Soddisfatta e orgogliosa per la sentenza del Tar sulla vicenda Agea-Caa. Fiduciosa sulle potenzialità del Pnrr che farà ripartire l’Italia puntando sulla sostenibilità ambientale. Determinata nel rivendicare un ruolo da protagonisti per agronomi e forestali per vincere le sfide che attendono il Paese nei prossimi anni. Decisa a spiegare ai colleghi che la formazione professionale continua non è un fastidioso obbligo ma un dovere, per poter fornire durante tutta la carriera lavorativa un supporto all’altezza del livello sempre più alto di competenze richiesto. Ma anche consapevole che su questo fronte c’è tanto lavoro da fare dal lato dell’offerta. Questi gli stati d’animo della presidente del Consiglio dell’Ordine dei dottori agronomi e dottori forestali Sabrina Diamanti riguardo ai temi più importanti per la categoria.
Presidente, una bella vittoria per i professionisti quella su Agea in merito alla convenzione che voleva escludervi dai Caa.
«Un risultato atteso. Infatti, l’ho definita la vittoria del buon senso poiché ripristina il ruolo dei liberi professionisti».
I giudici hanno accolto in pieno le vostre ragioni. È la rivincita delle competenze contro le manovre di palazzo?
La sentenza ha confermato che siamo una figura fondamentale nel collaborare con la pubblica amministrazione. Poi, però, si spinge anche oltre affermando che siamo capaci di offrire requisiti di qualità professionale anche superiore a quella dei dipendenti, poiché l’ordinamento richiede per i professionisti collaboratori requisiti più stringenti. E nel contempo giudica il modello organizzativo proposto dalla convenzione “non congruente con la perseguita finalità di consentire un processo di efficientamento dei Caa e, per il tramite di questo, di Agea”. A questo punto auspichiamo che ci sia spazio per un tavolo di concertazione che coinvolga tutte le parti e punti a individuare la soluzione volta a garantire un incremento di qualità, sicurezza ed efficienza di tutto il sistema. Noi siamo a disposizione.
Avrà dato un’occhiata al Pnrr. L’agricoltura è pienamente coinvolta nella transizione ecologica. Da tecnica, crede che il piano possa davvero centrare gli obiettivi che si prefigge?
Abbiamo dato ben più di un’occhiata. L’abbiamo studiato, costituito un gruppo di lavoro, formulato le nostre proposte migliorative e presentate ai parlamentari. Un impegno necessario perché si tratta di un piano che vuole disegnare il futuro dell’Italia da qui a 20 o 30 anni. E perché l’agricoltura e la gestione forestale sono elementi imprescindibili per qualsiasi politica ambientale e di sostenibilità. In questi mesi, lavorare sulle proposte al Pnrr e alle idee per una transizione ecologica, per il Conaf è stata una priorità.
Cosa le piace di più e cosa di meno?
Come ogni piano è perfettibile, e spero lo sarà nel corso del tempo. Due aspetti particolarmente delicati sono la formazione e la gestione forestale. Nel primo abbiamo proposto di riformulare il percorso di studi universitari sia nella formulazione di tempi e sbocchi. Sia chiedendo integrazioni agli insegnamenti con i concetti di sostenibilità ambientale. Crediamo siano riforme necessarie per avere professionisti capaci di rispondere alle richieste di un mondo che guarda alla transizione ecologica. La questione forestale, invece, ha avuto un difetto d’impostazione: le foreste non hanno ricevuto la considerazione necessaria, in rapporto ai benefici che possono portare.
Si pensi al dissesto idrogeologico per un territorio fragile com’è quello italiano, alle foreste intese come sistemi di assorbimento del carbonio, alla necessità di pianificarle e gestirle per la tutela della biodiversità in un ambiente antropizzato quale è il nostro Paese, alle potenzialità green insite nella produzione di legname da costruzione per sostituire materiali meno ecocompatibili e della filiera volta a produrre energia rinnovabile, alla capacità di originare economie diffuse nelle aree interne e più fragili del Paese. Senza dimenticare la quantità di prodotti del sottobosco utili a creare economie di rilievo. Ignorare la complessità delle foreste è stata un’opportunità mancata, o meglio colta solo parzialmente.
Che ruolo possono avere gli agronomi per raggiungere gli obiettivi del Pnrr?
Da protagonisti, perché la nostra capacità di consulenza sta proprio nel portare nei campi e nei boschi le più avanzate conoscenze e le innovazioni del mondo universitario, della ricerca e dell’industria. Siamo la figura che sa gestire la complessità di un ambiente e degli ecosistemi, puntando a ritrovare un equilibrio con la presenza dell’uomo, cercando continuamente le migliori soluzioni per mantenere la biodiversità, ridurre gli impatti e gli inquinamenti, preservare il paesaggio accompagnandolo nelle inevitabili evoluzioni. Per attuare una transizione ecologica reale e duratura, gli agronomi sono imprescindibili.
Le facoltà di agraria preparano bene gli studenti alla professione?
