Impazzano le contraffazioni di Parmigiano Reggiano negli Usa, dove 9 forme su 10 vengono spacciate per made in Italy; in pratica 100mila tonnellate di prodotto vengono vendute con il termine “parmesan” e in confezioni che richiamano l’Italia, ingannando il 67% dei consumatori americani. Ma sono proprio questi ultimi, le vittime dell’Italian sounding, che potrebbero diventare i migliori alleati dell’Italia nel negoziato Ue-Usa Ttip nella difesa delle indicazioni protette.
A intravedere questa nuova possibilità, ribaltando una situazione che per ora è a svantaggio dell’Italia, è Paolo De Castro, coordinatore S&D della Commissione agricoltura al Parlamento europeo e relatore permanente del Trattato commerciale, intervenuto ad un convegno del consorzio del Parmigiano Reggiano, il quale sta lavorando per trovare una soluzione giuridica a questo fenomeno di dimensioni economiche grandissime, oltre 30 miliardi l’anno.
Ed è proprio il consorzio ad avergli “alzato la palla”, presentando una ricerca, sviluppata da Aicod, che fa il punto sulle contraffazioni del formaggio più falsificato al mondo, evidenziando il danno per i produttori italiani e per i consumatori statunitensi. «Questa ricerca apre una nuova pista nel negoziato Ue-Usa Ttip, il cui prossimo round è previsto a febbraio», spiega De Castro. Secondo il quale «spostare il punto di un possibile accordo dal produttore al consumatore potrà aiutare nella tutela dei prodotti ad indicazione geografica».
De Castro ricorda che negli Usa ci sono potenti associazioni dei consumatori che si battono per far avere informazioni trasparenti.
«Per il Parmigiano Reggiano siamo di fonte a un chiarissimo caso di confusione sul mercato se non di una vera e propria contraffazione – aggiunge ancora De Castro – ma saranno proprio le associazioni dei consumatori i nostri migliori alleati nella lotta alla contraffazione dei prodotti agroalimentari italiani ed europei nel negoziato Ttip, perchè vorranno sapere loro, innanzitutto, se il parmesan è davvero italiano o fatto nel Nebraska».
I dati, secondo la ricerca del consorzio, sono espliciti: per il 67% dei consumatori statunitensi il termine parmesan non è affatto generico, come sostengono invece le industrie casearie americane, ma identifica un formaggio duro con una precisa provenienza geografica, che il 90% degli intervistati indica senza alcun dubbio nell’Italia.
Un inganno che negli Usa, ha fatto notare il direttore del consorzio, Riccardo Deserti, colpisce decine di milioni di consumatori, costituendo un grave pregiudizio all’incremento delle esportazioni made in Italy. Gli Stati Uniti, infatti, si collocano al terzo posto dopo Germania e Francia nella classifica delle esportazioni di Parmigiano Reggiano; nel 2014 sono giunte oltreoceano 6.597 tonnellate, quasi il 18% delle 44mila tonnellate totali, aumentate a fine 2015 di ben il 28%.
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