Un po’ come i jeans a vita alta o bassa, la lunghezza di taglio del trinciato consigliata da esperti e università aumenta e si riduce periodicamente. A inizio millennio eravamo attorno al centimetro e mezzo, quindici anni dopo si era scesi alla metà di quel valore. Oggi la fatidica misura potrebbe tornare a salire, arrivando a sfiorare i tre centimetri. Il salto – evidentemente importante, dal momento che triplica lo standard attualmente in voga – è legato a una nuova tecnologia di provenienza americana e che sta muovendo i primi passi anche nel nostro paese. Si tratta dello Shredlage, termine per noi impronunciabile e che potremmo tradurre con sminuzzamento o triturazione. Shred, tuttavia, vuol dire anche grattugiare, se si riferisce ai vegetali, ed è forse questo il termine italiano più evocativo. Si tratta infatti di una nuova tecnologia, ideata e messa a punto da due nutrizionisti a stelle e strisce, che va molto vicina all’azione di una grattugia, per l’appunto. Al posto delle carote c’è, ovviamente, il mais e lo scopo non è quello di prepararsi un’insalata ma di aumentare la superficie di contatto tra il prodotto e i batteri ruminali, favorendo così digestione e assorbimento di energia.
Un nuovo rompigranella
Cominciamo dalle origini. Ross Dale e Roger Olsen sono due nutrizionisti americani. Dopo aver promosso per anni il taglio corto, a metà del decennio scorso cominciarono a ricredersi e divennero sostenitori del silomais a fibra lunga. Aggiungendo però un dettaglio fondamentale: il prodotto sfilacciato – “grattugiato”, appunto – era di ancor più facile assimilazione da parte degli animali. Nove anni fa i due nutrizionisti incominciarono a progettare un rompigranella che potesse raggiungere questo scopo e dopo qualche tentativo misero a punto quello che è oggi lo Shredlage.
Il quale consiste, fondamentalmente, in un rompigranella speciale, che invece dei classici denti a sega o dei dischi affiancati (stile Kernel Star di John Deere, per capirci) adotta denti smussati
elicoidali. I due rulli dei rompigranella, inoltre, sono controrotanti e questo fa sì che il prodotto, attraversando il dispositivo, subisca un effetto di sbucciamenti e sfilacciatura, oltre che di frantumazione. Il risultato, sostengono gli inventori dello Shredlage, è un trinciato con un’altissima percentuale di granella frantumata, tutolo sbriciolato e stocco sfibrato e sbucciato. Tutto ciò provoca un aumento della superficie di contatto tra i batteri ruminali e silomais, ma anche una maggior fermentazione in trincea. Maggior superficie di contatto significa, ovviamente, maggior assimilamento di nutrienti e dunque più energia assunta, oppure stessa quantità di energia ma con una razione inferiore e dunque con un risparmio sui costi di alimentazione.
Resta da stabilire, tuttavia, perché gli inventori dello Shredlage consiglino un taglio da 2,6 a 3 cm. Il motivo, facilmente intuibile, è legato alla struttura che un silomais a taglio lungo conferisce all’unifeed e all’effetto di stimolazione che ha sul rumine. Effetto per ottenere il quale, solitamente, si aggiungono fieno o paglia alla razione alimentare. Con il mais Shredlage, invece, questi ingredienti, indispensabili ma poveri di energia, possono essere drasticamente ridotti o anche eliminati del tutto, scelta che aggiunge un surplus di nutrimento all’alimentazione della vacca, favorendo ulteriormente la produzione di latte.
A macchia d’olio negli States
Di che incremento stiamo parlando, tuttavia? Uno studio dell’università del Wisconsin, citato da chi ha importato in Italia questa tecnica, parla di un miglioramento nella produzione di latte che può raggiungere i due litri per capo. Inoltre la mandria beneficerebbe dello Shredlage in termini di salute, grazie a una miglior ruminazione. Alcuni studi parlano di un incremento nell’attività ruminale dall’8 al 20%, con minori rischi di acidosi.
Il sistema si è diffuso inizialmente negli Stati Uniti, come ovvio. Qui, secondo alcune fonti, sarebbe stato adottato dal 60% delle grandi stalle dell’Ovest e dal 35% delle aziende lattiere della costa Est.
Il principio, brevettato dai due inventori, è stato tuttavia esportato anche all’estero. Nel nostro paese è arrivato grazie a Claas, che lo offre come allestimento optional per le sue trince Jaguar.
Prime esperienze in Italia
Uno dei primi a credere in questa tecnica a stelle e strisce e è stato Roberto Negroni, contoterzista bergamasco sempre molto attento alle novità in fatto di trinciatura. Dopo un primo e circoscritto test nel 2015, lo scorso anno Negroni ha attrezzato una macchina con il rompigranella Shredlage, offrendo il servizio ai suoi clienti. «Naturalmente, limitandomi agli allevatori, perché questa tecnica non è adatta a chi fa trinciato da biogas». Le cose, a suo dire, sono andate bene, anzi benissimo: «Al punto che quest’anno sto attrezzando una seconda macchina per stare dietro a tutte le domande che abbiamo». Due macchine su sei: non è male, per un sistema di trinciatura che rovescia quella che finora è stata l’ortodossia del taglio corto. «Vero, ma tutti i clienti a cui l’ho fatto provare, quest’anno vogliono aumentare i quantitativi. Ci sono allevatori che nel 2016 fecero una trincea, come test, e per il prossimo taglio ne vogliono due o anche tre».
