La data di scadenza dei prodotti alimentari riportata sulle confezioni dei prodotti stessi è la causa maggiore degli sprechi alimentari delle famiglie europee. A questa conclusione è arrivato uno studio commissionato dalla Commissione europea che ha accertato che fino al 10% degli 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari per un valore di 8,9 milioni di euro prodotti ogni anno nell'Ue, sono legati alle indicazioni della data di scadenza.
Secondo il rapporto, però, degli 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, quasi 50 milioni sono evitabili, in quanto dovuti a sprechi e perdite dalla fase di produzione fino alle case dei consumatori. Frutta e verdura rappresentano il 33% del totale pari a 16,2 milioni di tonnellate dei rifiuti alimentari evitabili nell'Ue e a essi seguono i prodotti da forno che rappresentano il 21%, e cioè 10,5 milioni di tonnellate, pesce e carni con 10% e 4,8 milioni di tonnellate e prodotti lattiero-caseari pari 10% e cioè 4,7 milioni di tonnellate.
Il punto centrale della recente indagine comunitaria è costituito però dagli sprechi alimentari dei consumatori dovuti soprattutto alla confusione che viene fatta tra “termine di scadenza” e “termine di consumo”, anche perché tali termini non sono chiari e vengono applicati in maniera diversa nei vari Stati membri.
La difficoltà di interpretazione di tali indicazioni si è accresciuta, come conferma il rapporto comunitario, nel momento in cui sono state poste in atto misure anti spreco nei diversi Stati membri.
Secondo il rapporto comunitario la frammentazione nelle politiche anti-spreco degli Stati, con Paesi come la Polonia che sconsigliano la donazione di cibo che ha superato il termine minimo di conservazione e altri, come l'Italia, che la incoraggiano, influenza le scelte degli operatori della filiera ed è un freno ad un'azione comunitaria coordinata sul tema. Intervenire sulla data di scadenza in etichetta per ridurre gli sprechi, conclude lo studio, avrebbe comunque senso solo per alcuni prodotti, come latte e yogurt, succhi di frutta freschi, carne refrigerata e pesce.
La questione, peraltro era già stata affrontata da un’audit della Corte dei conti europea, le cui conclusioni erano state riportate in una relazione pubblicata alla fine del 2016 che definiva “ambigue” le indicazioni in etichetta delle date.
I revisori dei conti infatti avevano notato che nonostante le iniziative delle autorità che hanno diffuso informazioni in merito negli Stati membri visitati, la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” e la dicitura “da consumare entro” erano utilizzate in modi diversi dai produttori, trasformatori e rivenditori. Su prodotti identici o molto simili era stato possibile, come riportato nel rapporto dei Revisori contabili comunitari, trovare sia la dicitura “da consumare entro” e sia la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” senza alcuna valida motivazione di natura merceologica, ma, favorendo con ciò la confusione e facendo sì che cibo perfettamente commestibile sia gettato via.