La zootecnia sarà sempre più di precisione e la stalla da latte sempre più una smart, capace cioè di produrre nel modo più efficiente possibile non per scelta, ma per necessità: nel 2050 la popolazione dovrebbe arrivare a 9,6 miliardi di individui e secondo le stime della Fao aumentare del 70% la richiesta di alimenti e raddoppiare quella di proteine animali, prevalentemente dai paesi in via di sviluppo. Lo ha sottolineato Andrea Galli del Centro di ricerca zootecnia e acquacoltura del Crea di Lodi nella sessione mattutina del Milk Day, organizzato da Edagricole e Fieragricola a Verona.
Una giornata dedicata alla stalla da latte del futuro che sarà quindi sempre più grande e produttiva grazie alla zootecnica di precisione. Ma cosa significa? «Cambierà l’approccio: meno lavoro manuale e più di concetto – ha precisato Galli -, meno tempo in azienda sugli animali e più tempo dedicato al computer per monitorare, ma soprattutto per massimizzare, la produzione di latte in allevamento».
La precision farming consente di passare dalla gestione della mandria nel suo insieme alla gestione del singolo capo. «Con la zootecnia di precisione – ha spiegato Galli - una stalla di grandi dimensioni diventa più efficiente dal punto di vista produttivo grazie al controllo del benessere animale con tecniche digitali di misura capaci di rilevare in modo preciso i dati di interesse. Ecco quindi l’utilizzo di sensori, come telecamere, anche a infrarossi, Nir, l’attivometro o il microfono, che misurano e generano dati, ma anche l’elaborazione di un modello che li interpreta e dà un segnale o un avvertimento sulle condizioni dell’allevamento (figura 1)».
Le tecnologie digitali sono quindi in grado di indicare se la bovina è sofferente sotto l’aspetto della ruminazione, importante per l’alimentazione, o a esempio misurare la percentuale di sostanza secca dell’insilato di mais nella razione quotidiana, così come possono rilevare rialzi termici nell’animale e patologie in atto o che stanno nascendo agli arti, ai piedi o le mastiti.
Esempi di zootecnia di precisione sono i sensori della ruminazione e del movimento in un collare applicato agli animali, i sistemi robotizzati per la somministrazione degli alimenti, i robot di mungitura, un sistema che misura lo stato riproduttivo e metabolico dell’animale o i sistemi che misurano le caratteristiche del latte e la sua composizione nella sala di mungitura.
«I dati - spiega sempre Galli - vengono acquisiti e caricati in un supporto dematerializzato, il cloud, mediante il quale viene elaborato un modello decisionale di gestione della stalla. Il futuro della zootecnia è questo, passare dall’operatore all’automazione robotica sempre più spinta (figura 2)».
Sostenibilità e benessere
In futuro l’allevamento dei bovini da latte dovrà diventare sì sempre più efficiente, ma anche sostenibile. Ossia gli sarà richiesta un’altissima produzione per capo ma nel contempo dovrà rispettare il principio del benessere animale e diminuire il consumo di risorse ambientali. Lo rivelano le indagini di mercato svolte sul consumatore, come ha ricordato Luigi Bertocchi del Centro di Referenza nazionale del benessere animale dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna. «Il benessere animale che prima era solo uno stato sanitario oggi diventa – ha rimarcato Bertocchi – anche una percezione sociale. Il benessere però ha anche un costo che deve essere comunicato al consumatore e quindi anche remunerato in modo adeguato».
Spesso, inoltre nell’immaginario del consumatore il benessere viene identificato con il pascolo. «Non è sempre così – spiega Bertocchi -, perché uno studio scientifico ha dimostrato che le bovine da latte preferiscono trascorrere metà del proprio tempo in stalla, dopo la mungitura della mattina e solo dopo la mungitura della sera scelgono di andare al pascolo».
Ci sono numerose pubblicazioni scientifiche sul benessere animale, ha precisato Bertocchi, che è un concetto biologico basato sui rischi ambientali e sull’adattamento dell’animale all’ambiente e si può misurare con un algoritmo. È quindi possibile valutare correttamente il benessere animale con metodologie scientifiche e impostare progetti di miglioramento, di valutazione e di analisi».
Le linee guida per garantire qualità e quantità degli insilati
Angelo Stroppa, responsabile del Servizio tecnico del Consorzio del Grana Padano dop, ha illustrato le linee guida stabilite dal Consorzio di tutela per garantire qualità e quantità degli insilati. Stroppa ha citato anche i numeri aggiornati della dop del Grano Padano che conta su 129 caseifici produttori, 153 stagionatori e 184 confezionatori a fronte di 4.299 aziende zootecniche che conferiscono il latte, pari al 23% della quota nazionale. Nel 2017 sono state prodotte 4.942.054 forme (+1,70% vs 2016), pari a 190.352,582 tonnellate (+2,40%) (figura 3).
