Come è cambiato negli ultimi anni il mercato dei cereali?
Primo fatto, più che evidente, è il periodico ripetersi di annate ove la produzione mondiale non copre i consumi: alimentari, feed e bio-energetici; ma sfatiamo subito il “non problema” dell’utilizzo di cereali nella produzione di bio-energie, si usano sì prodotti agricoli, ma il residuo secco della trasformazione (i “distillati”) è un ottimo prodotto per la zootecnia: chiedere all’Asia che da anni è il principale importatore di questo prodotto comparabile a una sorta di farina di soia di seconda scelta.
La seconda è la crescente rilevanza dei paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina) che gradualmente stanno crescendo come produzione cerealicola e ancor più come consumi e (udite udite) come detentori di gran parte delle scorte di cereali di fine campagna.
La terza, ma non l’ultima in ordine di importanza, è la volatilità dei prezzi, dai prodotti per l’agricoltura fino alle materie prime agricole; volatilità che spesso è ingigantita in modo devastante o parzialmente compensata (a volte occultata) dalle fluttuazioni dei cambi monetari. In fig. 1 si vedono due esempi tipici di come il cambio €/$ abbia annullato (cerchio piccolo) o ingigantito (cerchio grande) un già fluttuante andamento dei prezzi del grano tenero sulla piazza di Chicago.
Questo scenario in continuo divenire e irto di insidie ha di recente sperimentato anche le onde anomale della crisi finanziaria mondiale che, accentuando le difformità economiche dei singoli paesi, ha messo a nudo le differenti velocità di crescita, innovazione e investimenti in agricoltura nelle principali (e più popolate) aree del pianeta.
Ma come sta cambiando il panorama produttivo e dei consumi? E chi sono i nuovi paesi e attori emergenti?
Attori emergenti
L’evoluzione della struttura produttiva mondiale mantiene quella connotazione che da decenni viene riportata in tutte le principali fonti statistiche, ma alcuni equilibri cominciano a scricchiolare. In contrapposizione agli storici “zoccoli duri” produttivi come le Americhe e l’Australia, si stanno facendo strada nuove realtà rilevanti sia come entità dei raccolti che come aggressività commerciale: i paesi Bric.
In fig. 2 notiamo solo come, fatto cento il dato produttivo della campagna 2009/10, i paesi esportatori tradizionali (Americhe, Australia ed anche l’Eu-28) hanno un trend altalenante, mentre la Cina è una corazzata in lento, ma costante avanzamento. Se osserviamo gli stessi attori dal punto di vista dei consumi (fig. 3) è ancor più evidente la doppia velocità tra paesi esportatori e ancora la Cina, presa ad esempio dei Bric (ma lo stesso si potrebbe dire per Russia, India e Brasile) ove gli utilizzi crescono indipendentemente dall’andamento dei raccolti.
Tuttavia non deve sfuggire il dato che dalla campagna 2011/12 la Cina ha perso la sua autosufficienza cerealicola (il riso è però fuori da questa statistica) e quindi il mondo di domani è già da un triennio sempre più “dipendente” da grano, orzo, mais e sorgo prodotto nei principali paesi esportatori. Tutto questo, fatto salvo alcuni fattori che in tempi brevi, ma si vocifera anche solo temporaneamente (fino al 2020?), potrebbero ritardare questa dipendenza. Continuando l’esempio della Cina, ci si riferisce all’ammodernamento agrotecnico e logistico interno per meglio sfruttare quell’enorme superficie agricola oggi ancora cattedrale nel deserto a causa di un sistema produttivo primordiale e una rete di trasporto spesso inesistente.
Domanda e offerta
Delineato a sommi capi l’attuale panorama della domanda e dell’offerta vediamo come si sono evoluti gli equilibri e gli attori che, generalizzando, dirigono gli scambi commerciali. In regime di grandi mutamenti geografici della domanda e soprattutto a fronte alla sua progressiva concentrazione (nuovi gruppi di acquisto si affiancano in nord Africa alle agenzie governative), le cosiddette trading companies hanno modificato più volte la loro strategia commerciale.
Oltre al sempre attuale dogma: logistic-logistic-logistic, necessario per muovere cereali per migliaia di chilometri con massima efficienza ed economicità, per vincere le battaglie per la fornitura degli ingenti volumi richiesti dal Maghreb (Algeria, Tunisia e Marocco) o garantirsi le vendite “corporate” ai principali gruppi agro-alimentari dislocati in più aree del pianeta, al nostro operatore internazionale abbisogna una sempre maggiore capacità di fuoco e pluralità di armi: deve saper coordinare e gestire come un “corpo unico” entità produttive e di raccolta cereali in molte, se non in tutte, le parti della Terra; deve garantire un maggior numero di parametri qualitativi e offrire condizioni contrattuali sempre più ad personam.
