La produzione di foraggio in Emilia Romagna è incentrata principalmente sulla conservazione mediante essiccazione, tradizionalmente legata alla produzione del Parmigiano Reggiano. Infatti, circa l’80% del latte prodotto in regione (18,5 % di quello nazionale) viene destinato a questo formaggio Dop, che tra le prescrizioni produttive prevede l’esclusione di alimenti fermentati, quindi degli insilati, dalla razione delle bovine da latte.
Nei comuni che fanno parte del comprensorio della produzione del formaggio Parmigiano Reggiano, così come nella provincia di Piacenza, il legame tra agricoltura e allevamento è molto stretto, tanto che la foraggicoltura è la principale attività agricola e in alcuni comuni arriva a occupare fino al 50% della Sau (figura 1). In relazione alla produzione specializzata di fieno, l’erba medica rappresenta la principale coltura foraggera in Italia; anche a fronte di una contrazione delle superfici nazionali registrata nell’ultimo decennio (da 770.755 ha del 2006 ai 681.418 del 2016 – dati Istat), oggi in assestamento per effetto del greening, l’erba medica rimane il prato avvicendato monofita maggiormente presente nelle rotazione colturali dell’Emilia Romagna, dove sono concentrate circa il 36% delle superfici a medicaio nazionali, pari a 245.420 ha. Negli avvicendamenti colturali tradizionali dei sistemi foraggeri di pianura, il cui obiettivo è massimizzare l’autoproduzione di foraggi, la coltura dell’erba medica è centrale: viene dopo un anno o due di cereali (da granella e foraggeri), occupa generalmente quattro anni ed è solitamente seguita da una coltura da rinnovo (in genere mais o soia), in una sequenza che può prevedere l’irrigazione praticamente solo per la coltura da rinnovo.
Oggi, considerando le nuove e difficili sfide che l’agricoltura ha davanti, è necessario affrontare profondi cambiamenti anche per la produzione di foraggere, soprattutto in aree dove queste sono tra le coltivazioni principali: infatti, è divenuta imprescindibile una sostenibilità delle produzioni, sostenibilità che sia prima di tutto economica ed ambientale, ma che in aree difficili come la montagna, dove la zootecnia da ruminanti è spesso l’unica attività agricola possibile e remunerativa, assume connotazioni importanti anche di sostenibilità sociale.
E proprio per rispondere a queste esigenze, in tema di sostenibilità della produzione dei foraggi, nasce il progetto Forage4climate, finanziato dall’Unione europea nell’ambito del Programma Life + Climate Change Mitigation project.
In cosa consiste? Il progetto ha l’obiettivo di dimostrare come i sistemi agricoli collegati alla produzione di latte possono essere attivi nella mitigazione del cambiamento climatico. Nella filiera del Parmigiano Reggiano si vuole dimostrare come il sistema produttivo dei prati stabili possa contribuire alla sostenibilità ambientale.
Forage4Climate vuole diffondere un’applicazione solida e trasparente della contabilizzazione delle emissioni e degli assorbimenti di Ghg risultanti da attività di uso del suolo. In particolare si lavora sui sistemi foraggeri che caratterizzano due macro aree climatiche europee: continentale per il latte vaccino, mediterranea per il latte ovino e caprino. Il progetto, coordinato dal Crpa coinvolge 3 regioni della Pianura Padana (Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna), Sardegna e 4 regioni della Grecia. Questi territori sono rappresentativi dei climi maggiormente diffusi in Europa. Tra i partner del progetto: Agricultural University of Athens (Aua), Università degli studi di Milano (Unimi), Università degli studi di Sassari (Uniss), Università degli studi di Torino (Unito).
Nel prosieguo di questo articolo ulteriori dettagli sul progetto e approfondimenti su alcuni contenuti già esposti al workshop “Fienagione, i problemi gestionali. Il caso dell’azienda che produce per il Parmigiano Reggiano”, organizzato da Edagricole in occasione della giornata in campo “Nova Agricoltura in Fienagione”, il 18 maggio scorso a Sala Bolognese.
Rispetto dell’ambiente e adattamento al cambiamento climatico
Abbiamo già parlato di come il livello produttivo e la qualità del foraggio possano essere influenzati dal clima e dal suo cambiamento (Terra e Vita n. 16 del 12 maggio 2017), ma si dovrà tenere conto anche di come tutto l’assetto delle rotazioni può dovere essere rivisto a causa degli eventi estremi (caldo e freddo, siccità e alluvioni).
