Partiamo con i fatti: l’Italia è, a fianco della Spagna, il primo produttore ortofrutticolo europeo. Ogni anno il nostro Paese produce 24 milioni di t di frutta e verdura, di cui un terzo viene consumato “in casa”. Potenzialmente, la rimanente quota dovrebbe finire sulle tavole straniere.
Così non è: il nostro export sfiora i 4 milioni di t, ma la gran parte (circa 3,2) non viaggia oltre i confini europei. Certo è vero che il comparto ortofrutta rappresenta il 22% dell’export agroalimentare (prima voce dopo il vino), che la nostra bilancia commerciale è positiva, che i tassi di crescita sono stati costanti nel tempo e, negli ultimi dieci anni, il nostro export in valore è praticamente raddoppiato, passando da 2,5 a 4,1 miliardi di euro (2005-2014). Ma non è sufficiente a farci dormire sonni tranquilli.
Dove va la concorrenza - Bastano tre aspetti: i nostri diretti concorrenti – Spagna (11,6 milioni di t in Ue, 0,9 milioni di t extra Ue), Olanda (8,5 mln t Ue, 1,5 mln t extra Ue), Francia (4,2 mln t Ue, 0,7 mln t extra Ue) - fanno meglio di noi; la riduzione dei consumi nazionali è un fattore strutturale; il nostro principale mercato, La Germania, si sta gradualmente ridimensionando. Che fare? A quali Paesi guardare? Di questo si è parlato al seminario “L’internazionalizzazione dell’impresa ortofrutticola”, pre-evento di Fruit Innovation, la nuova fiera internazionale dell’ortofrutta (Milano, 20-22 maggio).
Est e Mediterraneo: i più promettenti - Anzitutto, ha riferito Marco Salvi, presidente Fruitimprese, «osserviamo che negli ultimi 10 anni l’export verso l’Ue è cresciuto del 10%, fuori del 220%». I Paesi più promettenti sono le nazioni dell’Est e, a dispetto dei conflitti, quelli della sponda Sud del Mediterraneo. Qui si potrebbe arrivare “da soli”. Ma ci sono destinazioni (Giappone, Messico, Cina, Indonesia e Russia) dove serve il supporto politico. «Bisogna lavorare sulle barriere fitosanitarie, sulla reciprocità dei rapporti commerciali, sulla riduzione della burocrazia. Occorre inoltre favorire aggregazioni e concentrare le risorse».
Identikit dei consumatori - Una volta scelto il mercato, ha avvertito Claudio Scalise di SG Marketing, «va valutata la domanda locale: nei Paesi ricchi il consumatore chiede sicurezza, sostenibilità, salute; nei Paesi asiatici si pone più attenzione all’aspetto estetico, mentre nei nuovi mercati la distinzione si fa sul prezzo». Altro step fondamentale, come arrivare all’estero: «le possibilità sono diverse: rapporto diretto con la gdo, agenti, importatori/distributori, joint venture, filiali in loco. Ci sono pro e contro in tutte le opzioni: l’importante è pianificare, porsi degli obiettivi, fissare le risorse e modellare la strategia sul tipo di mercato scelto e su quello che la nostra azienda è in grado di offrire».