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Se l’ogm è di seconda generazione

Come modificare in modo mirato il gene di una pianta senza inserimenti esterni

Da un lato ci sono la tradizione, la cultura contadina, il paesaggio idilliaco di una natura modellata dalle sapienti mani degli agricoltori, il buon cibo e il buon vino italiano. Dall’altro ci sono i laboratori e l’oscuro lavoro di chi da secoli usa la conoscenza per migliorare la qualità delle piante, degli alimenti e della quantità dei raccolti. Due fazioni che faticano a comunicare, in un’eterna lotta tra “ragione e sentimento” che ostacola il progresso dell’agricoltura.

«Ma oggi non possiamo più permetterci di avere questi mondi separati. Le sfide che l’agricoltura è chiamata ad affrontare sono enormi ed estremamente complesse e servirà il contributo di tutti. È vitale che passi questo messaggio: sentimento e ragione possono e devono convivere. Basterebbe affrontate le questioni con un pizzico di logica per capire che non esiste alcuna contraddizione tra l’innovazione scientifica e la bellezza dell’agricoltura». Parola di Alessandro Vitale, ricercatore dell’Istituto di Biologia e biotecnologia agraria del Cnr e organizzatore del convegno su miglioramento genetico e biodiversità che si svolgerà all’Expo di Milano (v. box).

L’evento sarà occasione per mettere in luce il contributo che la scienza ha offerto al settore primario, per porre in risalto la qualità della ricerca made in Italy e per inquadrare i trend di innovazione che verranno dei prossimi anni.

Partiamo dalla biodiversità: «l’agricoltura, fin dalla sua nascita, è stata la più grande minaccia alla biodiversità. Oggi il nostro pianeta è affollato, dobbiamo produrre più cibo senza strappare nuove terre alla natura. Non possiamo più permettercelo. La nuova parola d’ordine è intensificazione sostenibile, ossia produrre di più, utilizzando meno risorse naturali e meno chimica».

E qui entra in gioco il miglioramento genetico. «Grazie al sequenziamento dei genomi di alcune piante, cui la scienza italiana ha largamente contribuito, siamo oggi in grado di associare un carattere agronomico ad una sequenza specifica del Dna. Questo significa che possiamo operare in maniera molto più rapida e precisa per migliorare le proprietà delle colture» Tre, in prospettiva, le linee di ricerca su chi l’Italia sta investendo: analisi delle funzioni dei geni di alcune colture strategiche, come la vite, di cui è stato sequenziato il genoma; sviluppo di strategie di adattamento ai cambiamenti climatici; miglioramento nutrizionale degli alimenti. «Nei prossimi anni dovremo aumentare il grado di autosufficienza agricola e salvaguardare il nostro patrimonio gastronomico. Il mondo va avanti, corre, non abbiamo il monopolio della qualità».

E proprio ricordando che il mondo va avanti, non si può non affrontare il tema ogm: «gli ogm non sono tutte le biotecnologie, ma non si può negare che, in alcuni casi, portano evidenti vantaggi. È assurdo negarli, quando facciamo manipolazioni sulle piante da sempre>>. Soprattutto in questo campo, avverte Vitale, è dunque necessario riportare il dibattito su basi razionali, «altrimenti pagheremo, come Paese e come continente, un conto salato». La speranza, in questi ultimi anni, sembra essersi riaccesa e paradossalmente potrebbe essere proprio un’innovazione a consentire una pacifica convivenza tra ragione e sentimento. «Si tratta di nuove tecnologie, hanno 4-5 anni di vita, che permettono di modificare in modo mirato un gene di una pianta senza inserire geni esterni. Fanno in pratica lo stesso lavoro delle mutazioni casuali, ma in maniera rapida e selettiva. Potremmo chiamarle, anche se non hanno ancora un nome ufficiale, ogm di seconda generazione». Tecnologie su cui sta lavorando anche l’Italia, con progetti su diverse colture, come vite e pomodoro. «Mi auguro che questa nuova innovazione possa essere accolta con un approccio diverso, a partire dai sistemi di approvazione. Oggi chiedono di dimostrare l’indimostrabile, con studi sulla sicurezza a dir poco paradossali. La conseguenza è che per ottenere l’approvazione di una pianta ogm servono decine di milioni di euro. Poi non lamentiamoci se solo le multinazionali possono permettersi di investire nelle biotecnologie».

Se l’ogm è di seconda generazione - Ultima modifica: 2014-07-23T14:58:33+02:00 da nova Agricoltura

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