Le eccezionali condizioni climatiche della scorsa estate hanno avuto conseguenze severe sulla qualità dei raccolti di mais in molti importanti areali di coltivazione. Il problema della contaminazione da aflatossine è noto, così come è ampia la sua diffusione tanto da far emergere da più parti richieste di revisione – o di deroga – dei limiti di legge attualmente in vigore per le destinazioni alimentari e zootecniche.
Giudicando difficilmente perseguibili l’adozione di deroghe temporanee ai limiti massimi vigenti, il ministero della Salute, di intesa con il ministero delle Politiche agricole, ha elaborato e diffuso (nota 16 gennaio 2013) delle “procedure operative straordinarie per la prevenzione e la gestione del rischio contaminazione da aflatossine nella filiera lattiero casearia e nella produzione del mais destinato all’alimentazione umana e animale, a seguito di condizioni climatiche estreme”. Tali procedure sono rivolte agli operatori economici e alle autorità di controllo.
Le procedure dovrebbero, nelle intenzioni, “permettere di ridurre i livelli di aflatossine nel mais mediante tecniche di pulizia o altro trattamento fisico”.
La nota, come si evince, fornisce indicazioni a tutta la filiera, partendo dagli stabilimenti fino alla produzione e lavorazione del latte (questi ultimi aspetti non oggetto della presente trattazione) ma non fa alcun riferimento alle attività di produzione primaria.
Normativa: limiti
I limiti di legge sul tenore massimo di aflatossine nel mais ad uso alimentare sono definiti dal Regolamento (Ce) n. 1881/2006 del 19 dicembre 2006 che prevede (v. tab. 1).
Il regolamento in parola, fissando un doppio limite, riconosce la possibilità – e l’utilità – del ricorso a tecniche di decontaminazione (cernita o altro trattamento fisico).
I limiti di legge sul tenore massimo di aflatossine nel mais ad uso zootecnico sono definiti dal Regolamento (Ue) n. 574/2011 del 16 giugno 2011 (che modifica l’All. 1 della Direttiva 2002/32/Ce relativa alle sostanze indesiderabili nell’alimentazione degli animali, sua volta recepita dal Dlgs 149/04 Decreto legislativo 10 maggio 2004, n. 149) che prevede per “Tutte le materie prime per mangimi” un “Contenuto massimo in mg/Kg (ppm) “ di Aflatossina B1 di 0,02 mg/kg (ppm) pari a 20 ppb.
Tale normativa comunitaria contempla la possibilità, per la riconduzione ai limiti, di ricorrere alla pulizia o altro trattamento fisico nonché alla detossificazione dei prodotti destinati all’alimentazione animale (ma il trattamento con ammoniaca non sembra applicabile alla generalità delle nostre realtà potendo, fra l’altro, essere effettuato solo da stabilimenti riconosciuti dall’autorità competente).
La normativa, in tutti i casi, vieta la miscelazione (diluizione) di partite non conformi con quelle conformi.
La nota del Ministero è sostanzialmente suddivisa in Procedure e Indicazioni Operative (per ridurre e prevenire la contaminazione da aflatossine dalla raccolta alla commercializzazione).
Le Procedure si applicano a tutte le aziende (impianti) che raccolgono, stoccano, essiccano il mais destinato all’alimentazione umana ed animale.
Questi impianti devono predisporre specifiche procedure, corredate da evidenze– registrazioni che definiscano:
– i metodi di campionamento,
– i metodi di analisi,
– i metodi di smaltimento,
– i criteri di identificazione dei lotti.
L’adozione di queste misure consente all’operatore (stoccatore) di gestire in maniera conforme il rischio della contaminazione da aflatossine nel mais.
Proviamo ora a fornire qualche suggerimento sulla formulazione e sull’implementazione di queste procedure.
I metodi di campionamento
Un centro di stoccaggio deve disporre di almeno una procedura di campionamento per poter definire le caratteristiche del prodotto che riceve e immette nel proprio processo produttivo. È infatti attraverso l’analisi del campione che emerge il tenore di aflatossina presente nel lotto definito.
Il campionamento riveste quindi un’importanza decisiva sulle future sorti delle varie partite anche tenuto conto delle peculiari caratteristiche del contaminante distribuito in modo molto disomogeneo (a macchia di leopardo).
La procedura deve necessariamente fare riferimento ai due Regolamenti 401/2006 (mais uso umano) e 152/2009 (mais uso zootecnico) in materia di campionamento ufficiale.
Nella pratica l’applicazione puntuale delle prescrizioni regolamentari appare molto problematica.
Quello che deve essere garantito è un criterio di rappresentatività. Ovvero che il campione rappresenti effettivamente la partita.
