Il biometano è il futuro del biogas in Italia e in particolare del biogas agricolo? Partiamo dai numeri.
In Italia ci sono circa 2.116 impianti di biogas (Gse, 2017) di cui 1.629 agricoli e 487 di altra tipologia (rifiuti organici, fanghi etc.). Dati che circolano ci dicono che dovrebbero (il condizionale è d’obbligo anche se uno in più uno in meno non fa la differenza) essere circa 9 gli impianti a biometano che trattano la frazione organica dei rifiuti urbani (Forsu) e scarti agroindustriali; zero quelli agricoli. Altri 25, sempre che trattano rifiuti e/o scarti agroindustriali sono in costruzione o sono stati appena inaugurati (leggi qui l'articolo sul nuovo impianto a biometano avanzato da 12 milioni di Nm3 di Caviro) e solo 4 di tipo agricolo.
Questi numeri devono far riflettere sul perché il biometano non sta trovando appeal nel mondo agricolo, a differenza del mondo dei “rifiuti”. Ancor più interessante è osservare che sono circa una settantina le domande, invece, iscritte a registro della legge 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 955. Il registro è stato aperto il 10 aprile 2019 e chiuso il 9 giugno 2019, per dirla in breve il vecchio incentivo “elettrico”.
Un primo fattore da considerare è il diverso contesto del mondo agricolo rispetto al mondo dei rifiuti. Gli impianti che trattano rifiuti si inserisco in genere in contesti industriali di grandi dimensioni che favoriscono le economie di scala; inoltre essi si giovano delle tariffe di conferimento del rifiuto (0,5-1 €/kg rifiuto) alle quali dobbiamo sommare l’incentivo (il Cic) che, sicuramente, a prescindere da maggiori costi per il trattamento del digestato e degli scarti di produzione, danno sempre bilanci ampiamente positivi.
Il mondo agricolo può sì contare sul refluo zootecnico a costo zero, ma esso è poco produttivo. Serve allora la biomassa (coltura energetica), ma essa ha un costo non trascurabile e vi sono limiti quantitativi di utilizzo che determinano una barriera alla taglia dell’impianto che a sua volta si riflette sulla fattibilità di un impianto a biometano. Tutto ciò si traduce, a mio parere, in un principio che vale, per quanto ci dicono anche i numeri: biometano = trattamento rifiuti su scala industriale.
Se tutto ciò fosse vero quale futuro per il biogas agricolo?
Il biogas deve tornare ad essere semplicemente un “fatto agricolo”, ovvero una attività fortemente legata alla attività agricola e sussidiaria ad essa. Lo stesso Ministro dell’Agricoltura Centinaio, in un recente convegno del marzo scorso, ha tracciato la linea: «di fronte ai cambiamenti climatici in corso occorre investire in modo mirato, puntando sulla tecnologia e la ricerca».
Serve quindi un’agenda che rimetta il biogas al centro del mondo agricolo quale motore di innovazione, non dimenticandoci ovviamente che il tutto ciò ha un costo per la collettività e che quindi gli incentivi che la collettività paga devono determinare un “ritorno” ad essa, e devono essere limitati.
Partendo dalle idee condivise col Consorzio Energia Monviso e Fiper (da: Il futuro del biogas agricolo: strategia 2024, comunicazione personale) ecco il futuro del biogas agricolo:
- i. competitività (riduzione costo delle diete, maggiore efficienza, riduzione costi manutenzione etc.);
- ii. integrazione di filiera (recupero del calore per uso agricolo, autoconsumo, recupero dei nutrienti e produzione dei fertilizzanti;
- iii. mercato elettrico: servizi di rete e comunità delle energie (immissione in rete a prezzi di mercato, bilanciamento di rete e storage etc.;
- iv. sostenibilità ambientale (fertilità suoli, riduzione emissioni, miglioramento qualità acque etc. in atmosfera etc).
Editoriale pubblicato su Terra e Vita
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