«Volete sostenibilità o agricoltura?».
Il dibattito in corso sul Green Deal e sul suo impatto sulla prossima Pac rischia di portare il comparto primario europeo su un insostenibile percorso di manicheismo economico.
L’Unione europea coltiva infatti un obiettivo ambizioso che rischia di diventare un’utopia. Punta alla transizione ecologica della produzione agricola facendo leva solo sulla riduzione della chimica. In particolare la strategia “From Farm to Fork” (F2F) pone il traguardo di una pesante riduzione degli agrofarmaci (un taglio orizzontale del 50% entro il 2030), sacrificati sull’altare di una presunta maggiore sostenibilità. Sarà vero?
L’evoluzione sostenibile parte dai mezzi tecnici
«Nessun comparto– afferma Bruno Tremblay, al vertice dell’area Europa, Africa e Medio oriente di Bayer Crop Science - si è caratterizzato per la stessa intensa evoluzione sostenibile come quella manifestata negli ultimi anni dal settore degli agrofarmaci e delle bioscienze per l’agricoltura».
Settori dove l’innovazione ha giocato un ruolo decisivo con lo sviluppo di molecole efficaci a dosi sempre più ridotte, la messa a punto di metodi di distribuzione di precisione e l’avvio della promettente frontiera delle Nbt, le nuove biotecnologie sostenibili.
Il subdolo pregiudizio sulla chimica
«La produzione agricola – continua – deve fare fronte a difficoltà crescenti causate dal climate change, dalla volatilità dei mercati e ora anche dalla pandemia da coronavirus: sentiamo la responsabilità di fornire strumenti sempre più efficaci e sostenibili per sostenere i produttori nel loro difficile compito»
In effetti molte associazioni dei produttori hanno messo in evidenza il fatto che gli obiettivi del F2F siano stati tracciati senza nessuna base scientifica, ma soprattutto senza una seria analisi d’impatto economica.
Il pregiudizio sulla chimica in agricoltura sta però già subdolamente entrando in tutti i principali provvedimenti legislativi che riguardano l’agricoltura, dalla prossima Pac alla direttiva sull’uso sostenibile degli agrofarmaci (con una revisione verso il NON-uso degli agrofarmaci). Anche le procedure autorizzative subiscono questo influsso. L’Europa vanta infatti la normativa fitosanitaria più severa, negli ultimi vent’anni gli agricoltori del vecchio continente hanno subito un taglio dei due terzi dei principi attivi registrati a causa di questa riforma. Il processo di riregistrazione del glifosate, l’erbicida più diffuso, rischia di inaugurare una svolta ancora più drastica: la scienza si è già espressa positivamente (l’assessment dell’Efsa del 2017 ha escluso effetti negativi), ma sul rinnovo rischiano di avere più peso le posizioni politiche delle associazioni ambientaliste.
Un sistema produttivo più resiliente
Ad un anno esatto dal lancio del Green Deal Bayer ha quindi organizzato assieme al digital media “Politico” un’iniziativa sull’uso sostenibile degli agrofarmaci, un dibattito in stile “oxfordiano” tra due fazioni contrapposte sul tema:
- “Gli agrofarmaci hanno un ruolo nello sviluppo di un sistema alimentare resiliente?”.
Un tema su cui Terra e Vita ha intervistato Bruno Tremblay. Sul tavolo domande come:
- L'Europa può aiutare a nutrire una popolazione in crescita e mantenere gli agricoltori in attività, riducendo al contempo l'impatto dell'agricoltura sul clima e sulla biodiversità?
- Gli agricoltori possono produrre cibo a sufficienza senza agrofarmaci?
- L’agricoltura europea può diventare veramente più smart, come vuole la Pac post 2022, senza mezzi tecnici e tecnologie innovative?
«Il dibattito in Europa sugli agrofarmaci – afferma Tremblay - sta diventando sempre più
controverso. Abbiamo già il processo di registrazione più rigido al mondo e quindi un portafoglio di prodotti di provata sicurezza. La sostenibilità dell’agricoltura non dovrebbe essere un’opinione, ma un fatto scientificamente provato. La scienza sembra però purtroppo assumere un ruolo sempre più marginale nell’attuale clima politico europeo. Il processo decisionale è sbilanciato dalla pressione che possono esercitare i gruppi di opinione ambientalisti. Serve più pragmatismo per affrontare obiettivi ambiziosi come quelli della carbon neutrality (l’equilibrio tra assorbimenti ed emissioni di gas clima alteranti, grande scommessa del Green Deal). Sappiamo che l’agricoltura e l’allevamento hanno le loro responsabilità nell’alterazione del clima globale, ma sappiamo anche che possono rappresentare la vera soluzione per questo problema: senza agricoltura non c’è sostenibilità».
