 anni fa e c’è stata un’evoluzione incredibile nella qualità dei prodotti, di cui l’Europa spesso non tiene conto. Stiamo lavorando molto a questo proposito sull’agricoltura rigenerativa, un insieme di pratiche che mira a conservare la salute del suolo. Ci sono soluzioni che abbiamo introdotto sul mercato per evitare un eccessivo depauperamento del suolo. Per esempio, come l’Azotobacter Salinestris, un batterio che fissa l’azoto per il cereale e per le oleaginose esclusivo di Syngenta che può sostituire il concime chimico. Un boccettino di 50 ml equivale a 60-70-80 kg di urea. La sfida attuale è, pertanto, quella di stimolare le aziende ad adottare tecniche di agricoltura di precisione, come le applicazioni di fertilizzanti a rateo variabile, solo dove servono e nel momento giusto. Ovviamente esistono realtà agricole più avanzate in questo senso e altre che sono un po’ meno anche a causa della frammentarietà del mercato».

Quanto investe Syngenta in innovazione?

«Come fatturato globale rispetto al nostro fatturato investiamo circa tra l’8 e il 9% dei nostri ricavi. Una parte importante delle risorse va alla difesa dei prodotti esistenti, poi per l’attività di sviluppo, anche sulle sementi, delle nuove tecnologie. In particolare, stiamo spendendo molto di più del passato sui prodotti di origine naturale, i prodotti biological e nel giro di quattro anni prevediamo che rappresentino fino a un quarto del nostro del nostro business totale. Per noi, tuttavia non esiste un biologico o un convenzionale, ma un modo di fare agricoltura che preveda l’impiego dove è possibile, efficace e sostenibile, di quanto di meglio il progresso può offrire. Anche in questo caso si è spesso ostacolati dai tempi lunghi anche per la registrazione di questi prodotti in Europa che richiedono, dalla scoperta della molecola, anche 8-10 anni».

È ancora possibile, vista la forte riduzione dei principi attivi imposta dall’Europa, difendere le colture?

«Ci sono alcuni patogeni che oggi fanno fatica a essere controllati. in Italia, per esempio, ci sono alcune patologie nel pero che stanno rendendo molto difficile produrre. Alcuni ettari vengono addirittura convertiti in altre colture proprio perché molti prodotti sono stati cancellati. In un Paese come l’Italia, così ricco di biodiversità, con più di cento culture produttive di interesse agrario non è facile fare investimenti su tutte. Quindi spesso ci sono patogeni su alcune colture per i quali non esistono soluzioni. Tutte le analisi degli ultimi anni confermano, in ogni caso, che la presenza di residui è inferiore al 2% dei campioni totali e sempre al di sotto della soglia ammessa. Lo dicono i dati dell’Osservatorio messo a punto nell’ambito della nostra associazione Agrofarma. Collaboriamo anche, assieme alle associazioni di categoria, nella formazione degli agricoltori, aiutandoli nei percorsi di difesa per creare dei protocolli specifici per coltura».

Syngenta ha progetti e collaborazioni con enti di ricerca pubblici, università?

«A livello globale abbiamo 500 collaborazioni che mirano a trovare nuove soluzioni utilizzando appunto delle competenze specifiche che cerchiamo di trasformare in opportunità disponibili per un maggior numero di utenti. Certo le dimensioni implicano certi parametri e vincoli, ma per non perdere le opportunità anche le più piccole a livello locale, abbiamo lanciato Syngenta Talent, un progetto che promuove startup, giovani ricercatori, studenti o comunque gruppi universitari a presentare progetti che possono portare innovazione in agricoltura. Ne abbiamo selezionati alcuni e attraverso una giuria di diversa provenienza ne è uscito un vincitore che è stato sostenuto da Syngenta. È stata un’esperienza molto bella perché ci ha messo a contatto con realtà a noi sconosciute mantenendo il contatto anche con le università più piccole».

«La sostenibilità aumenta con innovazione e formazione» - Ultima modifica: 2024-07-17T08:08:35+02:00 da Simone Martarello

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento
Per favore inserisci il tuo nome