Tempo di semine per il grano duro e tempo di contratti di coltivazione da chiudere con le industrie di trasformazione. Ma con i listini del frumento duro nazionale ben oltre i 500 €/t (540 €/t l’ultima quotazione alla borsa merci di Bologna), c’è parecchia fibrillazione lungo la filiera, perché il prezzo garantito proposto dai pastifici si aggira intorno ai 330-350 €/t. In aumento rispetto ai 270 €/t dello scorso anno, ma molto lontano dalle quotazioni di queste settimane. Inoltre, c’è da considerare l’impennata dei costi dei mezzi tecnici e del carburante, che vanno a erodere la marginalità delle aziende agricole.
Va anche considerato che le stime di semina per l’annata 2022 parlano di un aumento di almeno il 5% delle superfici, concentrato soprattutto al Nord, dove le rese sono più alte. La produzione nazionale del prossimo anno dovrebbe quindi aumentare di circa 900mila tonnellate, raggiungendo i 4,8 milioni di tons. Le quotazioni degli ultimi mesi sono figlie anche della scarsa produzione canadese, che ha fatto scendere gli stock mondiali ai minimi. Ma gli esperti prevedono che se i raccolti torneranno “normali”, i prezzi scenderanno fino a valori intorno ai 300-350 €/t. Già nella prima settimana di novembre le quotazioni hanno dato un primo segnale di “raffreddamento”, restando invariate dopo mesi di crescita ininterrotta. Che fare quindi? Vincolare almeno una parte del raccolto ai contratti di coltivazione o tenersi le mani libere? Difficile dare una risposta chiara.
Articolo pubblicato sulla rubrica Primo Piano di Terra e Vita
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Autunno caldo
Da settembre per il mercato libero l’evoluzione dei prezzi è stata molto violenta e ha inferto ferite profonde soprattutto agli acquisitori che si sono trovati a operare senza accordi certi di fornitura o con linee di credito storiche a fronte di prezzi d’acquisto alle stelle (a parità di fido bancario si compra il 50% di grano ndr). Sul mercato, dopo le prime settimane di euforia commerciale di agosto, si è assistito alla riduzione di offerta e alla progressiva difficoltà a reperire lotti a causa della ritrosia dei produttori a vendere ulteriori quote del loro raccolto in regime di prezzi che settimanalmente salivano in doppia cifra su tutte le borse merci di riferimento.
Neppure i contratti di coltivazione, il cui fine, in massima sintesi è garantire un prezzo adeguato a fronte della garanzia di fornitura, si sono salvati. In molti casi la formula di adeguamento del prezzo era incompleta per gestire l’escalation delle quotazioni. Arrivando al punto che in pochi (o quasi nessuno) avevano considerato che i prezzi di riferimento delle mercuriali potessero raggiungere e oltrepassare quei 530 €/t toccati a marzo 2008. La soluzione è stata però trovata a “tavolino” negoziando le percentuali di adeguamento per gli scaglioni di prezzo fino a ipotetici 600 €/t e oltre. La serietà degli attori, alla base dei contratti di filiera, ha giocato un ruolo determinante nel trovare la quadra, anche se il processo ha avuto momenti di tensione e probabilmente avrà uno strascico sugli accordi che stanno stipulando per il 2022/23 che potrebbe riprodurre quanto già visto nel 2008/09.
Qui Emilia-Romagna: «Strumento importante»
Per la campagna 2021-2022 si prevede un aumento delle superfici dedicate a grano duro in Emilia-Romagna, fino a 85mila ettari. «Il contratto di coltivazione è uno strumento importante perché permette di diversificare il rischio e anche se con i prezzi di oggi può sembrare poco conveniente, bisogna ricordare che in altri anni molto difficili è stato un’ancora di salvezza». Non ha dubbi Marco Caliceti, imprenditore agricolo che coltiva 80 ettari a cereali nella pianura bolognese, e rappresentante di Confagricoltura nella Commissione sperimentale grano duro. Da diversi anni sottoscrive il contratto di coltivazione Barilla.
«Difficilmente mi affido alla vendita libera – spiega – non solo per il grano, ma anche per gli altri prodotti cerco di sottoscrivere contratti. Quello Barilla garantisce il ritiro del 30% della produzione a prezzo concordato, il restante 70% si può vendere liberamente o in base ad accordi presi con i centri di stoccaggio. Non consiglio di mettersi sul mercato da soli, è difficile prendere sempre il momento buono. Poi bisogna essere bravi in campo – conclude – ma neanche quello basta se il clima rovina tutto».
