Alla fine per il biometano è andata bene. Perlomeno, è andata bene finora. Parola di Piero Gattoni, presidente del Consorzio italiano biogas. In una recente intervista proprio su questa testata, Gattoni si è lasciato andare a un primo commento riassuntivo sugli anni magici del Pnrr: «A conti fatti, la considero un’esperienza positiva, e lo dico senza esitazioni», disse in quell’occasione.

A che punto siamo
Manca meno di un anno alla chiusura di uno dei più grandi progetti di transizione energetica che la storia recente d’Italia ricordi. Il 30 giugno del prossimo anno finirà infatti il Piano nazionale di ripresa e resilienza, alias Pnrr.
Un enorme progetto di investimento, finanziato in gran parte da fondi Ue, che ha pompato 1,73 miliardi di euro in un settore che fino a qualche anno prima sembrava destinato a un lento declino.
Nulla di più errato. Oggi il biometano, accompagnato in misura minore dal biogas a destinazione elettrica, è un tassello importante della conversione energetica programmata con il Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima). Entro il 2030 dovrebbero infatti provenire da questa fonte 5,7 miliardi di standard metri cubi (Smc) di biometano.
Di questi, 2,3 miliardi dovrebbero essere frutto dei bandi Pnrr ed essere dunque immessi in rete entro il 2026. Al momento, secondo dati presentati alla giornata italiana del biogas del Cib (Consorzio Italiano Biogas), i primi quattro bandi hanno portato all’approvazione di 283 impianti di biometano - 141 dei quali frutto di riconversioni di impianti per biogas elettrico - per un totale di 1,06 miliardi di Smc.
Con il quinto bando, attualmente in fase di definizione, si dovrebbe aggiungere un ulteriore miliardo di metri cubi, arrivando dunque molto vicini all’obiettivo iniziale. Se a questi valori si sommano infatti i 750 milioni di Smc prodotti dal decreto 2 marzo 2018 (decreto biocarburanti) si ottiene una previsione, al 2026, di oltre 2,8 miliardi di standard metri cubi annui.
Da notare che dopo in avvio al rallentatore, il numero di domande - e di conseguenza di progetti approvati - è cresciuto quasi esponenzialmente con il susseguirsi dei bandi. La quinta e (attualmente) ultima asta, per esempio, ha autorizzato 298 nuovi impianti, per un totale di circa un miliardo di Smc, mentre nei primi quattro bandi ne erano stati approvati complessivamente 260.
Numeri superiori alle aspettative, tanto che per assicurare i fondi agli ultimi 148 di questi 298 progetti autorizzati, è stato necessario rimodulare il Piano, aggiungendo - di concerto con Bruxelles - 640 milioni di euro ai fondi disponibili.
Il prossimo passo sarà quello di ottenere regole meno stringenti per dichiarare conclusi i lavori di realizzazione, passaggio che sblocca i finanziamenti pubblici in conto capitale. Di concerto con l’Unione europea, per esempio, si pensa di legare questo atto conclusivo non all’immissione in rete del biometano, che è vincolato ai tempi di accettazione della pratica da parte di Snam, ma alla data di dichiarazione di fine lavori, con termine per l’effettiva messa in rete del biometano al 31 dicembre 2027.

Nel 2026 non finisce il mondo
Era d’obbligo che il Pnrr, alias DM/2022 (del 15 settembre 2022), con l’enorme quantità di fondi disponibili e i tempi rigidamente contingentati monopolizzasse, per tre anni, tutte le risorse disponibili nel settore, e così è stato. Ciò nonostante, il mondo non finirà nel 2026 e, sebbene si raggiungerà l’obiettivo dei 2,3 miliardi di metri cubi - che appare assolutamente alla portata, ormai - resterà un buco di altri 2,7 miliardi di Smc per conseguire gli obiettivi del Pniec per il 2030.
Come si procederà dal 2027 in poi? Secondo alcune indiscrezioni, il Governo starebbe pensando a un nuovo sistema di incentivi, suddiviso in lotti da 500 milioni di Smc, per arrivare a coprire il quantitativo mancante entro l’inizio degli anni Trenta.
Che il settore non possa essere abbandonato a se stesso è del resto opinione comune, e non soltanto degli addetti ai lavori. Secondo il dipartimento Energy&Strategy del Politecnico di Milano (Outlook Biometano 2024), l’Italia sconta ancora un ritardo significativo rispetto agli altri paesi europei, nella tabella di marcia stabilita dal Pniec. Se dopo il 2026 le imprese agroenergetiche saranno abbandonate, si spegneranno alla chiusura del periodo di incentivazione delle tariffe (entro 15 anni) e l’obiettivo sarà mancato.
In assenza di incentivi pubblici, infatti, gli impianti italiani risultano ancora economicamente insostenibili.
Accanto a questo elemento di debolezza, il rapporto del Politecnico ne evidenzia altri due: il fardello burocratico (regole complesse, che rallentano la realizzazione di impianti) e le difficoltà logistiche, legate principalmente alla distanza tra gli impianti e la rete Snam in cui il biometano dovrebbe essere immesso.
Al riguardo, Marco Pezzaglia, consulente strategico del Cib per lo sviluppo della normativa e della regolamentazione, in una relazione ha ribadito che non è affatto scontato che vi siano ancora impianti riconvertibili o realizzabili ex novo in aree prossime alla rete Snam e per questo motivo ci si dovrebbe porre il problema di uno sviluppo integrato tra produzione e reti.

