Il climate change taglia rese e qualità dei cereali. Innovare può rialzarle

Allarme in uno studio pubblicato su Lancet Planetary Health e in un'analisi di Confagricoltura. Ma c'è una via d'uscita

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Agricoltura di precisione, più attenzione agli aspetti agronomici delle colture e contratti di filiera le soluzioni proposte da Confagricoltura per recuperare la redditività dei cereali messi in crisi dal climate change

Nei prossimi anni proteine, ferro e zinco, nutrienti essenziali per la salute dell'organismo, ma anche elementi importanti per stabilire il prezzo delle materie prime agricole, saranno presenti in quantità sempre minori nei cereali, nella frutta e nella verdura che si coltiva. E la colpa sarà dei cambiamenti climatici, che riducono i micronutrienti presenti nei prodotti della terra e quindi nei cibi che mangiamo. A puntare l'attenzione su una conseguenza fino a oggi meno nota dell'aumento dell'anidride carbonica presente nell'atmosfera è uno studio pubblicato su Lancet Planetary Health.

Sulla questione è intervenuta anche Confagricoltura Emilia-Romagna: il presidente regionale dell'associazione Eugenia Bergamaschi e quello dei cerealicoltori emiliani Lorenzo Furini, denunciano che la campagna cerealicola di quest'anno sta risentendo in maniera pesante degli effetti del clima che cambia, con rese ridotte e redditività a picco. La soluzione suggerita agli imprenditori agricoli per invertire la rotta è di investire in innovazione tecnologica.

Intelligenza artificiale al servizio dell'agricoltura contro le ondate di calore

Climate change nel mondo

Il nuovo studio, realizzato da ricercatori dell'International Food Policy Research Institute (Ifpri), rileva che grano, riso, mais, orzo, patate, soia e verdure sono destinati a subire perdite di nutrienti di circa il 3% in media entro il 2050 proprio a causa dell'elevata concentrazione di anidride carbonica. In particolare, i livelli di proteine, ferro e zinco disponibili pro-capite saranno rispettivamente del 19,5%, 14,4% e 14,6% inferiori rispetto a quanto sarebbero stati senza l'effetto dei cambiamenti climatici. Si prevede che le riduzioni di nutrienti saranno particolarmente gravi in Asia meridionale, Medio Oriente, Africa e Paesi dell'ex Unione Sovietica, ovvero regioni in gran parte composte da Stati a reddito medio-basso dove i livelli di sottonutrizione sono generalmente più alti e le diete più vulnerabili agli impatti diretti dei cambiamenti climatici.

Climate change a casa nostra

Gli effetti dei cambiamenti climatici si fanno sentire sulla resa dei cereali in Emilia-Romagna. A metterlo nero su bianco, a trebbiatura quasi ultimata, i rilievi della Confagricoltura regionale, secondo cui la stagione cerealicola vede un calo del 25% per quanto riguarda il frumento duro, del 15% del frumento tenero e una perdita di Plv fino al 90% per il grano biologico. In controtendenza, invece, l'orzo, con un incremento compreso tra il 10% e il 15%. In regione la superficie complessiva coltivata è pari a 260.000 ettari: 176.000 a frumento tenero (+7% rispetto al 2018); 60.500 ettari a frumento duro e 23.500 ettari a orzo.

Agronomia e agricoltura di precisione per aumentare la Plv...

«Con questi chiari di luna è evidente che non possiamo più permetterci di coltivare cereali senza seguire la coltura fin dall'inizio, sfruttando le tecniche e gli strumenti innovativi a disposizione – sottolinea la presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna Eugenia Bergamaschi – c'è un solo modo per contrastare l'effetto del climate change: più agronomia e specializzazione, attenzione alla scelta varietale, seme certificato e concia di qualità. Il prezzo non si governa – sostiene Bergamaschi – però possiamo aumentare la resa produttiva quindi la Plv, riducendo i costi e migliorando la qualità, attraverso investimenti mirati finalizzati a integrare innovazione e competitività. Il che - conclude - significherebbe recuperare un'adeguata marginalità».

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Eugenia Bergamaschi, presidente di Confagricoltura Emilia-Romagna

... e la sostenibilità ambientale

Una delle principali motivazioni che gli imprenditori agricoli mettono sul piatto per giustificare il mancato ricorso alle nuove tecnologie applicate all'agricoltura sono i costi elevati. «Con la precision farming si evitano errori di sovrapposizione nella distribuzione dei mezzi tecnici (concimi, sementi, fitofarmaci) – spiega il presidente dei cerealicoltori emiliani Lorenzo Furini – questa ottimizzazione dei costi può far risparmiare alcune decine di euro per ettaro. Una cifra che, su grandi superfici, consente in pochi anni il ritorno dell’investimento. Esiste anche un vantaggio d’immagine per le produzioni che potrebbero così fregiarsi di una maggiore sostenibilità ambientale, come valore in più capace di tradursi in migliore reputazione aziendale e capacità competitiva».

Costi alti? Ci sono i contoterzisti

«È vero che molte aziende non possono dotarsi di sistemi così sofisticati – ammette Furini – ma possono affidarsi agli agromeccanici che spesso sono conduttori diretti di superfici tali da giustificare investimenti importanti in strumenti innovativi. Il concetto fondamentale è che la moderna tecnologia, applicata a una meccanizzazione agricola d’avanguardia, porta a un oculato, corretto e produttivo utilizzo dei mezzi tecnici di produzione, la cui conseguenza è sicuramente la riduzione dei costi e l’aumento quanti-qualitativo delle produzioni».

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Lorenzo Furini, presidente dei cerealicoltori di Confagricoltura Emilia-Romagna

Contratti di filiera sì, ma vanno migliorati

Ritiro del prodotto a un prezzo minimo garantito per gli agricoltori, partite omogenee sotto l’aspetto qualitativo per l’industria. Questi i principali vantaggi dei contratti di filiera oggi, ma si può fare di più.
«In attesa di un piano cerealicolo nazionale attivo a tutti i livelli, c’è una certezza – precisa Furini – la filiera tra agricoltori e industria è realtà, ma va migliorata. L’agricoltore deve poter produrre con dignità e sentirsi parte integrante del processo produttivo, quindi deve essere coinvolto e giustamente retribuito. Gli accordi di filiera possono essere una garanzia di reddito, ma in Italia interessano ancora una superficie coltivata limitata; in più l’imprenditore agricolo li guarda con diffidenza perché da un lato non si sente sufficientemente coinvolto nel processo produttivo, dall’altro gli si chiede di rispettare un disciplinare e i relativi standard qualitativi. La pasta, ad esempio, identifica il “made in Italy“, occorre pertanto garantire al consumatore la qualità e così tutto il nostro sistema agroalimentare ci guadagna – conclude il rappresentante dei cerealicoltori di Confagricoltura Emilia-Romagna – ecco perché gli agricoltori devono produrre meglio, o di più, per ridurre la dipendenza dal frumento estero e ottenere un prodotto con le caratteristiche che il mercato chiede».

Il climate change taglia rese e qualità dei cereali. Innovare può rialzarle - Ultima modifica: 2019-07-22T12:25:29+02:00 da Simone Martarello

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