L'agricoltura a basso input apporta benefici socio-economici nella maggior parte dei casi. Lo dimostra uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Agronomy for Sustainable Development, condotto dal Gruppo di Agroecologia della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e da Isara (Institut supérieur d'agriculture Rhône-Alpes) di Lione e finanziato dal Centro comune di ricerca della Commissione europea (JRC). Si tratta del primo studio su questo argomento eseguito su larga scala, basato sui risultati di 13.000 ricerche svolte a livello mondiale.
Le pratiche agronomiche analizzate
Lo studio si è focalizzato sulle pratiche agronomiche impiegate nell'agricoltura a basso input, specificatamente nell'agroecologia. Questa consiste nell'applicazione dell'ecologia alla produzione agricola e alla gestione degli agroecosistemi. Alcuni esempi delle pratiche agroecologiche considerate sono: concimazione frazionata, uso di micorrize, irrigazione a goccia, impiego di agrofarmaci biologici, semina su sodo, consociazioni colturali, colture di copertura, fasce fiorite, ecc. L'elenco completo è riportato qui.
Come è stato condotto lo studio
Lo studio italo-francese ha preso in esame oltre 13.000 pubblicazioni. Tra queste, i ricercatori hanno selezionato 80 ricerche pubblicate tra il 2000 e il 2022 che forniscono solide prove scientifiche sui risultati sociali ed economici dell'agricoltura a basso input. La stragrande maggioranza di tali ricerche sono state condotte nei Paesi del Sud del mondo, in Asia (43%), Africa (41%) e America Latina (13%). Solo due in Europa e una negli Stati Uniti.
I ricercatori hanno analizzato parametri differenziati come il reddito, i costi di produzione, i ricavi, l'efficienza e la produttività. I parametri socioeconomici associati al capitale finanziario rappresentano la stragrande maggioranza dei parametri valutati (83% del totale).
I risultati ottenuti
Dai risultati dello studio emerge che il 51% delle metriche analizzate è associato a risultati positivi, il 30% a risultati negativi, il 10% a risultati neutri e il 9% a risultati inconcludenti. «Nel 51% dei casi abbiamo individuato risultati favorevoli in termini di reddito, produttività ed efficienza. Ciò indica un potenziale complessivamente favorevole delle pratiche agroecologiche per le aziende agricole» spiega Ioanna Mouratiadou, ricercatrice di Isara e autrice principale dello studio.
Inoltre, nella categoria del capitale finanziario, il 53% dei risultati sono positivi per le pratiche agroecologiche rispetto a quelle convenzionali. I risultati negativi sono pari al 27%, quelli neutri al 10% e quelli inconcludenti al 10%. Anche per quanto riguarda reddito e produttività, un gran numero di metriche indica risultati positivi: rispettivamente il 60% e il 56% dei risultati positivi contro il 20% e il 18% di quelli negativi. Risultati simili per i ricavi e la stabilità del reddito, con rispettivamente 54% e 78% dei risultati positivi contro 26% e 22% di quelli negativi.
A livello di pratiche agronomiche, i migliori risultati socioeconomici sono stati ottenuti adottando una gestione agroecologica di parassiti e malattie (67% di risultati positivi), la minima o nulla lavorazione del terreno (58% di risultati positivi), le colture di copertura e la pacciamatura (58% di risultati positivi), l’agroforestazione e la consociazione (53% di risultati positivi per ognuna). Gli autori sottolineano che per alcune pratiche i risultati si basano su un numero limitato di studi disponibili.
In molti dei casi valutati, le pratiche agroecologiche risultano associate a una maggiore necessità di manodopera e a costi più elevati rispetto alle pratiche convenzionali. «Nonostante i risultati incoraggianti, rimangono sfide aperte, in particolare per quanto riguarda la manodopera. Ciò richiede politiche appropriate per sostenere gli sforzi agroecologici» aggiunge Mouratiadou.
Infine va fatto notare che i risultati sociali ed economici dipendono dall'ambiente geografico, dalla scala temporale della transizione ecologica e dalle condizioni delle singole aziende agricole.
L'importanza di questo studio
Questo studio colma l’assenza di prove scientifiche consolidate sugli aspetti socio-economici dell'agricoltura a basso input. Dai dati emergono nuovi spunti per sostenere in modo ulteriore la transizione agroecologica, che i ricercatori identificano come necessaria e urgente per realizzare sistemi agroalimentari sostenibili.
Paolo Bàrberi, co-autore della pubblicazione, professore di Agronomia e coordinatore del Gruppo di ricerca di Agroecologia alla Scuola Superiore Sant'Anna, dichiara: «Questo studio dimostra che le recenti proteste degli agricoltori, svoltesi in tutta Europa, pur esprimendo un disagio reale, sono dirette verso l'obiettivo sbagliato. La transizione agroecologica, sostenuta dal Green Deal dell'Unione Europea, può in effetti migliorare il reddito degli agricoltori. Agricoltori e sindacati dovrebbero quindi abbracciare questa transizione senza timori, sapendo che porterà benefici per loro, per l'ambiente e per la società in generale».