Vasche piene, terreni saturi Dove metto i liquami?

Le piogge di ottobre hanno impedito la distribuzione e ora arriva il blocco invernale. Per il futuro necessarie copertura delle vasche e scelte agronomiche diverse

Distribuire liquami in un campo dove sono caduti 300 millimetri di pioggia in due settimane è un po’ come dar da bere a un pesce. Non proprio un waterboarding (la tortura dell’annegamento simulato, ndr) ma quasi.

Non c’è logica agronomica nel sotterrare reflui zootecnici in terreni già saturi d’acqua, ma è quanto potrebbero essere costretti a fare nelle prossime due settimane allevatori e proprietari di biodigestori per vuotare le vasche, ormai stracolme di liquami e pioggia prima del blocco totale, che scatterà a inizio dicembre. Da allora e fino al 31 gennaio, come sa bene chi si occupa dell’argomento, sarà vietato riversare sui terreni a riposo anche un solo litro di liquami o digestato. E dunque, se non c’è logica agronomica in una fertilizzazione organica stante la situazione attuale, ce n’è sicuramente una burocratica: bisogna liberare spazio per superare i prossimi 90 giorni, perché digestori, vacche e suini i liquami li producono anche in dicembre e gennaio e da qualche parte si devono pur mettere. Il rischio, ventilato da più parti e talvolta anche espressamente richiamato, è che si mettano dove non servono o, peggio ancora, dove non dovrebbero andare, vale a dire in terreni che non li possono assorbire e dunque, per ovvia conseguenza, nelle scoline e successivamente nei corsi d’acqua, prima tappa di un percorso che porta dritti al mare.

Articolo pubblicato sulla rubrica Primo piano di Terra e Vita

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Emilia e Lombardia sature

Sebbene le piogge abbiano interessato un po’ tutto lo Stivale, con l’eccezione del Sud, è in Pianura Padana che si registra la situazione più difficile per quanto riguarda la concimazione organica. Se non altro, perché è qui che si registra la massima concentrazione di stalle, porcilaie e impianti per la produzione di biogas. Tre tipologie molto diverse, ma con un punto in comune: la grande produzione di liquami, che nel caso del biogas prendono il nome di digestato. Il loro impiego come fertilizzante organico è rigidamente vincolato a uno specifico calendario. Che prevede, nel corso dell’anno, tre mesi di riposo per i terreni. I due già citati (dicembre e gennaio) più altri 30 giorni, da ricavarsi nei mesi di novembre e febbraio, che dunque offrono possibilità di spandimento per due sole settimane su quattro. A decidere quando si può lavorare e quando no, sono le agenzie ambientali delle varie regioni, meteo alla mano. L’obiettivo è evitare nel modo più assoluto che i reflui siano sparsi in giorni di pioggia, con neve o comunque quando vi è il concreto rischio che, anziché grano e mais, vadano a fertilizzare le alghe in Adriatico. Solitamente, allevatori e agricoltori, ben conoscendo le regole, si organizzano per tempo, distribuendo liquami e digestato tra una coltura e l’altra e, da ultimo, a inizio autunno, prima delle semine dei cereali a paglia, quando i terreni sono liberi e in tempera.

I solchi profondi lasciati da un mezzo agricolo transitato in un terreno impregnato d’acqua

Un mese “infernale”

Quest’anno, no. Ottobre è stato costellato di precipitazioni: praticamente una perturbazione a settimana per tutto il mese. Uno scenario da inferno dantesco “Io sono al terzo cerchio, de la piova etterna, maladetta, fredda e greve; regola e qualità mai non l’è nova” (Inferno VI, 7-9). Piogge abbondanti, talvolta molto abbondanti, che hanno saturato i terreni, rendendo impossibile entrare in campo con i pesanti mezzi utilizzati per la distribuzione dei reflui. In aggiunta, le piogge hanno impedito la raccolta di colture seminate – sempre a causa della pioggia caduta in primavera – con estremo ritardo. Sono così ancora in attesa di trebbiatura e trinciatura migliaia di ettari di mais, e di soia, centinaia di sorgo e pomodoro da industria. In questi campi, se anche le condizioni del terreno lo permettessero, ovviamente non è possibile fare concimazione, né lo sarà finché i raccolti li occuperanno e il sottosuolo non si sarà almeno parzialmente asciugato.

