Dopo un 2015 che sarà ricordato come uno degli anni peggiori dell’ultimo decennio (quotazioni medie a 7,65 €/kg, con un solo precedente peggiore nel 2008, fermo a 7,40 €/kg), per il Parmigiano Reggiano il 2016 si è chiuso all’insegna di una sensibile ripresa. La svolta più marcata è venuta nella seconda parte dell’anno, quando i prezzi all’origine sono balzati dai poco più di 8 €/kg di giugno ai 9,66 €/kg di dicembre, consentendo di chiudere l’anno con una quotazione media pari a 8,63 €/kg, con un incremento del 12% rispetto al 2015.
«Una decisa inversione di tendenza – ha detto a un incontro a Bologna il presidente del consorzio del Parmigiano Reggiano, Alessandro Bezzi – che continuiamo a registrare anche in queste prime settimane del 2017, con quotazioni vicine ai 10 €/kg».
«Siamo lontani – ha spiegato Bezzi – dalle quotazioni medie del 2011 e 2012, che furono rispettivamente 10,76 e 9,12 €/kg. Ma gli attuali valori, uniti alla buona tenuta dei consumi interni, a un flusso di esportazioni che continua a crescere in modo rilevante e ai nuovi investimenti previsti dal piano quadriennale del Consorzio, creano condizioni complessive in grado di offrire migliori prospettive a quei 3mila allevatori e 339 caseifici artigianali che compongono il nostro sistema. E che nei due anni 2014 e e 2015 hanno pagato il prezzo di una pesante crisi».
Anche i dati sui consumi presentati dal direttore Riccardo Deserti confortano queste previsioni, a partire da un andamento della domanda interna che ha registrato un incremento dello 0,3%, per arrivare poi al +5,8% segnato dai mercati esteri. Questi ultimi, con oltre 49mila tonnellate, rappresentano ora il 37% sul totale, con una quota raddoppiata negli ultimi dieci anni.
In Italia, hanno spiegato ancora Bezzi e Deserti, «gli effetti positivi delle nuove azioni del Consorzio a sostegno dei consumi si sono avvertite soprattutto nel dettaglio tradizionale e nelle vendite dirette (anche online) da parte dei caseifici. Ma anche all’interno della Gdo, con vendite sostanzialmente stabili in presenza di una flessione degli altri formaggi duri dop e di una crescita dei prodotti similari non dop del 2%».
Dunque «cauto ottimismo» quello espresso a Bologna dai vertici del consorzio. Che hanno ipotizzato «buone prospettive future» per il proprio prodotto anche per via di un sensibile calo delle scorte nei magazzini, con giacenze che al novembre 2016 apparivano del 2,2% inferiori a quelle dello stesso mese 2015.
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