Liguria, Corsiglia: «Situazione drammatica per il florovivaismo»

florovivaismo
Ristori insufficienti e fatturato praticamente azzerato, anche verso l'estero, a cui è destinata una gran parte della produzione ligure. Un aiuto è arrivato dal credito concesso dalle banche, ma non può durare per sempre

«Una situazione drammatica. Il nostro settore è in ginocchio». Così il vivaista e vicepresidente di Coldiretti Genova Paolo Corsiglia descrive la situazione del settore florovivaistico dopo 13 mesi di pandemia. «Cerchiamo di dare un senso al nostro lavoro seguendo il ritmo delle stagioni ma la mancanza di fatturato, anche verso l'estero, si fa sentire in modo pesante e i ristori non bastano». Membro di Giunta della Camera di Commercio di Genova, Corsiglia è titolare e gestore della Floricoltura vivai Corsiglia che si trova nell’entroterra ligure del Levante genovese, precisamente a Pezzonasca di Moconesi.

Quali sono le maggiori difficoltà legate alla pandemia da Covid-19 riscontrate nell'ultimo anno?

«La mia azienda, che è stata fondata grazie al sacrificio e alla dedizione lavorativa dei miei genitori nel 1960, durante tutti questi anni di gestione fino ad oggi non ha mai riscontrato e vissuto un periodo così complesso e difficile come quello attuale che purtroppo stiamo ancora vivendo. Mi riferisco in particolare alla difficoltà, se non impossibilità, di poter programmare e pianificare una gestione legata al ciclo biologico di cui necessitano le piante che, come tutti gli esseri viventi, seguono un periodo di incubazione, crescita e sviluppo della pianta stessa».

«Purtroppo, il tempo di cui la pianta ha bisogno per progredire verso il pieno sviluppo e poter così diventare un prodotto finale e finito da vendere, ha coinciso con i periodi di chiusura totale sia regionale sia nazionale. A causa di questo lockdown siamo così stati costretti, a malincuore, a gettare i prodotti floricoli dato che il mercato era fermo e ha dato origine a un blocco totale delle vendite. Bisogna inoltre considerare che le piante ornamentali e i fiori costituiscono beni non primari di cui le persone possono fare a meno, perciò in questi tempi di crisi economica e sociale la gente acquista prodotti di prima necessità come può essere il cibo e sicuramente non le piante».

«Quindi il lockdown ha creato una ulteriore perdita economica di cui purtroppo risentiamo ancora adesso il peso finanziario e economico che ha toccato diversi livelli all’interno della sfera sociale. Anche se nelle zone gialle e arancioni i grossisti, i vivai e i piccoli negozi durante la settimana e nei prefestivi non sono stati chiusi, di fatto, è come se lo fossero stati perché gli operatori del nostro settore lavorano in particolare nelle festività e nelle ricorrenze. Le nostre attività dall’inizio della pandemia hanno subito e subiscono cali di fatturato devastanti».

Come sta resistendo o reagendo a questa drammatica situazione?

«Questa pandemia ci ha trovati completamente impreparati a livello sanitario e lavorativo, perciò stiamo cercando di proseguire la nostra produzione nel tempo come abbiamo sempre fatto in passato prima del virus. Considerata l’estrema aleatorietà che caratterizza il periodo, continuiamo a lavorare mantenendo costante almeno la nostra scansione temporale a livello stagionale anche se ormai ogni tipo di programmazione spazio-temporale è saltata. Per assurdo, nonostante lo stravolgimento totale di ogni pianificazione e strategia logistico-produttiva, nel nostro settore sto portando avanti una suddivisione legata alle stagioni che, fortunatamente, sono sempre rimaste uguali. In tal modo, per fronteggiare la crisi, ci colleghiamo alla circolarità del tempo e della natura nella speranza che si possa presto trovare un modo per contrastare definitivamente la diffusione e la propagazione del virus».