La situazione è dunque la seguente: allevamenti e impianti energetici hanno le vasche piene, perché non sono riusciti a distribuire gli effluenti. Talvolta nemmeno in estate, tra il primo e il secondo raccolto, per mancanza di tempo e perché già allora i terreni grondavano acqua. In campo vi sono ancora grosse superfici da raccogliere, i terreni non ricevono ulteriori liquidi e la moratoria allo spandimento si avvicina inesorabilmente.

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Panoramica sulla situazione

«L’altro giorno stavo lavorando sulle ghiaie, ma nonostante ciò, senza una buona discatura l’acqua non scende, resta in superficie, perché anche sotto è pieno d’acqua. Del resto, se si apre un pozzo artesiano, a mezzo metro di profondità c’è già acqua». Mattia Carega è un contoterzista piemontese, nonché agricoltore e suinicoltore. Fa servizio reflui per sette impianti di biogas, più alcuni allevamenti. «Noi siamo fortunati: le nostre vasche sono quasi vuote, perché siamo riusciti a lavorare nelle due finestre senza pioggia di settembre e ottobre. Per cui, ora facciamo mantenimento, interrando 35 metri cubi per ettaro su sabbioni golenali e suoli ghiaiosi. Ma in certi campi è impossibile andare, anche con i semoventi a tre ruote, che riducono al minimo la pressione sul terreno». Pur usando mezzi con pneumatici extra-large, dice, se si dovessero iniettare dosaggi importanti sarebbe impossibile fare un buon lavoro, dopo che in un mese sono caduti, sul Basso Piemonte, 350 mm di pioggia.

Non va meglio in Emilia-Romagna, una delle regioni più flagellate dal maltempo autunnale. «Già in primavera avevamo fatto poco su erbai e cereali vernini, nonostante avessimo l’attrezzo giusto: una barra con dischetti disegnata proprio per quelle situazioni. Ma le piogge continue ci hanno impedito di lavorare. Le vasche erano quindi già piene in estate, quando abbiamo faticato a distribuire su stoppie bagnate dalle precipitazioni di giugno. E così siamo arrivati a oggi, con le campagne allagate e i terreni saturi di acqua. Gli allevatori ci chiedono di fare lo spandimento, ma per farlo dovremmo avere dei mezzi volanti, non su ruote». Claudio Maestri, parmense, fu tra i primi contoterzisti a credere in una gestione razionale ed efficiente degli effluenti, ben oltre vent’anni fa. Oggi è ancora specializzato in questo tipo di attività, che tuttavia nel 2024 ha riservato soltanto delusioni. «Facciamo questo lavoro da una vita, eppure da anni non vedevo terreni così bagnati. Ora arriviamo nel periodo delle finestre di spandimento. Ma in queste condizioni dove andiamo? Anche se ci danno una finestra per lavorare, su che terreni lavoriamo?». Il rischio, spiega l’agromeccanico parmense, è che i reflui non siano valorizzati ma smaltiti. «I campi sono stati calpestati per raccogliere i prodotti sul bagnato, per cui assorbono già meno del normale. Se in più il terreno è saturo non beve per nulla e c’è il rischio che i reflui finiscano nei corsi d’acqua. Già oggi, anche dove si riesce a lavorare, si raccolgono nelle carreggiate del carrobotte». Per questo motivo, Maestri vedrebbe bene una deroga al normale calendario annuale. «Dicembre e gennaio sono chiusi, a novembre e febbraio si lavora metà mese. Se perlomeno aprissero tutto novembre allo spandimento, sarebbe un inizio. Le autorità dovrebbero dire che non si va con la pioggia, il gelo o la neve e poi, a parte queste situazioni, dovrebbero lasciar fare a noi».