Sinergie col mondo industriale
Un modo per dare al settore prospettive su un arco temporale che superi l’immediato potrebbe essere quello di stringere alleanze con le industrie energivore, che da un lato risultano penalizzate dagli alti costi energetici italiani e dall’altro hanno il problema di ridurre la loro pesantissima impronta carbonica.
Un’ipotesi resa possibile da un emendamento al Dl Agricoltura del maggio 2024, che ammette accordi di filiera corta tra produttori di biometano e industria Hard to abate, ossia oggettivamente in difficoltà nella riduzione dei consumi di energia fossile. In questa prospettiva, il Cib ha avviato contatti con alcune di queste filiere, arrivando a stipulare un protocollo con Assocarta e Federacciai per la compravendita diretta di biometano a cartiere e acciaierie.
«La sostituzione del gas con il biometano per il settore cartario è una componente essenziale per la decarbonizzazione. I 4,9 miliardi di Smc di biometano previsti dal Pniec per il 2030 sono quasi il doppio del consumo annuo di gas naturale del settore», ha sottolineato il presidente di Assocarta, Lorenzo Poli.
Anche il presidente di Federacciai, Adriano Gozzi, ha indicato nel biometano «Una valida alternativa per ridurre le emissioni dirette dell’industria siderurgica». Gattoni, infine, ha evidenziato come «Grazie al biometano le aziende di settori come acciaio, ceramica, carta o chimica potranno più facilmente decarbonizzarsi, restando competitive sul mercato, mentre il settore agricolo intravede una prospettiva che va al di là della contingenza attuale. Un progetto per gli anni a venire».
Nuovi impianti elettrici, tariffe da rivedere
Dei 985 impianti di biogas attualmente attivi, metà circa ha le giuste caratteristiche per essere convertita al biometano. Per gli altri, come noto, l’arrivo dei nuovi prezzi minimi garantiti ha rappresentato una boccata d’ossigeno, rendendo possibile programmarne l’attività per gli anni a venire senza rischiare un passivo di bilancio.
È però importante che accanto ai digestori in attività ne sorgano di nuovi, sempre a destinazione elettrica. Infatti il metano è sicuramente indispensabile, ma l’energia elettrica lo è altrettanto, se non di più.
D’altro canto, sul fronte agricolo, gli impianti di biogas elettrico, solitamente di dimensioni contenute e realizzati a livello aziendale, consentono da una parte di utilizzare sottoprodotti zootecnici e della coltivazione e dall’altra forniscono una fonte di guadagno aggiuntiva a realtà di stampo famigliare, quali ve ne sono ancora nel nostro Paese, nonostante un’evidente tendenza al gigantismo delle stalle.
«Per tante stalle del Parmigiano Reggiano il biogas elettrico è la soluzione ideale, nonché elemento fondamentale per una decarbonizzazione senza sorprese», aveva detto poche settimane fa a Terra e vita il presidente del Cib Piero Gattoni. «Attualmente - aveva aggiunto - i bandi del Gse viaggiano su incentivi rimasti immutati da almeno quattro anni e che sono sicuramente inadeguati rispetto alla situazione attuale. Penso che il prossimo bando avrà poche adesioni, ma siccome il Gse può rivedere le tariffe, credo che sarà possibile risolvere l’intoppo».