Confronto-scontro tra metodi produttivi
Questa centralità è stata però male interpretata dall’opinione pubblica: il Green Deal ha scatenato un confronto-scontro senza precedenti tra agricoltura biologica e convenzionale, come si esce da questo dualismo?
«Bayer produce mezzi tecnici sia per l’agricoltura convenzionale che per quella biologica. Siamo una realtà votata alla ricerca e all’innovazione e abbiamo solo bisogno di regole certe per dare il nostro contributo a tutti i diversi sistemi produttivi. Occorre però ricordarsi che anche le rese hanno la loro importanza: l’Onu ha messo al primo posto tra gli obiettivi di sostenibilità del millennium goals quello della sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, un’esigenza che il biologico da solo oggi non può garantire. La pandemia non mette infatti in secondo piano un’altra emergenza dei nostri tempi, ovvero quella dei contrasti geopolitici e delle migrazioni di massa spesso innescate dalla scarsità di mezzi di sussistenza. Per riuscire a produrre tutto il cibo che ci serve in maniera sostenibile servono tutti i tools disponibili: il digitale, gli agenti di biocontrollo, la chimica e anche le biotecnologie. L’approccio più efficace in questo senso è quello della produzione integrata».
Il paradosso delle deroghe
Proprio per garantire un adeguato livello di produzione e di reddito per gli agricoltori si assiste in Italia al particolare fenomeno dell’aumento delle richieste di autorizzazioni eccezionali di vecchi principi attivi contro numerose avversità. È il segno che l’obiettivo di ridurre la chimica rimarrà un'utopia?
«È solo il segno - da cogliere – della centralità della chimica per la produzione agricola. In altri Paesi tra cui la Francia si sta assistendo a qualcosa di simile con la richiesta di autorizzazione eccezionale per gli insetticidi neonicotinoidi su barbabietola da zucchero, una coltura con impollinazione anemofila e quindi senza nessun possibile problema per le api. Il Paese transalpino ha anche fatto marcia indietro riguardo alle forti limitazioni all’erbicida glifosate per la mancanza di valide alternative di pari efficacia e sostenibilità. Un segnale di pragmatismo che non può che fare ben sperare, ma la produzione agricola europea non si può basare sulle deroghe: così si rischia solo di penalizzare la ricerca di mezzi tecnici innovativi. Se si ha veramente a cuore la sostenibilità della produzione agricola serve più chiarezza e scientificità nelle regole registrative».
La frontiera del glifosate
A proposito di glifosate: il processo in corso per il rinnovo dell'autorizzazione sta diventando per alcune associazioni ambientaliste la frontiera di uno scontro che ha poco senso, come uscirne?
«La strada è scritta a chiare lettere nel Green deal: l’Unione Europea punta alla sostenibilità e a ridurre l’impatto della produzione agricola sul climate change. E per riuscirci non può rinunciare ad un mezzo tecnico come il glifosate, essenziale per l’agricoltura conservativa e il minimum tillage. Ovvero le tecniche agronomiche che si rivelano scientificamente più efficaci nel ridurre le emissioni di CO2 aumentando la fertilità organica del suolo. In più tutte le agenzie per la sicurezza alimentare dei diversi Paesi del mondo concordano sulla sicurezza di questa molecola, l’ultima ad esprimersi è stata quella brasiliana. L’Unione europea non può pensare di essere un’isola e deve mettere i propri produttori agricoli nelle condizioni di poter competere con i competitori internazionali».
Il rischio di dover importare alimenti ed esportare insostenibilità ambientale
Insomma qualcosa di buono c’è anche nel Green Deal e nel F2F.
«Molto di buono: ottime intenzioni e anche un’apertura positiva alle Plant breeding innovations. Occorre però verificare come saranno applicate queste intenzioni. Se l’Europa continuerà a sottovalutare l’importanza dell’agricoltura e della produzione di cibo per la stabilità politica ed economica del mondo, la transizione ecologica voluta da Bruxelles non lascerà alcun segno tangibile o, peggio causerà un aumento dell’import di derrate alimentari costringendo altre aree del mondo ad una sovraproduzione che porterà ad un insostenibile impatto ambientale».