Più o meno sulla stessa linea Stefano Zeccardi, cerealicoltore del Bolognese che quest’anno seminerà 80 ettari a grano duro. Conferisce il raccolto alle cooperative Capa Cologna e Cesac che poi lo vendono a Barilla. «Di solito metto a contratto a prezzo prefissato il 15-20% del grano, mentre il resto è gestito con il prezzo libero o con formule che considerano medie di prezzo più o meno lunghe – afferma Zeccardi – penso che farò così anche quest’anno, nonostante i prezzi di questo periodo».
Qui Puglia: prezzi di mercato più i premi
Piena conferma dei contratti già esistenti per l’annata durogranicola 2021-2022, per una produzione in filiera di 200.000 quintali di grano duro. È questo il programma dell’accordo di filiera “Granoro Dedicato”, che il Pastificio Attilio Mastromauro - Pasta Granoro di Corato (Ba) porta avanti dal 2012 con la Cooperativa agricola fra coltivatori di Apricena (Fg) e la Semidaunia srl di Cerignola (Fg).
«È un programma che punta a crescere e a far produrre e trasformare, nel giro di cinque anni, un milione di quintali di grano duro di alta qualità – dichiara il responsabile acquisti del Pastificio Granoro Giandomenico Marcone –. La filiera “Granoro Dedicato” pone al centro gli agricoltori, perciò prevede un prezzo minimo ma non uno massimo. Ai produttori di grano duro Pastificio Granoro paga un prezzo indicizzato alle quotazioni del grano duro fine della Borsa Merci di Foggia più le eventuali premialità a partire dal 14% di proteine e dal 79 di peso specifico».
«Per la prossima annata – conferma Donato Luciani, presidente della Cooperativa agricola fra coltivatori di Apricena – Granoro ha rinnovato tutti i contratti già attivi. Noi produttori siamo tutelati dall’assenza di un prezzo massimo. Granoro ci paga il prezzo di mercato corrente, più le premialità. Questa è una filiera in cui ci sentiamo protagonisti».
Qui Sicilia: I contratti? «Una fregatura»
I contratti di filiera del grano duro? Una vera fregatura. Una bufala da proporre ai più ingenui o a chi non sa fare bene i conti. A pensarla così è la gran parte dei cerealicoltori siciliani, che hanno già espresso le loro perplessità sulle clausole stringenti e, a dir loro, difficili da rispettare, presenti nei contratti. «A fronte di un prezzo che può sembrare allettante e vantaggioso – osservano numerosi produttori di grano – si richiedono qualità merceologiche che spesso, complice anche la variabilità climatica, non possono essere garantite». A cominciare dal tenore proteico. Viene richiesto, infatti, 13% di proteine ma nell’Isola è già un fatto eccezionale arrivare al 12.
Così, è probabile che alla scadenza dei contratti sottoscritti tre anni fa nella maggior parte dei casi con i molini (e non coi pastifici che nell’Isola sono davvero pochi), per poter ottenere il premio qualità, gran parte degli agricoltori non abbia alcuna intenzione di ripetere l’esperienza che li ha obbligati all’uso del seme certificato e, quindi, a maggiori costi spesso non ripagati dal premio qualità erogato in maniera discontinua e altalenante.
C’è chi sostiene che spesso nel campo della cerealicoltura, le performance negative in termini di qualità sono dovute alla scarsa attenzione posta dagli agricoltori nelle tecniche di coltivazione. Fino a quando il prezzo del grano duro si è mantenuto basso, il risultato della coltura ai fini del bilancio aziendale è stato considerato marginale. Non deve stupire, quindi, che gli agricoltori abbiano cercato in ogni modo di comprimere i costi colturali. In più c’è da c’è da dire che, una volta smantellato il servizio di assistenza tecnica regionale, gli agricoltori sono stati abbandonati a loro stessi.
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Ipotesi per la prossima campagna
Rispetto a quel passato, la prossima campagna si aprirà con stock di riporto risicati (se non al minimo) e molto probabilmente la tensione di mercato in quelle settimane suggerirà a livello di prezzi sulle mercuriali un periodo di non quotato, con assenza di riferimento non solo per chi cavalca la strategia del mercato alla giornata ma anche per chi da anni persegue la meno rischiosa strada dei contratti di filiera. Se per i primi cambierà poco o nulla, per i secondi potrebbe essere necessaria una “mediazione temporale” a livello di prezzi.
