Da tempo la ricerca agricola ha preso pienamente coscienza dei cambiamenti climatici e del loro impatto sulle coltivazioni e ha individuato la strada da percorrere per mitigarne e contrastarne gli effetti, ma anche per trovare soluzioni che permettano un adattamento ai nuovi scenari.
Sul fronte della mitigazione/contrasto, la produzione agricola può agire su più livelli, fra i tanti, ridurre le emissioni di CO2 e catturare il carbonio,
migliorare il contenuto in sostanza organica dei terreni o, per contro, ridurne la perdita; contenere i fenomeni di erosione del terreno; arginare la continua perdita di terreni agricoli (a causa di cementificazione, compattazione, desertificazione); gestire in modo efficiente l’acqua e i fertilizzanti (anche ridurne l’utilizzo) e molto altro.
Sul fronte dell’adattamento è necessario attuare sistemi colturali più diversificati
(mantenere e sfruttare la biodiversità); applicare pratiche agronomiche sostenibili (lavorazioni agricole meno impattanti, uso di macchine agricole più efficienti e meno inquinanti, agricoltura di precisione, colture di copertura, ecc.); coltivare specie più rustiche, resilienti, meno esigenti in termini nutrizionali e idrici; introdurre sistemi efficienti di irrigazione e concimazione; adottare varietà più performanti, o, meglio, più resilienti.
La “varietà” è certamente l’emblema dell’innovazione e gioca un ruolo cruciale in tutte le azioni sopra elencate, sia in termini di mitigazione che di adattamento.
Pertanto, gli obiettivi dei programmi di miglioramento genetico sono già cambiati negli ultimi anni. Resta prioritaria la necessità di produrre quantità, ma soprattutto servono produzioni stabili nel tempo e nello spazio. E se fino a qualche anno fa questo obiettivo era raggiunto con un importante intervento dell’agronomia anche a fronte di varietà non performanti, oggi il peso maggiore lo deve avere la varietà, che deve essere capace di adattarsi a situazioni ambientali non ottimali, essere più tollerante agli stress biotici (malattie e insetti) per ridurre l’intervento della chimica, avere maggiore efficienza di uso dei nutrienti (azoto in particolare) e dell’acqua, fornire un prodotto rispondente alle richieste della trasformazione.
Molti di questi obiettivi, che valgono in generale per tutte le specie coltivate, sono stati raggiunti dalla ricerca varietale tradizionale, ma oggi si chiede al miglioramento genetico di fornire varietà idonee in tempi più rapidi e per ottenere questo risultato il breeding deve fare un passo avanti.
Serve sicuramente una maggiore integrazione fra ricerca pubblica e privata, per fare economia delle limitate disponibilità finanziarie o evitare dispersione di risorse o inutili sovrapposizioni di interventi; serve disporre di nuove tecnologie (genetiche, informatiche, digitali); serve un’ampia base genetica per avere variabilità da sfruttare; serve la biodiversità da conservare, utilizzare e valorizzare; serve integrare al meglio la ricerca varietale con quella agronomica.
Pertanto, le strade giuste da percorrere sono individuate e, a breve, di nuove ne saranno disponibili,
ma il punto cruciale resta la capacità di “mettere a sistema” tutti questi percorsi per ottenere soluzioni praticamente percorribili in tempi accettabili.
di Oriana Porfiri
agronoma, esperta di miglioramento genetico