«L’Unione europea – conclude Tremblay – continua a tracciare piani per sopperire alla cronica carenza di colture proteiche, di ortofrutta, di zucchero e di altre produzioni agricole, ma poi priva i produttori agricoli dei mezzi necessari per coltivarle. Un impatto che ormai sta arrivando anche ad alcune produzioni chiave come quelle cerealicole che in alcune aree del vecchio continente sono in calo. E quasi sempre la causa è la mancanza di mezzi tecnici per difenderle. A parole si sostiene l’agricoltura di prossimità, ma per avere meno importazioni, e quindi meno emissioni di gas serra a causa del trasporto, occorre sostenere gli agricoltori. E supportare l’innovazione portata da aziende orientate alla ricerca e sviluppo come Bayer».
Detrattori e sostenitori a confronto
“Gli agrofarmaci hanno un ruolo nello sviluppo di un sistema alimentare resiliente?”: questo il tema su cui Bayer e Politico hanno costruito un movimentato dibattito oxfordiano in forma virtuale.
A confronto due team: da una parte le opinioni contrarie di Martin Hojsik, europarlamentare slovacco iscritto al Mep e di Helen Browning, produttrice biologica francese.
Dall’altra le testimonianze a favore di Herbert Dorfmann, europarlamentare altoatesino sempre del gruppo Mep e Lin Field, ricercatrice a capo del dipartimento di biointerazioni e difesa delle colture della storica stazione di ricerca inglese di Rothamsted.
«Siamo nell’era dell’inquinamento – ha esordito Martin Hojsik, che alle spalle ha un’intensa attività in associazioni ambientaliste tra cui GreenPeace – e i pesticidi hanno le loro responsabilità anche nella riduzione della biodiversità. Il problema non è produrre più cibo: abbiamo un sacco di problemi di contaminazioni e di sovrapproduzioni con eccedenze che diventano scarti. L’agricoltura deve cambiare paradigma e basarsi di più sulla prevenzione agronomica delle problematiche fitosanitarie».
«Dobbiamo metterci d’accordo – ha obiettato Herbert Dorfmann, stesso gruppo politico al Parlamento europeo, ma idee diametralmente opposte sugli agrofarmaci rispetto a Hojsik -su cosa significhi sistema agroalimentare resiliente». Un’espressione che secondo l’esponente altoatesino ha almeno tre implicazioni: quantitativa, qualitativa e sostenibile. «Per il primo aspetto, ovvero quello delle rese, occorre tenere conto che per la prima volta l’uomo non si trova in una situazione di carenza di cibo e il merito è da attribuire alla chimica e agli agrofarmaci. Per la qualità sanitaria occorre tenere presente che grazie all’evoluzione della produzione integrata i residui non sono affatto un problema, mentre i contaminanti da temere maggiormente nel cibo sono le micotossine di origine “naturale” e riguardo all’ultimo aspetto, occorre ribadire con forza che senza sostenibilità economica per i produttori non esiste sostenibilità ambientale».
«Si continua – ha ribattuto Helen Browning, agguerrita produttrice biologica – a cooptare gli agricoltori in una narrativa che li vorrebbe assorti nel compito di nutrire il mondo. In realtà sono ben pochi i produttori che ottengono vantaggi dalle superproduzioni, una logica che ha portato a commodity di bassa qualità e junk food. Ci sono invece moltissimi produttori agricoli che hanno dimostrato la convenienza di affidarsi ad un altro modello produttivo che fa leva sul paradigma dell’agroecologia e del metodo di produzione biologico: la resilienza passa da qui».
«Tutti vorremmo maggiore biodiversità e bellissimi paesaggi rurali in cui passeggiare – ha ironizzato Lin Field, ricercatrice a Rothamsed – su questo siamo tutti d’accordo. Ma non possiamo pensare di difendere la resilienza e la qualità del sistema di produzione agricolo europeo se trascuriamo la necessità di salvaguardarci da tutte le potenziali perdite che possono essere causate da malattie e parassiti in continua crescita a causa del climate change e del commercio globale. L’approccio scientifico connesso alla gestione della produzione integrata assicura oggi il maggior grado di resilienza ai nostri sistemi produttivi, consentendo di bilanciare in maniera efficace il contributo della chimica con quello della prevenzione agronomica, della digital farming, dei mezzi di derivazione naturale e presto anche della resistenza assicurata dalle moderne biotecnologie».
«Anche gli agenti di biocontrollo e gli altri mezzi di difesa di derivazione naturale sono oggi in piena evoluzione, ma oggi da soli ancora non consentono di raggiungere gli stessi risultati di efficacia e sostenibilità».