I ristori sono stati sufficienti?

«Purtroppo i ristori non sono stati assolutamente sufficienti rispetto all’obiettivo che il Governo si era posto, ossia quello di far rientrare e ristorare la produzione portandola allo standard di lavorazione e di guadagno del periodo pre Covid-19. A livello statale la nostra categoria era stata tranquillizzata nella speranza di poter beneficiare di contributi in grado di bilanciare e contrastare l’attuale situazione emergenziale, ma così non è stato. Tutte le associazioni nazionali di categoria stanno chiedendo interventi che vanno dal rinvio delle rate dei mutui e delle quote previdenziali, alla cassa integrazione per i dipendenti e all'integrazione del reddito per un settore che non gode nemmeno della Pac o di Ocm specifici per la gestione della crisi».

Ha chiesto prestiti a banche e, in caso affermativo, ha incontrato difficoltà a ottenerli?

«Sì, considerato questo drammatico momento, sono stato costretto a chiedere credito alle banche e, fortunatamente, non ho riscontrato difficoltà nell’ottenere dei finanziamenti. Come categoria legata al settore dell’agricoltura auspichiamo che il Governo segua maggiormente e in modo scrupoloso la questione che riguarda il credito bancario in quanto il comparto agricolo e florivivaistico, insieme a quello vitivinicolo, è stato uno fra i più colpiti dalla crisi con enormi perdite di fatturato».

«Ci sono anche grossi problemi che concernono l’esportazione dei prodotti dato che i mercati in Liguria risentono delle difficoltà logistiche e commerciali del nord Europa. Infatti in Liguria una media del 70-80% della produzione è destinata all’estero e, con i lockdown negli altri Paesi, le nostre aziende hanno sofferto moltissimo: si sono quasi fermate le esportazioni verso la Francia, che con il 30% rappresenta la fetta principale del nostro export. Così tutte le nostre imprese hanno fatto ricorso al credito e purtroppo non potranno farlo ancora molte volte, perciò è a rischio la loro stessa esistenza».

«Il nocciolo del problema è che il prodotto agricolo, per sua natura, deve essere programmato di anno in anno per essere venduto e, allo stato attuale dei fatti, è difficilissimo poter pianificare sia i numeri di produzione sia le quantità dei prodotti finali stessi. Viviamo un momento incerto, critico e soprattutto nuovo, dove la necessità di confronto, proposte e dialogo è e sarà fondamentale per affrontare una situazione nuova a cui nessuno era preparato».

Per cercare di vedere anche gli aspetti positivi di questo periodo, un sondaggio della Coldiretti, di cui lei è vicepresidente a livello locale, rileva che a causa del Covid-19 è fuga verso le campagne.

«Sì, questa rilevazione ha stimato che appena lo 0,3% dei contagi colpisce le campagne dove in molti sognano di trasferirsi per sfuggire ai pericolosi assembramenti delle grandi città senza limitare la possibilità di movimento, grazie ai grandi spazi disponibili. Il lavoro in campagna risulta essere più sicuro perché garantisce il rispetto delle distanze che nelle aree rurali si misurano in ettari e non in metri, ma ad essere meno pericolosa è anche la vita nei borghi rispetto alle metropoli segnate da una forte densità di popolazione».

«Il risultato è che si è verificato un aumento del 29% delle ricerche di case in campagna, nei borghi e nei piccoli comuni per la voglia di maggior sicurezza e ma anche di una migliore qualità della vita, rispetto al periodo pre-Covid. Una situazione di maggiore tranquillità riconosciuta dai Dpcm che consente a chi vive in città la possibilità di muoversi per lo svolgimento di attività lavorativa su superfici agricole adibite alle produzioni per autoconsumo».

Liguria, Corsiglia: «Situazione drammatica per il florovivaismo» - Ultima modifica: 2021-04-07T09:52:41+02:00 da Simone Martarello

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