La concia serve e l’utilità per la coltura del mais va al di là della sua funzione di difesa fitosanitaria. Il rischio di esposizione delle api ai residui dei concianti si può mitigare con misure ed accorgimenti tecnici che, dove applicati (come in Francia per due anni), hanno dato ottimi risultati. Sono alcune delle risposte emerse dal convegno organizzato da Terra e Vita “Api e mais, una convivenza possibile”, lo scorso 6 luglio a Roma. Un evento che sta diventando un appuntamento fisso, dopo il precedente convegno di febbraio (ne abbiamo dato ampio resoconto nel numero 8 della rivista). Sul tavolo sono infatti rimasti importanti nodi da sciogliere: a due anni dal primo decreto di sospensione dei concianti neonicotinoidi, qual è lo stato di salute delle api e che impatto si è registrato sulla coltura del mais?
Ma soprattutto, ha ancora senso prorogare questa sospensione anche per il 2011 (la decisione sarà presa il prossimo settembre), o conviene seguire l’esempio di Francia, Austria, Belgio, Olanda, Slovenia e Svizzera, dove al blocco dei concianti si preferisce l’applicazione di limiti di polverosità della semente e modifiche tecniche alla seminatrici?
Riguardo allo stato di salute delle api, in mancanza dell’aggiornamento dei dati italiani (i rappresentanti della rete ministeriale di ricerca “Apenet”, seppur invitati, non hanno potuto partecipare al convegno di Terra e Vita), qualche indicazione può essere tratta da quelli francesi. Parallelamente all’autorizzazione di thiametoxam per la concia del mais, il ministero dell’agricoltura di questo paese ha infatti attivato una rete di monitoraggio, disponendo un numero crescente di apiari in prossimità dei campi seminati con mais conciato. Si è così passati da un caso di Ccd (colony collapse disorder - sindrome della moria delle api) su 154mila ettari seminati a mais conciato nel 2008, non attribuibile alla concia e uno stato di salute generale delle api preoccupante, con casi di nosemiosi, varroasi e virus (Cbpv, Abpv, Iapv) nelle colonie distribuite; ai tre casi del 2009 su circa 500mila ettari conciati (ma uno stato di salute delle api nettamente migliorato); fino al nessun caso di quest’anno, su 600mila ettari conciati. Dei tre casi del 2009, solo uno era attribuile ad errori nella gestione della concia (semine coincidenti con fioritudell’utilizre di un campo contiguo di colza, campo di mais dislocato tra la colza e gli alveari). Un caso che ha permesso di raffinare ulteriormente le linee obbligatorie di gestione di questa tecnica agronomica. In Italia ci auguriamo un andamento analogo, con una tendenza al miglioramento dello stato di salute delle api. Ma, purtroppo, registriamo un parallelo peggioramento delle condizioni del mais. «In Italia c’è qualcosa che sta frenando questa coltura - ha denunciato Amedeo Reyneri dell’Università di Torino -. Negli ultimi 8-10 anni abbiamo perso 15-18 q/ha di granella, pari al 15-20% della produzione, rispetto ai principali competitor». Tra i motivi recenti di questo gap, può esserci la sospensione della concia?
Nella sua relazione Reyneri ha mostrato come la concia insetticida giochi un ruolo importante nell’intero sistema colturale maidicolo. La mancata protezione del seme vincola infatti fortemente la rotazione, fino ad imporre l’avvicendamento colturale, la scelta della classe dell’ibrido e l’epoca di semina. Diventa infatti più difficile optare per la semina precoce, per non subire danni da elateridi. Fattore questo che espone maggiormente la coltura agli attacchi radicali delle larve di diabrotica (sempre più gravi sulle semine tardive, come insegna l’emergenza del 2009). La riduzione delle radici comporta poi per la coltura stress nutrizionali, lima le rese e aumenta la percentuale di attacchi di funghi tossigeni come fusarium e aspergillus, peggiorando la qualità tecnologica della granella e aumentando le contaminazioni da Don.
L’effetto protezione della concia nei confronti della diabrotica è un elemento discusso. Tra i capitoli di ricerca aperti quest’anno dalla Rete di monitoraggio Apenet c’è anche l’utilità, in senso generale, della concia insetticida del mais (una pratica attuata in campo ormai da più di un decennio). In attesa dei dati ministeriali, secondo le prove effettuate da Reyneri in campi di mais fortemente infestati da questo coleottero, la concia consentirebbe di ridurre il danno radicale procurato dalla diabrotica sotto la soglia economica dell’1,5% (si veda figura).
In questo modo il seme conciato sarebbe in grado di ridurre di circa il 10% il danno produttivo medio. «Occorre poi ricordare il forte incremento tra le annate 2008-2009 del ricorso ai geodisinfestanti e ai trattamenti aerei nelle aree a forte pressione di piralide o diabrotica». Reyneri ha quindi concluso predicendo tre possibili scenari per il mais: uno status quo in cui il cereale continuerà a perdere peso e superfici nel panorama colturale italiano; una ripresa dell’utilizzo dei concianti neonicotinoidi con opportuni accorgimenti; lo sviluppo di una maiscoltura avanzata, in cui il nostro Paese applichi il massimo della ricerca e della tecnologia per tornare ad essere primo nelle rese e nell’impegno a ridurre il rischio micotossine.
E il passaggio da uno scenario all’altro può essere favorito dall’adozione di un semplice kit anti-deriva. La ricerca illustrata da Paolo Balsari dell’Università di Torino può essere infatti interpretata come la prima verifica della sostenibilità ambientale delle seminatrici pneumatiche. L’indagine ha riguardato i tre modelli più diffusi (Gaspardo, Monosem, Ma/Ag), che complessivamente rappresentano più del 60% del parco macchine in circolazione in Italia. «Nessuno si era mai occupato di parametri come la corretta potenza del ventilatore, o come la tenuta del carter di contenimento del disco seminatore. Le prove hanno dimostrato come si possa ridurre la depressione nell’elemento di semina da 60 a 42 millibar senza condizionarne la precisione, ma diminuendo la dispersione di polveri dalla ventola dal 19 al 27%». Dispersione che si riduce ai minimi termini con l’applicazione di un dual pipe deflector, ovvero un convogliatore che indirizza l’aria in uscita dalla ventola verso il terreno o il solco di semina.
In questo modo, nelle prove compiute a Torino, si è ridotta notevolemnte l’impronta della seminatrice (ovvero la superficie oggetto di possibile deposito di materiale disperso), che in tutti i casi è rientrata nella sagoma del modello a 4 file (con riduzioni che arrivano al 95%); ma anche l’entità dell’inerte soggetto a deriva. I rilievi eseguiti in ambiente confinato, mostrano in questo caso una riduzione che va dal 72% della Gaspardo (già progettata in modo da indirizzare il flusso d’aria verso il basso), fino all’88% della Monosem.
Risultati opposti a quanto emerso nel primo anno di prove di Apenet su un diverso modello di seminatrice (qui in alcuni casi l’applicazione del kit anti-deriva aveva invece aumentato il deposito di polvere di conciante a lunga distanza), ma che sono perfettamente in linea con i monitoraggi effettuati in Francia.
«Le prove dimostrano che sono già disponibili e facilmente applicabili soluzioni costruttive per la mitigazione della dispersione delle polveri di concia: il kit anti-deriva può essere applicato in 45 minuti su ognuna delle 20mila seminatrici pneumatiche in circolazione, con un costo contenuto sotto i 200 euro. Il passaggio successivo potrebbe essere quello di prevedere una classificazione ambientale Enama anche per queste macchine, così come la Dir 127/09 lo prevede per le irroratrici».