Per la filiera grano duro, una strada potrebbe essere quella di riconoscere sull’intero periodo delle consegne un qualcosa di più come “garantito” a compensazione dei volumi eseguiti sotto trebbia quando il mercato sarà particolarmente caldo. Altra soluzione, concertare un prezzo finito a tutti gli effetti per le quote di Giugno-Luglio (e forse Agosto) con l’applicazione del solito meccanismo legato alle borse merci da settembre in poi.
Annate pirotecniche come questa, alla pari delle annate depresse, confermano la bontà dei contratti di filiera nel gestire in modo equilibrato, anche se con momenti di tensione, situazioni che in altri tempi avrebbero messo a rischio default il settore grano-semole-pasta, uno dei fiori all’occhiello Italiani.
Barilla, soglie riviste per tenere conto dei maggiori costi
Barilla ha già proposto ai propri fornitori del Nord Italia i contratti di coltivazione per la campagna 2022. L’unica variazione rispetto al passato riguarda il prezzo garantito, con un aumento di 80 €/ha rispetto alla scorsa campagna, con una scala di quotazioni incrementali in funzione della qualità, partendo dal 13% di proteine fino a valori superiori al 14%.
«Abbiamo discusso con la parte agricola recependo l’aumento dei costi di produzione degli ultimi tempi – spiega il responsabile acquisti grano duro di Barilla e neo presidente di Italmopa Emilio Ferrari – soprattutto i fertilizzanti azotati e il gasolio. Le quotazioni attuali hanno raggiunto livelli eccezionali superando i 500 €/t, ma si tratta di livelli che vedranno un ridimensionamento, seppure si prevedono prezzi remunerativi anche la prossima campagna. Inoltre – precisa Ferrari – il valore proposto è quello riconosciuto all’agricoltore, al quale l’industria deve aggiungere i costi di stoccaggio e trasporto».
Il confronto sul prezzo è sempre intenso tra parte agricola e industriale. «Ritengo che questo sia un prezzo adeguato per garantire il giusto reddito agli agricoltori – afferma Ferrari – poi è ovvio che sottoscrivere la quota a prezzo garantito non è un obbligo. Se un imprenditore agricolo vuole “assicurare” una quota della produzione sottoscrivendo un contratto a prezzo garantito ha la possibilità di farlo, altrimenti può usufruire delle premialità del contratto nelle modalità che segue il mercato. Certamente, con l’andamento attuale dei prezzi quest’anno non mi aspetto la corsa da parte degli agricoltori a firmare per il prezzo garantito, anche se la ritengo una forma per assicurare almeno in parte il proprio reddito».
Oltre al classico contratto di coltivazione, ci sono alcune realtà locali che preferiscono la formula “cap and floor”, in voga soprattutto nella bassa lombarda. Si fissano un prezzo minimo e uno massimo che varia nel range tra i 300 €/t e sotto i 400 €/t, considerando anche le premialità. «Se il valore di mercato scende al di sotto del Floor all’agricoltore viene corrisposto il prezzo Floor più le premialità – conclude Ferrari – se il prezzo sale sopra il massimo contrattuale, il Cap, viene riconosciuto questo prezzo, sempre addizionato delle premialità».
Ferrari invita a riflettere su una situazione figlia dell’andamento climatico del tutto eccezionale che ha portato a un grave deficit produttivo in Canada e negli Stati Uniti. I prezzi, quindi, sono destinati a raffreddarsi.
Lo stoccatore: ampio margine di manovra
«Qualche mal di pancia tra gli agricoltori c’è, ma credo che alla fine la gran parte sceglierà di restare all’interno del contratto di filiera, anche perché consente un ampio margine di manovra agli imprenditori agricoli».
Parola di Marco Sacchi, direttore del settore conferimento cereali di Progeo, cooperativa agricola emiliana che vende a Barilla 15mila tonnellate di grano duro ogni anno. «Gli agricoltori possono scegliere di rimanere dentro la filiera senza obbligo di vincolare una quota di produzione a un prezzo fisso – precisa Sacchi – mantenendo comunque il diritto alle premialità previste dal contratto».
Sul prezzo “giusto” da corrispondere agli agricoltori per il grano duro di alta qualità richiesto dall’industria, considerando gli attuali valori dei listini e l’aumento dei costi di produzione, Sacchi ritiene potrebbe essere compreso in una forbice tra i 350 e i 400 €/t.