Il disciplinare autorizza l’impiego di insilati nella razione alimentare come trinciati di mais e fieno silo (tranne che nella produzione del Trentingrana).
«L’uso degli insilati nell’alimentazione – ha spiegato Stroppa – presenta il rischio di una presenza di spore da clostridi che possono contaminare il latte ma che si possono tenere sotto controllo con l’igiene nella stalla e in fase di mungitura. I clostridi sono infatti in grado di influire negativamente sulla qualità del formaggio creando dei gonfiori in fase di stagionatura”. L’insilamento deve essere pertanto eseguito in modo corretto: si basa sull’acidificazione di parte degli zuccheri contenuti nel foraggio in assenza di ossigeno ad opera di batteri lattici che trasformano appunto il lattosio in acido lattico. Il mais è ideale per gli insilati perché ha un contenuto di zuccheri più elevato rispetto a quello delle proteine vegetali. La mancanza di ossigeno durante la fermentazione è fondamentale per evitare lo sviluppo di lievi e muffe che poi agevolano la crescita dei clostridi, portando a perdite di prodotto, alla riduzione del suo valore nutritivo e in casi estremi anche alla comparsa di micotossine nel latte (figura 4). La qualità del silomais si ottimizza con l’impiego di barriere di film plastici meno permeabili all’ossigeno.
Il Consorzio di tutela ha realizzato un vademecum che spiega come procedere per ottenere un buon insilamento in trincea e come ridurre le perdite economiche negli insilati di mais: occorre scegliere una trincea stretta per avere almeno 25 cm di avanzamento al giorno in estate e 15 cm in inverno e compattare molto bene l’insilato con macchine pesanti. Bisogna inoltre utilizzare i teli anche per le pareti laterali, utilizzare preferibilmente teli barriera all’ossigeno e appesantire la massa con ghiaia o altri sistemi (figura 5).
L’8% di perdita di insilato, ha fatto sapere sempre Stroppa, è fisiologico e non si può evitare e si è calcolato che in un allevamento di 400 vacche con un fabbisogno di 4mila tonnellate di insilati (al costo di 50 euro a tonnellata) si compensa con l’acquisto di mangimi per 23mila euro. Bisogna però evitare che la perdita aumenti e si è calcolato che la perdita arriva al 16% di valore energetico dell’insilato l’esborso per i mangimi sale a 46.400 euro (figura 6).
Le attenzioni in campo e in stalla per produrre Parmigiano Reggiano
Marco Nocetti del servizio tecnico del Consorzio del Parmigiano Reggiano Dop ha spiegato invece quali sono le attenzioni in campo e in stalla per produrre latte da trasformare in Parmigiano Reggiano. «Occorre - ha spiegato - tutelare e valorizzare la flora lattica mesofila che viene dal latte ed è responsabile, in estrema sintesi, della degradazione delle proteine lungo la stagionatura che porta poi alla formazione dei composti tipici da cui dipendono infine le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del Parmigiano Reggiano. Nel latte che viene prodotto per la dop bisogna evitare tutto quello che va a interferire sulla flora mesofila: abbiamo quindi bisogno di un basso contenuto di cellule basso e di una bassa carica batterica, di grande capacità di coagulazione e di molta caseina». Si parte dall’alimentazione, ad esempio la granella di mais viene fornita da mangimifici selezionati (e autorizzati a rifornire gli allevatori del circuito) che effettuano l’analisi delle materie prime (che devono provenire per almeno il 50% dal comprensorio) per garantire il rispetto dei parametri.
Il Consorzio di tutela ha avviato con alcuni partner numerosi progetti di ricerca: con l’Anafi è in corso un progetto che si propone di individuare il foraggio più adatto per gli allevamenti della filiera del Parmigiano Reggiano, con l’Università di Padova si lavora sulla coagulabilità del latte, con l’Università di Parma sulla genomica sulla genetica della flora mesofila del latte, l’Università di Milano sulle mastiti.
Il mercato oggi richiede, come ha rimarcato sempre Nocetti, oltre alla qualità del prodotto anche l’eccellenza del processo produttivo e per questo sembra disposto a spendere il 20% o 30% in più. «La qualità del processo si identifica con un allevamento sostenibile non solo da un punto divista economico ma anche ambientale e sociale, quindi con un utilizzo ridotto di prodotti fitosanitari e con il rispetto del benessere animale. È chiaro che queste informazioni vanno raccontate in modo trasparente con lo strumento delle certificazioni. Alcune di queste nuove certificazioni sono già partite come quella del prodotto di montagna che spunta da 20 a 40 centesimi al chilo in più, o quelle che garantiscono il prodotto non ogm, bio, kosher o halal o prodotto con il latte delle vacche rosse dell’Appennino Reggiano».