È necessario definire le modalità e applicarle alle diverse fasi:
– campionamento del mais al momento del ricevimento (dal mezzo sulla pesa per intenderci);
– campionamento al momento dell’uscita degli essiccatoi;
– campionamento durante lo stoccaggio (in magazzino, in silos, in cella – statico/dinamico);
– campionamento del prodotto consegnato (contradditorio con il cliente).
È importante tenere sempre presente che i cereali in granella non sono un materiale omogeneo. Pochi chili di campione decideranno il destino di partite anche di parecchie migliaia di tonnellate.
È necessario poi definire infine una modalità di conservazione dei campioni.
I metodi di analisi
Con l’accresciuta sensibilità degli operatori alla problematica aflatossine si è sviluppata parallelamente la richiesta di strumenti d’analisi.
Ogni metodo alternativo ha proprie caratteristiche (facilità, rapidità, precisione, ripetibilità) che lo rendono più o meno preferibile nelle diverse situazioni.
I metodi di riferimento (generalmente in HPLC) difficilmente possono essere applicabili direttamente “sul campo”. Esistono quindi numerosi metodi/test “rapidi” di screening sia diretti (immunoenzimatici) che indiretti (fluorescenza). La scelta del metodo da utilizzare, per le peculiarità operative e di praticità, spetta esclusivamente all’operatore.
I metodi di smaltimento
I prodotti di risulta del processo di decontaminazione (e per questo ad elevato contenuto di contaminante) devono essere smaltiti in modo sicuro e non possono (devono) entrare nella catena alimentare.
Il prodotto da sottoporre a pulitura deve poi essere chiaramente segregato e contraddistinto in modo da non poter essere confuso con quello pronto per la commercializzazione (Dispositivi di protezione individuale devono essere previsti anche per gli operatori addetti gli impianti di pulitura).
L’efficacia dei trattamenti di riduzione del contaminante dev’essere effettuato mediante le opportune analisi. Dall’esito di queste ultime l’operatore deciderà il destino commerciale del prodotto (destinazione umana / zootecnica / altri usi). Ogni lotto dev’essere identificato e tracciato e la documentazione tenuta disponibile per il controllo delle Autorità competenti.
Nel proprio piano di autocontrollo, l’operatore dovrà poi prevedere specifiche procedure che assicurino la distruzione delle partite risultanti comunque fuori norma (ai sensi di quanto previsto dall’art. 20 del reg. CE n. 178/2002).
Alternativamente la nota prevede che, in accordo con le autorità competenti, potrà essere possibile destinare partite di mais non conforme ad usi alternativi (ad esempio biogas, bioplastiche, ecc).
Gli scarti dei processi di detossificazione devono comunque essere sempre distrutti. Ogni azione deve essere registrata e deve essere assicurata l’evidenza dell’operato.
I criteri di identificazione dei Lotti
L’identificazione dei Lotti è propedeutica ad ogni azione successiva.
Il campione deve riferirsi a un lotto definito. Il risultato d’analisi determinerà la conformità o meno di un lotto.
La separazione dei lotti consentirà l’immissione in commercio dei lotti conformi e lo smaltimento dei lotti non conformi.
I lotti (partita) possono essere definiti come: quantitativo identificabile di prodotto alimentare, consegnato in una sola volta, per il quale è accertata dall’addetto al controllo ufficiale la presenza di caratteristiche comuni quali l’origine, la varietà, … (Regolamento Ce n. 401/2006 del 23 febbraio 2006 relativo ai metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale dei tenori di micotossine nei prodotti alimentari). Partita da campionare: quantità di prodotto costituente un’unità e avente caratteristiche presunte uniformi. (Regolamento Ce n. 152/2009 del 27 gennaio 2009 che fissa i metodi di campionamento e d’analisi per i controlli ufficiali degli alimenti per gli animali).
Alle Autorità di Controllo spetta ovviamente il compito di verificare la validità, la conformità e l’applicazione di tutte le procedure adottate.
Come evidenziato, la Nota ministeriale si applica dalla raccolta “in poi”.
Si potrebbe auspicare l’emanazione di linee guida per la valutazione del rischio e la gestione anche per la prima parte della filiera maidicola: la produzione primaria.
Con l’adozione di queste pratiche (d’altronde raccomandate anche dal Codex nel capitolo Recommended practices, Crop production ) si potrebbero senz’altro semplificare parte delle azioni preventive che i Centri di stoccaggio devono adottare.
Occorre ricordarsi che in ogni caso, anche contro le convenienze: “Prevenire è meglio che curare”.
Allegati
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