Deroga totale

Va anche oltre un altro veterano dello spandimento intelligente come Adriano Chiari, a capo di un’azienda che con otto mezzi semoventi lavora dal Piemonte al Veneto, passando per Emilia e, ovviamente, Lombardia, dove ha sede l’attività. Per il 2024, alla luce di decenni di esperienza, arriva a chiedere una deroga totale, che cancelli ogni divieto. «Dobbiamo decidere cosa vogliamo fare: valorizzare o smaltire. Con la situazione attuale, che vede i terreni saturi e il 30% delle colture ancora in campo, anche una deroga parziale, per esempio per il mese di novembre, porterebbe non a valorizzare ma a smaltire i liquami, perché tutti si butterebbero a distribuire nelle finestre utili e sui pochi terreni praticabili, che ci siano le condizioni agronomiche o meno. C’è insomma il rischio che il calendario, che dovrebbe evitare rischi di inquinamento, finisca per trasformarsi in una causa di inquinamento esso stesso. Per questo, io dico che per quest’anno non dovrebbe proprio esserci un calendario, ma un impegno di tutti a lavorare come si deve. In altre parole, quando ci sono le condizioni agronomiche si fa distribuzione, valorizzando il prodotto ed evitando inquinamenti. Se non ci sono, si sta fermi. In questo modo ci sarebbe ancora la possibilità di fare un buon lavoro, visto che le semine dei cereali vernini continueranno fino a dicembre inoltrato. In caso contrario, si farà uno smaltimento poco utile a fini nutrizionali e con il pericolo di inquinare le acque».

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Anomalie sempre meno anomale

Siccità senza precedenti nel 2022, siccità seguita da piogge alluvionali nel 2023, clima equatoriale nel 2024: tre anni su tre con un clima, se non impazzito, certamente lontano dalla cosiddetta normalità. Ma ormai l’anomalia rischia di diventare per l’appunto la normalità. Di questo è giusto essere consapevoli e a questa nuova normalità occorre adattarsi per lavorare in un ambiente ormai mutato.

In questo caso, esistono due livelli di adattamento: uno alla contingenza, cioè all’urgenza di una situazione che sta sfuggendo di mano, e uno di più largo respiro, che impone di cominciare a ragionare (e lavorare) in modo diverso. Per l’immediato, l’unica via d’uscita sembra essere, oltre all’accensione di svariati ceri affinché il tempo si mantenga sul bello, una deroga, più o meno ampia, che lasci più tempo per eseguire gli interventi nel mese di novembre e, forse, anche nei primi giorni di dicembre, qualora le condizioni meteorologiche e agronomiche lo consentissero.

Sarebbe effettivamente paradossale, come hanno fatto notare gli specialisti del settore interpellati, se per rispettare un calendario mirante a evitare inquinamenti delle falde si finisse per inquinare ancor di più vene sotterranee e corsi d’acqua superficiali.

Macchina per la distribuzione dei liquami. Le tre ruote molto larghe riducono il compattamento, ma con i terreni così bagnati non basta

Cosa fare per limitare i danni

Passata l’emergenza, sarà comunque il caso di riflettere su un’agricoltura che procede, agronomicamente e normativamente, sui binari di una consuetudine che ormai diverge profondamente dalla realtà delle cose. E dunque è forse il caso che i calendari, da fissi, divengano dinamici, acquisendo flessibilità per adattarsi di anno in anno alla stagione. La quale, abbiamo imparato, non è mai uguale alla stagione precedente. Ma anche da parte dei produttori serve un cambio di passo. Se le vasche sono piene, dipende certamente dalle difficoltà di vuotarle durante l’estate e il primo autunno, ma anche dalle migliaia di ettolitri di pioggia che vi sono caduti dentro. E dunque la copertura delle vasche è una scelta non più rinviabile. Non a caso, in molte regioni diventerà obbligo di legge entro la fine del prossimo anno. Coprire i depositi di reflui li protegge dalla diluizione, che comporta minor potere fertilizzante e maggiori costi di spandimento, e riduce le emissioni di ammoniaca in atmosfera. Ammoniaca che, lo ricordiamo, è in parte responsabile di quel cambiamento climatico che sta causando i problemi attuali. Ovviamente le piogge continuerebbero a cadere sulle parti scoperte delle stalle, ma almeno si inizierebbe a ridurre i volumi d’acqua inutilmente accumulati.