Un recente report del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria indica che quanto è avvenuto nell’inverno e primavera scorsi ricalca, purtroppo, quello che già si è visto negli ultimi anni: una forte siccità autunno-invernale nel Nord Italia, associata a un andamento termico generalmente superiore alla norma, tranne a gennaio. Questo ha determinato un calo sostanziale delle disponibilità idriche per l’agricoltura in previsione della stagione irrigua.
Nel bacino del Po la prolungata carenza di precipitazioni ha portato già da febbraio un quadro complessivo di sofferenza, con valori di livello del fiume inferiori alla media. Anche in Emilia-Romagna sono risultate critiche le condizioni di invaso delle dighe del Piacentino (Mignano - 29% e Molato - 18%) e il livello delle falde troppo basso per emungere. Quindi anche per il 2017 sono previste minori produzione e aumenti dei costi di coltivazione. Nello stesso periodo in cui il Nord ha sofferto il fenomeno siccitoso invernale, il Centro e il Sud Italia sono stati colpiti da un’ondata eccezionale di gelo e precipitazioni nevose.
Come sempre più frequentemente nell’ultimo decennio, un nuovo brusco cambio di andamento climatico è avvenuto in piena primavera. Se il clima mite dell’inverno aveva prodotto al Nord un anticipo delle fasi fenologiche delle principali colture, i danni sono stati enormi quando a metà aprile una improvvisa ondata di maltempo ha portato a precipitazioni estese e abbondanti, culminate con la diffusa gelata tardiva di Pasqua. In sostanza, l’agricoltura vede due sfide di fronte al cambiamento del clima: ne è vittima, e per questo va ricercato un adattamento alle nuove condizioni, ma ne è anche causa, seppure contribuisca per meno del 10% all’emissione di gas a effetto serra, quindi le azioni di mitigazione delle emissioni vanno comunque ricercate e applicate anche nella produzione primaria.
Il progetto Life Helpsoil
Nell’ottica di ottenere sistemi foraggeri nelle aree della Pianura Padana a forte vocazione zootecnica che siano maggiormente compatibili con l’ambiente, Crpa e Fondazione Crpa Studi Ricerche hanno fatto e continuano a fare esperienze con altri gruppi di ricerca ed enti, così come con aziende attive sul territorio, principalmente partecipando a progetti del programma per l’ambiente e l’azione per il clima Life+. Life Helpsoil ha come obiettivo quello di migliorare i suoli e l’adattamento al cambiamento climatico attraverso tecniche sostenibili di agricoltura conservativa. Tra le diverse attività dimostrative di agricoltura conservativa, nel comprensorio del Parmigiano Reggiano è stata impostata una rotazione settennale condotta in regime conservativo parallelamente a quello convenzionale. A primavera 2017, ancorché il progetto sia formalmente terminato, si è continuata la rotazione con l’impianto dell’erba medica dopo frumento, sempre mantenendo una conduzione convenzionale e conservativa, quindi seminando in questo caso su sodo di frumento.
All’avvio delle prove le produzioni ottenute con le tecniche conservative sono risultate inferiori rispetto al sistema convenzionale, ma la differenza si è ridotta nel corso degli anni sino a invertirsi (tabella 1), a testimoniare del probabile superamento del cosiddetto “periodo di transizione” dovuto al passaggio all’agricoltura conservativa.
Certamente le esperienze fatte hanno evidenziato alcuni elementi di criticità che sono nel frattempo stati risolti, come ad esempio la scelta delle seminatrici e degli interventi erbicidi (tempi e modalità). Importante è stato essere riusciti a chiudere una tipica rotazione del sistema foraggero emiliano romagnolo tutta in regime conservativo, che ora proseguirà. Maggiori informazioni sui risultati del progetto sono disponibili sul sito web di HelpSoil come materiale del convegno finale, svolto il 15 giugno. Come già anticipato, Life Forage4climate intende dimostrare come i sistemi agricoli collegati alla produzione di latte possono essere attivi nella mitigazione del cambiamento del clima.
