Uno sciopero della fame per la sopravvivenza di un intero territorio la cui economia è basata sulla zootecnia. In Sicilia Sebastiano Lombardo, e in Campania Pasquale D’Agostino, a oggi, 26 ottobre, sono arrivati al nono giorno di sciopero della fame per sensibilizzare le istituzioni sul problema brucellosi e tubercolosi. Il primo è allevatore di bovini con base aziendale tra Troina in provincia di Enna e Cesarò, in provincia di Messina. Il secondo allevatore di bufale a Casal di Principe, in provincia di Caserta.
Non mangiano, bevono quanto basta per non disidratarsi, ma rilasciano interviste, partecipano ad assemblee, incontrano i politici locali e fanno volantinaggio alla vecchia maniera, distribuendo flyer in occasione di fiere e sagre, o utilizzando i social. A tutti raccontano la stessa storia, lunga almeno trent’anni. Trent’anni in cui - senza avere colpe e forse perfino senza fondamento - hanno dovuto vivere sotto una spada di Damocle: il pericolo che nelle le loro stalle fossero trovati soggetti positivi alla brucellosi o alla tubercolosi.
Trent'anni di lotta contro brucellosi e tubercolosi
In trent’anni, infatti, nel Mezzogiorno d’Italia, nonostante l’avvio di numerosi piani di eradicazione, le due zoonosi non sono mai state debellate. E non solo. Risulta strana e sospetta la distribuzione territoriale delle migliaia di focolai aperti (cioè di stalle e/o allevamenti con capi infetti) negli ultimi vent’anni. Infatti, nonostante le norme di polizia veterinaria siano le stesse dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, è nelle regioni del Sud che si concentrano i casi rilevati dai servizi veterinari regionali. Casi presunti, affermano gli allevatori, perché, benché emersi durante controlli in vivo, sono stati poi smentiti nella quasi totalità dai test analitici post mortem.
Ma veniamo ai numeri. Negli ultimi vent’anni sono stati aperti in Italia 11.734 focolai di brucellosi. Di questi il 61,47% in Sicilia, il 18,34% in Campania, il 9,05% in Calabria e il 5,7% in Puglia. Analoga la distribuzione territoriale per i casi di tubercolosi, benché complessivamente inferiore: su un totale nazionale di 4.494 focolai il 68,1% è stato segnalato in Sicilia, il 15,34 in Campania, il 5,5 in Calabria e il 3,88 in Puglia. Nel resto d’Italia poco o nulla, cosicché quasi tutte le stalle risultano indenni.
Controanalisi e sospetti
La vicenda, almeno in Sicilia, ha sempre destato sospetti. Ma lo stesso è avvenuto in provincia di Caserta, dove la trasmissione Report ha realizzato un lungo reportage. Per qualche allevatore si tratta di inadeguatezza delle norme e delle tecniche diagnostiche. Altri pensano a superficialità, altri ancora a malaffare e interessi oscuri.
In Sicilia c’è stato chi, come Sebastiano Lombardo, dopo aver subito numerosi ordini di abbattimento per capi che da vivi risultavano affetti da brucellosi (salvo poi scoprire dalle analisi post mortem che erano sanissimi), s’è messo a studiare tutta la materia della sanità veterinaria. Scoprendo così che in Italia, nonostante un regolamento Ue lo preveda, non sono ammesse le analisi in contraddittorio e che, nella vicenda che lo riguarda e lo accomuna ad altri allevatori, il sistema appare poco trasparente (ci sono indagini in corso e l’allevatore ennese, da noi sentito, non ha voluto aggiungere altro).
Ma i sospetti non sono si sono fermati alla Sicilia e alla Campania. Lo stesso è capitato in altre regioni del Sud, dove gli allevatori si sono coalizzati con l’intento di fare chiarezza sui piani di eradicazione una volta per tutte. Hanno spinto così alcuni parlamentari nazionali a presentare mozioni e interpellanze. Il risultato è arrivato praticamente subito: il governo, incalzato dal Parlamento, ha deciso di nominare un Commissario nazionale per il risanamento degli allevamenti meridionali da brucellosi e tubercolosi. Battaglia vinta, dunque? «Nient’affatto – afferma il portavoce di Altragricoltura Gianni Fabris –. Il provvedimento di nomina del Commissario nazionale è pronto da mesi ma mancano la firma del ministro della Salute».
E allora che fare? La rete “Salviamo l’allevamento di territori” ha lanciato una petizione, presentata lo scorso 17 ottobre durante una conferenza stampa a Montecitorio. La petizione online, per la quale è già partita la raccolta delle firme, rivolta al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e al ministro della Salute, Orazio Schillaci, chiede che «il governo - spiega Fabris - adotti un atto risolutivo in sintonia con le indicazioni che il Parlamento da tempo ha avanzato». Tradotto in parole povere, la nomina di un commissario nazionale che intervenga in tutte le aree in cui il problema tubercolosi e brucellosi non è ancora risolto.
Nel corso della conferenza stampa Gianni Fabris ha anche lanciato denunce pesanti:«Ci sono troppe zone d’ombra e troppi interessi oscuri che si muovono nell’ambito della sanità animale del Mezzogiorno d’Italia. Lo dimostra il fatto che il provvedimento di nomina del commissario già predisposto da mesi è ancora fermo al palo».
Dalla Sicilia rincara la dose Sebastiano Lombardo: «È in atto una scellerata e deliberata volontà di distruggere l’allevamento di territorio, che è poi quello che assicura economia nelle aree difficili e presidio contro le catastrofi naturali a cominciare dagli incendi che questa estate hanno flagellato molte aree della nostra Isola”. “Come si spiega - si chiede Lombardo - che in un anno la Francia ha registrato oltre un milione e mezzo di capi bovini in più, mentre in Italia ce ne sono un milione in meno? È un caso che questo crollo sia avvenuto prevalentemente al Sud?».
La protesta partita da Campania e Sicilia, con lo sciopero della fame di due allevatori, adesso coinvolgerà altri territori: Calabria, Basilicata e Molise. Ed è solo l’inizio.
È una battaglia per la sopravvivenza dei territori delle zone interne del meridione. Se si eradicano gli allevamenti anziché la BRC e la TBC viene a mancare il presidio che per millenni ha preservato il territorio dal dissesto idrogeologico, dagli incendi e salvato le comunità dallo spopolamento oggi sempre più dramnatico