Un coltivatore è più efficiente dell’aratro perché in una sola passata lavora una superficie di terreno maggiore

Sotto l’aspetto agronomico, invece, diventa indispensabile aumentare la portanza dei terreni. Per esempio, scegliendo semina su sodo o strip tillage in luogo delle lavorazioni più tradizionali, che distruggono la struttura del terreno, aumentano il compattamento e rallentano il percolamento delle acque piovane. Ma sarà forse anche il caso di riconsiderare la corsa all’aumento delle potenze (e delle tonnellate) per le moderne macchine agricole e in generale passare da un’ottica di lavorazione a una di gestione del suolo. Ne è convinto Michele Pisante, ordinario di Agronomia e coltivazioni erbacee alla facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Teramo. «Dobbiamo imparare a ragionare in termini di compattamento per unità di superficie – spiega –. Se visto in questa ottica, un attrezzo come un coltivatore è indubbiamente più efficiente di un aratro, perché a fronte di una singola passata lavora una parte maggiore di terreno. In generale, con il clima che cambia dobbiamo preoccuparci di creare una portanza che consenta alle macchine di transitare sui campi anche in momenti difficili. Il primo strumento per fare ciò è mantenere una copertura permanente del terreno, con inerbimenti naturali o tecnici o con la permanenza dei residui in campo – continua Pisante –. Si devono poi adottare pneumatici a bassa pressione e in generale considerare l’impiego di macchine aventi un peso per asse inferiore all’attuale». In questo modo è possibile almeno ampliare la finestra temporale di lavorazione. «Ma dobbiamo anche sottolineare che il blocco degli spandimenti è un procedimento amministrativo, non legato al clima né tantomeno alla prevenzione di potenziali rischi legati alla fertilizzazione organica – precisa il docente –. Con le moderne tecnologie, un calendario rigido perde significato. Meglio una gestione dei periodi legati al meteo e all’agronomia».

«Infine, occorre ridurre il compattamento del terreno sulle testate, fenomeno che provoca intasamento della rete di scolo. E non dimentichiamo la gestione dei fossi – conclude il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico di Edagricole – con un programma di manutenzione che li metta in condizione di fare ciò per cui sono stati creati. In altre parole, quel che serve davvero è un ritorno all’agronomia in campo».


1Allevamenti allo stremo: spazio solo per pochi giorni

Davide Chizzoni

La crisi degli spandimenti mette in affanno le stalle da 200 capi; figuriamoci cosa può accadere quando di bovini in stalla ce ne sono duemila. La famiglia Chizzoni di Bozzolo (Mn) tanti ne ha, tra vacche in lattazione, in asciutta e manze in crescita. E pur possedendo una capacità di stoccaggio di 7.500 metri cubi, è ormai agli sgoccioli. «Avevamo vuotato le vasche a settembre, approfittando di quella tregua dal maltempo che ci aveva anche permesso di portare a casa un po’ di raccolti. Tuttavia, ora siamo di nuovo pieni. Tiriamo avanti sfruttando gli stoccaggi dell’impianto di biogas, ma presto finiranno pure quelli. E siccome almeno per la prima settimana di novembre non riusciremo a trattare, visto lo stato dei terreni, non so come faremo», ci dice Davide Chizzoni, figlio del titolare Roberto. Del resto, prosegue, almeno 70 ettari di Sau sono ancora occupati da mais e sorgo in attesa di essere trinciati, mentre altri campi sono allagati. «Negli ultimi giorni di ottobre abbiamo usato le idrovore per togliere acqua dai terreni più bassi. È chiaro che prima di potervi distribuire liquami dovrà passare parecchio tempo». Il rischio, più volte ricordato, è che tutti i reflui siano smaltiti sui pochi terreni praticabili. «Occorre una deroga che ci permetta di lavorare quando la campagna lo consente. Altrimenti faremo interventi inutili, con il rischio che il prodotto percoli verso i fossi, sollevando per di più le proteste della popolazione, poiché saremo in strada con mezzi coperti di fango».


