Non basta vendere prodotti. Bisogna offrire lo stile di vita, soprattutto quando si guarda all’estero. Concetto chiave: passare dal made in Italy all’Italian Way of Life. Questa la principale indicazione emersa a Milano durante il workshop di presentazione del XVI rapporto “Frutta&Verdura” di Mark Up-Italiafruit News, incentrato sul tema “In & Out, come vendere l’ortofrutta made in Italy”.
Ma cosa si intende per Italian Way of Life? E soprattutto: come si traduce il concetto quando l’obiettivo è allargare la schiera di consumatori di frutta e verdura?
«Dobbiamo ripartire dal significato di italianità – ha affermato Roberto Della Casa, managing director Agroter e Italiafruit News e moderatore dell’evento –. Essere italiani è qualcosa di unico: quando si dice Italia si pensa alla storia, all’arte, alla bellezza, al genio, allo stile, alla buona tavola, alla dolce vita. Un patrimonio che non siamo riusciti a tradurre in valore, soprattutto in questo comparto». Eppure la qualità non manca: siamo primi in Europa per numero di tipicità riconosciute, abbiamo introdotto in meno di 20 anni oltre 300 nuove varietà, siamo all’avanguardia nella sostenibilità ambientale, nel packaging, nella tecnologia.
Cosa ci manca? «La capacità di raccontare. Non abbiamo dato la giusta importanza all’arte dello storytelling. Gli esempi non mancano, anche nel settore agroalimentare». Due i casi di successo presentati al workshop: Cantine Ferrari e San Pellegrino, due realtà capaci di sfruttare lo stile di vita italiano, il valore della famiglia, il territorio.
I limiti della narrazione si riscontrano anche nei risultati del Monitor Ortofrutta di Agriter, quest’anno allargato anche agli stranieri. Il primo risultato che salta all’occhio è che all’estero non c’è una percezione chiara dei nostri gioielli: kiwi, pera, mela e pesca non vengono associati all’Italia, a dispetto della nostra leadership produttiva. Il secondo aspetto è che il mercato interno è sempre più stretto: il 10% dei consumatori italiani non mangia frutta o verdura quotidianamente e solo il 10-18% afferma di mangiarne 5 porzioni al giorno. Meglio metterci una pietra sopra e guardare lontano? Non è detto: secondo Ambrogio De Ponti, presidente Unaproa, anche qui il segreto è la comunicazione.
«Il tasto dolente sono i fondi, pochi, e l’incapacità di fare sistema».
Restando in Italia scopriamo che i limiti non riguardano solo l’informazione: manca la fiducia, a volte anche a ragione. Secondo il sondaggio 9 consumatori su 10 che acquistano ortofrutta al supermercato non sono soddisfatti. Il problema è la qualità del prodotto (46%) e in particolare la sua incostanza. Troppo spesso compriamo frutti dall’apparenza perfetti, ma completamente insapori. A questo si aggiunge che il 71% degli italiani non si fida della provenienza dichiarata in etichetta. Che fare? Secondo i relatori delle tavole rotonde (Alessandro Dalpiaz, direttore Assomela; Fabio Zoboli, direttore commerciale Infia, Ambrogio De Ponti, presidente Unaproa, Angelo Benedetti, presidente Unitec, Mario Gasbarrino, presidente Unes, Marco Pedroni, presidente Coop Italia) investire per garantire una qualità costante , prevedere personale qualificato nel punto vendita, sviluppare confezioni più emozionanti, fornire più informazioni possibili sui prodotti, anche attraverso “etichette intelligenti”.
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