Il progetto è al suo primo anno di attività e si svilupperà concretamente con:
- la divulgazione di buone pratiche che contribuiscono a limitare le emissioni e a preservare e/o accrescere le riserve di carbonio dei terreni (seminativi, prati e pascoli) utilizzati per produrre foraggi per l’alimentazione dei ruminanti (bovini, ovini e caprini);
- la messa a punto e la diffusione di strumenti di valutazione dei carbon stock e delle emissioni di gas ad effetto serra rispondenti ai requisiti richiesti da gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc 2006) per valutare gli effetti degli interventi di mitigazione.
Attualmente si stanno caratterizzando, sia per lo stock di carbonio nel suolo, sia per il livello di emissione di Ghg, 8 sistemi foraggeri tipici della Pianura Padana per la produzione di latte vaccino e altrettanti per la produzione di latte ovicaprino in Sardegna e Grecia. Analizzati i risultati ottenuti di individueranno e poi applicheranno le tecniche di mitigazione ritenute più adatte per ciascuno di essi. Dal prossimo autunno inizierà la dimostrazione vera e propria in campo.
Nei territori di montagna
L’attività agricola è la principale forma di salvaguardia e valorizzazione del vasto territorio montano e collinare italiano, che in Emilia Romagna rappresentano rispettivamente il 25 e il 27% del totale (41,6% e il 35,2% del territorio nazionale). L’agricoltura montana contribuisce con piccole quantità alla produzione agricola nazionale, ma ha un importante valore strategico, culturale, sociale ed ambientale. La zootecnia è l’attività principale dell’agricoltura montana - più del 50% della Sau nazionale a prati permanenti e pascoli è localizzato in montagna –, e si rivolge principalmente a produzioni qualitativamente elevate (Dop, Igp, biologico).
La zootecnia da latte connessa al formaggio Parmigiano Reggiano è l’attività agricola principale delle aree montane del comprensorio, quindi con una rilevanza anche in termini di garanzia della permanenza di un congruo numero di addetti nel settore e con le relative ricadute sociali e ambientali del mantenimento degli insediamenti abitativi e produttivi
(anche relativamente al settore della trasformazione connesso) in aree suscettibili di abbandono e dissesto idrogeologico. L’adozione da parte del Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano del progetto Prodotto di Montagna sta avendo un consenso molto positivo tra gli oltre 110 caseifici ubicati in montagna.
Al vantaggio socio-economico che gli operatori si attendono da questa scelta si associano alcuni importanti vincoli, primariamente quanto indicato dai Reg, Ue n. 665/2014 e n. 1151/2012 legati all’origine e cioè che l’intera produzione del formaggio, dal latte fino alla stagionatura almeno a 12 mesi, avvenga in montagna. Inoltre, il 60% della sostanza secca della razione somministrata alle bovine da latte, su base annua, deve provenire da zona di montagna.
Questo accresce certamente la distintività del formaggio prodotto in questa area, perché lo lega maggiormente al territorio enfatizzando i due elementi fondanti del disciplinare della Dop: il fattore umano, come portatore del sapere e della tradizione, e l’origine locale degli alimenti, in pratica dei foraggi. Quest’ultimo elemento pone difficoltà in zone dove la produzione dei foraggi non è certo abbondante come in pianura e può rappresentare un limite dell’espansione del progetto se non si interviene sul miglioramento della produzione di foraggi in montagna.
Proprio di questo si sta occupando il Gruppo operativo per l’innovazione (Goi) Latteria San Giorgio, finanziato dalla Regione Emilia Romagna attraverso lo strumento Psr 2014-2020 misura 16.1.01 - sostegno per la costituzione e la gestione dei Gruppi Operativi del Pei in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura.
In questo piano le aziende agricole socie della latteria si stanno impegnando, con il supporto di Crpa e Fondazione Crpa Studi Ricerche, a migliorare la produzione quantitativa e qualitativa di foraggi aziendali e ad utilizzare al meglio i fieni nel razionamento.
Al fine di contrastare le maggiori criticità presenti in montagna, riconducibili alla perdita di fertilità dei suoli, al dissesto che ne deriva e al costo elevato di tutte le operazioni colturali, le azioni a cui si sta lavorando riguardano: la valorizzazione della sostanza organica di origine animale come ammendante e fertilizzante; il ripristino dei cotici e dei prati con minime lavorazioni; l’inserimento di erbai specializzati di graminacee e il miglioramento produttivo dell’erba medica. Contestualmente si stanno monitorando in stalla i consumi di foraggio e mangimi, così come registrando le produzioni quantitative e qualitative dei fieni con l’obiettivo di aumentare la quota di autoapprovvigionamento aziendale.