2Non solo trattamenti: a rischio anche i raccolti

Giovanni Chiò

«Il problema dei trattamenti sicuramente esiste, ma sinceramente mi preoccupano di più le condizioni del mais». Flavio Sommariva, in materia di reflui e fertilizzazione organica, è un’autorità. Ma nella sua veste di responsabile tecnico di Aral, l’associazione lombarda degli allevatori, deve guardare al quadro generale e non al particolare. E il quadro è quello di un buon 25% di raccolti che nell’ultima settimana di ottobre erano ancora nei campi della Pianura Padana. Sia perché le avverse condizioni hanno ritardato la raccolta, sia perché le semine, sempre a causa del meteo anomalo, sono avvenute con mesi di ritardo. Anche a luglio, in taluni casi, per cereali che solitamente si mettono a dimora a metà aprile. Siccome il ciclo vegetativo non è comprimibile, è fisiologico che molte di quelle coltivazioni non siano state ancora raccolte. Tuttavia, ottobre inoltrato non è un mese adatto alla maidicoltura e i problemi si stanno manifestando, sotto forma di marcescenze e muffe che rischiano di innalzare i livelli delle temute micotossine. «Per i trattamenti esistono i calendari variabili durante il mese di novembre e se il tempo dovesse mantenersi bello, credo che la situazione potrebbe normalizzarsi. Al contrario, la permanenza in campo del mais rischia di far alzare i livelli di micotossine, con possibili ripercussioni sulla produzione di latte. Ricordo infatti che livelli eccessivi di aflatossina M1 nel latte lo rendono non commerciabile».

Non è, tuttavia, soltanto questione di mais. Anche una quota importante della soia, soprattutto se di secondo raccolto, è ancora nelle campagne, soprattutto in Veneto, e comincia a manifestare fenomeni di marcescenza. Lo stesso vale per il sorgo, scelto spesso come alternativa a un mais per il quale era ormai passata l’epoca di semina. Ci sono inoltre da considerare gli effetti sul 2025: i terreni al momento sono impraticabili e questo sta condizionando la semina di grano e altri cereali vernini, dopo aver praticamente azzerato, ci dicono i rivenditori, quelle della colza.

Non va meglio per il riso, cereale che con l’acqua ha un indubbio feeling. Almeno, finché non è il momento di trebbiarlo. «Le operazioni di raccolta sono in estremo ritardo a causa delle continue piogge di fine settembre e ottobre», esordisce Giovanni Chiò, risicoltore della provincia di Novara. I terreni, spiega, sono al limite del praticabile anche per le mietitrebbie cingolate. Ma non è tutto: l’umidità è talmente alta che il riso sta germinando sulle spighe: «È vero, si assiste a diversi casi di germinazione in pianta. Un fenomeno riscontrabile soprattutto nei campi allettati, ma che per alcune varietà si spinge addirittura a interessare anche le colture in piedi».


3Agricat, denunce fino al 15 novembre

Agricat ha posticipato al 15 novembre 2024 i termini per la presentazione delle denunce di sinistro relative a danni dovuti a eventi catastrofali come siccità, alluvioni e gelo verificatisi dall’1 gennaio al 15 ottobre 2024. Invece, le denunce di sinistro per gli eventi manifestati o che si manifesteranno dopo il 15 ottobre 2024, dovranno essere presentate, pena l’inammissibilità delle stesse, entro 30 giorni dalla data di accadimento dell’evento, salvo casi di forza maggiore.

Gli imprenditori agricoli interessati dovranno presentare le denunce on line accedendo all’area “MyAgricat”.

Vasche piene, terreni saturi Dove metto i liquami? - Ultima modifica: 2024-11-06T17:00:44+01:00 da Roberta Ponci

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