Unire gli opposti, mescolare alto e basso, fondere la tradizione delle varietà locali con le più recenti acquisizioni delle scienze agronomiche e delle applicazioni digitali.
La contaminazione tra tradizione e innovazione è il vero segreto del successo del made in Italy agroalimentare. Lo dimostra con il suo lavoro Paolo Mucci, giovane direttore agronomico dell’Azienda Agricola Mancini di Monte San Pietrangeli (FM), nell’entroterra marchigiano.
Pasta in mezzo ai campi
Mancini è una realtà frutto di una tradizione famigliare che coltiva grano duro e lo trasforma direttamente, ovvero, come recita il claim aziendale, che “produce pasta in mezzo a un campo di grano”.
Con un’attenzione ai dettagli che parte dalla selezione del seme, passa dall’applicazione delle buone pratiche agricole per arrivare a una fase di molitura e pastificazione che tende a valorizzare l’impronta del territorio e dell’annata. Dal 2016 Mucci, appassionato di cereali e di agricoltura sostenibile, si è inserito in questa realtà portando le proprie competenze sviluppate nel corso di laurea magistrale in Sviluppo Rurale e Sostenibile dell’Università di Perugia, guidando una progressiva trasformazione digitale sui 650 ettari di questa realtà.
«Coltiviamo – spiega Mucci- sia grani antichi che moderni per una filiera corta che sostiene le tre linee del pastificio aziendale: Classica, Integrale e la peculiarità dei Turanici, una riscoperta che può offrire nuove chance di valorizzazione per la cerealicoltura delle aree interne appenniniche».
Rotazioni e cover crop
Il primo obiettivo a cui si è applicato il giovane agronomo è quello della sostenibilità. «Uno dei problemi maggiori – dice - dei terreni interni dell’Italia Centrale, acuito dagli effetti indesiderati del climate change, è il progressivo abbassamento del tenore di sostanza organica, ben sotto quell’1% che è il valore che l’Onu identifica come soglia di desertificazione».
Un problema che ha indotto Mucci a spingere sull’applicazione di tecniche di agricoltura conservativa e a studiare articolate rotazioni quinquennali che prevedono l’alternanza di grano duro, leguminose (veccia, pisello proteico, favino nero) e poi girasole, con l’applicazione invernale di cover crop costituite da miscele di crucifere e leguminose per proteggere il suolo dall’erosione.
Mappe di prescrizione ad hoc
Sulle varietà moderne l’azienda applica i disciplinari di produzione integrata avanzata. In questo ambito Mucci, coadiuvato dalle indicazioni di un collaudato Dss (sistema di supporto alle decisioni) cura ogni anno l’elaborazione delle mappe di prescrizione per l’applicazione, con attrezzature a rateo variabile, degli input produttivi e dell’acqua nei tempi e nei modi che consentono di raggiungere il miglior equilibrio tra il risultato produttivo e l’obiettivo della sostenibilità.
Un equilibrio che si basa sulla conoscenza. «Puntiamo – spiega- ad abbassare la carbon e la water footprint del nostro sistema colturale dosando, con sistemi di agricoltura di precisione, l’intensità delle tecniche agronomiche in base allo studio della risposta delle diverse varietà di grano rispetto a densità di semina, sensibilità alle malattie fungine, reazione alla concimazione azotata, indice di accestimento, rischio di allettamento, comportamento fenologico, fertilità della spiga, ecc».
Valorizzare la conoscenza
Un’attenzione che consente di raggiungere obiettivi decisivi come la stabilizzazione delle rese, il miglioramento degli aspetti qualitativi, la valorizzazione dei materiali genetici a disposizione, l’ottimizzazione dei fattori di produzione, la riduzione complessiva dell’impatto ambientale.
Il secondo obiettivo che guida l’attività professionale di Mucci è la valorizzazione della tipicità. Con I Turanici Mucci porta avanti infatti un progetto avviato da Oriana Porfiri, agronoma marchigiana da sempre impegnata nella valorizzazione dei cereali “antichi”. Un progetto che unisce dal 2006 l’azienda fermana Mancini e l’azienda Prometeo di Urbino, partito dalla valutazione di diverse linee di grano turanico, da cui sono emerse in particolare la n. 17 e la n. 38, strutturando una vera e propria filiera produttiva, che parte dal seme fino alla prima trasformazione.
Risorse genetiche da proteggere
«In particolare – spiega Mucci – presso l’azienda Mancini produciamo il seme che poi Prometeo coltiva con metodo biologico su circa 40 ettari. La semolantorna poi nel nostro pastificio aziendale e viene trasformata in un processo messo a punto per valorizzarne le peculiarità».
Si tratta di una sottospecie appartenente allo stesso gruppo del grano duro. Il nome scientifico è Triticum turgidum subsp. turanicum, o più comunemente T. turanicum. La specie è originaria della regione del Khorasan (Nord-Est dell’Iran). Sue popolazioni sono presenti nel Bacino del Mediterraneo e anche in Italia.
Dove viene conosciuta con diversi nomi locali: Perciasacchi in Sicilia, grano Etrusco in Toscana, ecc. Solo nelle Marche è stata intrapresa un’iniziativa di selezione, un approccio scientifico che sta portando all’iscrizione delle linee più promettenti (un’attività che dovrebbe mettere al riparo questa risorsa genetica locale da possibili “usurpazioni”).
I Turanici: scienza e tradizione
«Si tratta di una specie rustica – commenta Mucci- con basse esigenze nutrizionali che può consentire di valorizzare le aree considerata marginali». «Per ora presso Mancini coltiviamo 4 ettari da seme. I Turanici sono caratterizzati da spiga grande, spesso con lunghe ariste nere, chicco grosso e allungato, pianta robusta di taglia elevata, ottima capacità di accestimento. Per queste ultime caratteristiche le varietà di grano turanico sono particolarmente indicate per le coltivazioni biologiche».
Dagli studi condotti a livello qualitativo è emerso un aspetto molto interessante circa le peculiarità del glutine, che risulta poco tenace, “soft”, quindi facilmente digeribile, anche da parte di soggetti con disturbi alimentari.
Mancini la valorizza con la macinatura a pietra (operata direttamente da Prometeo) e la lenta essiccazione ottenendo un prodotto che si distingue per l’elevata digeribilità e l’unicità a livello organolettico. Frutto del matrimonio fecondo tra scienza e tradizione.