Merito, secondo Negroni, dei risultati che si ottengono in stalla. «Diciamo che ci sono tre elementi che rendono lo Shredlage vantaggioso. Il primo, e a mio avviso più importante, è la percentuale di rottura della granella, che con questo corn cracker arriva al 95%; ovvero il 20% circa in più di un normale rompigranella. In secondo luogo, la fibra lunga permette di ridurre la percentuale di fieno o paglia senza compromettere l’efficienza ruminale. Infine, la sfibratura degli stocchi migliora l’assimilazione degli amidi, favorendo la produzione di latte».
Gli aspetti a cui fare attenzione, secondo Negroni, sono pochi, ma essenziali. «In primo luogo la lunghezza di taglio: attualmente consigliano 26 millimetri come valore ottimale. Inoltre non si deve dimenticare che con questa tecnologia è bene anticipare un po’ la raccolta, restando sul 28-30% di sostanza secca».
Stesso latte con meno costi
Questa è anche l’esperienza di Davide Vitali, allevatore di Truccazzano (Bg) con 400 vacche in lattazione, che dopo aver testato la trinciatura Shredlage su una cinquantina di ettari di mais, nel 2016, quest’anno ha deciso di raddoppiare la superficie, impiantare nuove trincee e arare prati stabili per far posto al mais. Il tutto con l’obiettivo di ridurre il costo della razione alimentare del 10% circa mantenendo – e se possibile aumentando – la produzione di latte. «Attualmente abbiamo una razione composta da circa 25 kg di silomais – anche qualcosa meno a dire il vero – e poi pastone e farina di mais, proteine, trebbie di birra e nucleo, più qualche chilo di fieno secco e paglia per la fibra lunga. A partire dalla prossima stagione, vorrei arrivare a 35 kg di silomais, eliminando completamente fieno e paglia e riducendo anche il pastone. Lo manterremo parzialmente – lo stesso vale per la farina – per differenziare l’amido, ma il grosso dell’energia sarà dato dal silomais in Shredlage».
In che modo, tuttavia, aumentare la quota di mais insilato dovrebbe ridurre i costi? «Sia per minori spese di coltivazione, sia per la riduzione della razione a parità di produzione. Fare fieno, nella nostra zona, richiede nove irrigazioni sui tre tagli e poi tutta la manodopera per taglio, essiccamento e pressatura. Il mais vuole al massimo tre irrigazioni e ovviamente fornisce molta più energia. Inoltre risparmieremo anche sul costo della paglia, che attualmente acquistiamo interamente nel Centro Italia». Tirate le somme, sostiene Vitali, è possibile arrivare a un risparmio anche del 15% sui costi di alimentazione attuali.
Una scelta così radicale – aratura di prati stabili, investimento per nuove trincee – dimostra che il test del primo anno è andato bene. «Non lo posso dire con assoluta certezza, dal momento che abbiamo fatto una sperimentazione di soli 40 giorni tra settembre e ottobre, tuttavia i presupposti sono buoni. Nel mese abbondante in cui abbiamo alimentato le vacche con 40 kg di silomais su 48 di razione totale, non abbiamo avuto problemi sanitari e abbiamo riscontrato anche un leggero incremento del latte. Tuttavia la prova ha coinciso con la fine del caldo estivo e dunque non assicuro che la maggior produzione sia stata causata dall’alimentazione piuttosto che dal miglior clima». Di una cosa, però, Vitali è certo: il mais tagliato lungo sostituisce egregiamente il fieno. «Lo si avverte anche semplicemente sfiorando l’unifeed: la fibra a 30 millimetri gratta la mano; pertanto è inevitabile che vi sia un effetto di stimolo sulle papille ruminali».
Il taglio lungo, però, non deve essere eccessivamente lungo, ci spiega l’allevatore. «Lo scorso anno abbiamo fatto una trincea a 30 mm e una a 25: quest’ultima è senz’altro la misura migliore. Ho notato, infatti, un ritardo nel raffreddamento della trincea più lunga. Inoltre, a causa del naturale errore della macchina, nella prima trincea vi erano pezzi di stocco lunghi anche 35 millimetri. Tagliando a 25 millimetri evitiamo il problema, perché avremo, al massimo, mais da 30 mm».
Misura che resta, comunque, importante. Non è eccessiva, per garantire un buon compattamento della trincea? «No, a condizione di raccogliere un prodotto un po’ più umido. Noi eravamo soliti trinciare attorno al 32% di sostanza secca, ma con lo Shredlage si deve scendere al 30 o anche al 29%. Si perde un mezzo punto di amido, ma vale comunque la pena, visti i risultati che ci aspettiamo».