In presenza di imprevedibili andamenti climatici e di nuove politiche agrarie (es. Pac e disaccoppiamento), che posso stravolgere ogni anno la mappa produttiva mondiale, le trading companies si sono evolute passando dal “puro commercio” del prodotto fisico a società commerciali trans-nazionali capaci di produrre direttamente (o tramite reti di entità satelliti medio-piccole) i volumi e la qualità richiesta, gestendola in primis, dal seme ai prodotti agro-tecnici fino alla consulenza agronomica in campo. Così facendo si sono trasformate da imprese che movimentano commodities ad aziende capaci di garantire ogni singolo aspetto contrattuale, dalla qualità, allo stoccaggio e continuità di fornitura, fino alla dilazione di consegna e pagamento (oggi essenziale a fronte del difficile momento economico).
La fine dei garanti
Questo cambiamento ha portato in un quinquennio alla naturale fine dei “garanti” istituzionali (i “board” australiano e canadese) e alla messa in disparte o riconversione di molte società strettamente commerciali, ossia “senza terra”. Analizziamo con un paio di esempi questi ultimi cambiamenti. La fine del Cwb (Canadian wheat board) ha fatto nascere o riportato alla luce del sole un gran numero di entità produttive e commerciali da sempre radicate nel territorio ma che fino all’agosto 2012 erano limitate al compito di esecutrici dei contratti del Cwb. La preparazione al “post Cwb” è cominciata in Canada nei primi anni 2000 con acquisizioni e fusioni societarie “mirate” a creare imprese in grado, per dimensione e struttura, di offrire quanto è oggi richiesto a una trading company del terzo millennio; ulteriore peculiarità in queste acquisizioni è stata la ricerca della “specializzazione” per macro classi di prodotto: grano e orzo, colza e mais..., il tutto nell’ottica di ottemperare alle leggi internazionali del’antitrust, ma con evidente volontà di mantenere per ogni ramo d’azienda del fu Board una sorta di “leadership” di un limitato numero di aziende commerciali.
Se fin qui tutto sembra abbastanza logico o al limite dello scontato, a mettere a soqquadro un equilibrio governato da sempre meno entità e operatori si inseriscono due variabili: informazione e speculazione, che sempre più assomigliano alle due teste di un Giano bifronte pronto a mutare atteggiamento a seconda della convenienza.
Informazione
Oggi l’informazione viaggia sempre più via cavo (internet) ed è ampia, autonoma e fulminea nel raggiungerci ovunque; chi di noi non si è perso tra innumerevoli fonti, decine di blog e centinaia di “allerte” recapitateci anche sulla posta Pec alla pari di documenti a valore legale? L’informazione via rete è quella che il 9 agosto 2010 ha avvalorato, con abbondanza di filmati e interviste ad hoc le sventure colturali in Russia, innescando la bolla speculativa cha ha sancito l’inizio dell’ultima crisi cerealicola; la stessa informazione, non più tardi dell’aprile 2011 ripeteva (citando fonti “di parte”) che la carenza di grano e mais nei canali commerciali sarebbe durata almeno fino a settembre... ma poche settimane dopo gli stessi soggetti annunciavano un inaspettato cambiamento d’opinione (delle stesse fonti “di parte”) con riapertura dell’export dal Mar Nero che addirittura avrebbe immesso sul mercato parte delle scorte governative; ma non ci avevano detto che assolutamente non si sarebbe venduto nulla fino al completamento della raccolta in Russia ed Ucraina?
E speculazione
Comunque la speculazione, vista come una, se non “la” prima causa di volatilità delle quotazioni, è anche la garanzia di liquidità in molti mercati a termine oltre che assicurazione di una vitale molteplicità di operatori (aggiungendo entità dai settori finanziari, del welfare e delle commodity non agricole).
Il vero problema non è la speculazione in sé, ma il rischio di accaparramenti da parte di singoli operatori che innescano “bolle” non giustificate da alcunché di tangibile; a questo fine si intendano le recenti decisioni dell’organismo di vigilanza del Cbot di incrementare gli strumenti per una maggiore trasparenza nelle transazioni e di delimitare per singolo operatore il numero massimo di posizioni (contratti Future o equivalenti).
Sottolineiamo l’importanza di questi ultime azioni finalizzate a dare chiare regole ai mercati a termine che sempre più saranno l’interlocutore, a volte terzo incomodo, di produttori e utilizzatori di oggi e, soprattutto, di domani.
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