Braccianti africani costretti a lavorare per pochi euro dalla mattina alla sera nelle campagne foggiane, in condizioni igieniche e di sicurezza precarie. Sono cinque le persone arrestate e altre undici indagate con obbligo di dimora nell'ambito dell'indagine "Terra rossa", coordinata dalla procura di Foggia e condotta dai Carabinieri. Dieci le aziende agricole coinvolte, per un giro d'affari stimato in cinque milioni di euro.
Una storia di sfruttamento che vede tra gli indagati anche Rosalba Livrerio Bisceglia, moglie del capo Dipartimento Libertà civili ed immigrazione del Viminale, Michele di Bari. Appresa la notizia, il prefetto, non coinvolto nell'inchiesta, ha rassegnato subito le dimissioni. Difficile rimanere un minuto in più nel palazzo che ha visto l'insediamento, neanche due mesi fa, della Consulta contro il caporalato, presieduta dall'ex ministro Roberto Maroni. La titolare del Viminale, Luciana Lamorgese, ha accettato le dimissioni.
Borgo Mezzanone, triste palcoscenico
Teatro della vicenda il ghetto di Borgo Mezzanone (Foggia), serbatoio della manodopera africana, sfruttata a volte fino a forme di schiavismo, che si spezza la schiena a 5 euro l'ora per raccogliere pomodori, olive, frutta. "Caporali, titolari e/o soci delle aziende avevano messo in piedi un apparato quasi perfetto, che andava dall'individuazione della forza lavoro per la lavorazione dei campi, al reclutamento della stessa, fino al sistema di pagamento" spiegano i militari.
Secondo gli inquirenti i caporali erano il gambiano Bakary Saidy e il senegalese Kalifa Bayo, che reclutavano i braccianti nella baraccopoli, li trasportavano nei campi (anche mettendoli nel cofano di un'auto), li controllavano e li pagavano. Per altri tre, tutti italiani, disposti gli arresti domiciliari.
Bisceglia: «Noi estranei, lo dimostreremo»
La moglie dell'ex prefetto, insieme alle due sorelle, gestisce una delle aziende al centro delle indagini: l'Azienda agricola Bisceglia, nel cuore del Parco nazionale del Gargano. produce olio, ma anche frutta e dispone di un agriturismo. La donna, per il gip, impiegava sulle sue terre "decine di lavoratori di varie etnie, sottoponendoli alle condizioni di sfruttamento" desumibili "anche dalle condizioni di lavoro (retributive, di igiene, di sicurezza, di salubrità del luogo di lavoro) e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie". E trattava direttamente con Saidy, comunicandogli "il numero di lavoratori necessari", che venivano pagati 5,70 euro l'ora e non oltre i 35 euro, somma "palesemente difforme" dalle tabelle del contratto nazionale.
Sempre secondo il Gip, nell'azienda veniva anche violata la normativa relativa all'orario di lavoro e ai periodi di riposo, nonché quella sulla sicurezza sul lavoro. Livrerio Bisceglia respinge le accuse. «La nostra fa agricoltura da generazioni – ha detto all'Ansa –. Sono assolutamente serena per l'accaduto. Saprò dimostrare con carte alla mano la mia assoluta innocenza. Ho sempre pagato regolarmente con bonifici bancari».
Si vedrà come proseguirà la vicenda giudiziaria. Di certo per la Capitanata non è una novità lo sfruttamento dei lavoratori nelle campagne. Un cancro difficile da estirpare nonostante i numerosi tentativi fatti da governo, ministeri, sindacati e professionali agricole.