I nuovi agronomi sono ragazzi capaci e motivati. Sanno utilizzare le nuove tecnologie e hanno ben compreso l’impatto che possiamo dare allo sviluppo sostenibile del Paese. La preparazione che le università offrono deve restare continuamente al passo con i tempi e, talvolta, le riforme del sistema universitario hanno mostrato un ritardo rispetto ai reali bisogni. Come Conaf abbiamo un dialogo aperto con la Conferenza delle facoltà di Agraria, con la Crui, il Cun oltre che con il Ministero, affinché la collaborazione tra istituzioni migliori costantemente il percorso universitario che svolgeranno i futuri colleghi. In questa domanda, però c’è un aspetto che troppo spesso viene trascurato: la formazione continua post laurea.
L’università è decisiva nel porre le fondamenta di un professionista. Ma queste sono solo le basi. Mentre le conoscenze invecchiano precocemente in un mondo che evolve velocemente. Ogni professionista, e non mi riferisco solo a chi svolge la libera professione, non può sentirsi appagato da quanto appreso nel corso di studi universitari ma deve sentire il dovere e il piacere di restare aggiornato e al passo coi tempi. Infatti, come Conaf stiamo lavorando molto per migliorare l’offerta di formazione continua. In modo che sia ampia, disponibile su tutto il territorio nazionale e sempre allineata ai bisogni dei colleghi, del mercato, del sistema Paese. Mi piacerebbe trasferire il messaggio che la formazione continua non è un obbligo da assolvere perché imposto dal legislatore, ma un’opportunità di crescita e di valorizzazione della propria figura.
In Italia ci sono abbastanza agronomi?
Quello che, come ordine, continuiamo ad affermare è che l’agricoltura e la gestione forestale necessitano di un approccio ricco di competenze, aggiornate e con solide basi scientifiche. Ogni volta che si parla di sostenibilità e di transizione ecologica, dobbiamo essere consapevoli che i traguardi e gli obiettivi prefissati dal Pnrr potranno essere raggiunti solo con la comprensione delle complesse dinamiche coinvolte e applicando competenza e professionalità. Ne deriva che la formazione delle nuove generazioni di agronomi e forestali deve essere un punto centrale negli obiettivi del Paese, come abbiamo ribadito anche nelle proposte migliorative al Pnrr.
Sulla questione numeri, invece, è più difficile fare una quantificazione precisa. Ritengo ci sia spazio per molti agronomi. Proprio per le opportunità che il Pnrr offre. Ma, ripeto, bisogna investire su due fronti. Università, attivando da subito un percorso per preparare i professionisti del futuro ormai imminente. Formazione continua, per consentire agli attuali professionisti di trovare strumenti adeguati di aggiornamento. Solo in questa maniera potremo cogliere le opportunità professionali legate ai diversi aspetti della transizione ecologica che richiedono consulenti preparati e capaci.
Magari in alcune aree del Paese c’è ancora scetticismo verso figure come la vostra?
Mi auguro che non si provi scetticismo nei confronti della nostra professione. Accetterei più di buon grado “ignoranza”, intesa nel senso letterale del termine. La nostra è una professione poliedrica, che va dal campo al tribunale, tratta di progettazione, stima, gestione, riqualificazione ambientale, interessando il tessuto rurale, urbano, periurbano e forestale. Questo aspetto talvolta si trasforma in un boomerang creando difficoltà ad attribuirci un’identità. Stiamo lavorando per aiutare la società civile a individuare nella nostra figura il ruolo centrale di cui ho parlato, facendo emergere il valore aggiunto che siamo in grado di dare.
Anche a seguito delle decisioni prese durante il Congresso di Matera, in cui si è scelto di perseguire gli obiettivi di Agenda 2030, sono convinta che diventerà evidente a tutti il contributo di cui siamo capaci per rendere più vivibili le nostre città. Per produrre cibo in modo sostenibile e aiutare a contrastare i cambiamenti climatici. Per incentivare l’agricoltura innovativa e preservare la biodiversità e per valorizzare boschi e foreste.
Avrà seguito il dibattito sull’accostamento dell’agricoltura biodinamica alla scienza generato dall’approvazione della legge sul biologico. Da dottore forestale cosa ne pensa?
Il dibattito riguarda anche l’ordine, quindi l’opinione che esprimo non è personale ma nel mio ruolo istituzionale. Come affermato in ogni sede, l’ordine tiene come riferimento delle proprie politiche la conoscenza scientifica accreditata nelle sedi qualificate e con questo approccio si pone in dialogo con i diversi interlocutori nelle tante sedi di confronto.
Qual è la cosa che ha fatto per la categoria di cui va più fiera durante questi tre anni alla guida del Conaf? E quella che invece non è ancora riuscita a fare?
Sono stati tre anni complessi. Caratterizzati dall’emergenza sanitaria, ancora in atto, e dal susseguirsi di tre legislature, con continui cambiamenti dei riferimenti istituzionali. Nonostante questo, sono riuscita ad accrescere e consolidare la rete di rapporti con enti e associazioni, con il mondo della ricerca e dell’università. Un’azione che porta nella direzione di far comprendere le potenzialità e le capacità di questa professione, cui accennavo prima. E tra queste, aver aderito ad Asvis facendo propri i temi dell’Agenda 2030, confermando il ruolo di una professione in grado di operare nei canoni della sostenibilità. Tali valori hanno consentito alla nostra professione di ottenere il “Premio 100 Eccellenze Italiane”, promosso dall’Associazione Liber sotto il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri.