L’orobanche (Pheliphanche ramosa, ex Orobanche ramosa) comincia a non essere più il pericoloso parassita davanti alla cui rapida diffusione gli agricoltori foggiani si sono trovati negli ultimi anni inermi, senza armi di qualsiasi tipo per affrontarla vittoriosamente. Di fronte al dilagare dell’infestazione, in particolare nei campi coltivati a pomodoro da industria, la ricerca sta provando a individuare soluzioni sostenibili sotto i profili economico e ambientale. Proprio per studiare la possibilità di riduzione progressiva e costante dell’infestazione di P. ramosa sul pomodoro in Capitanata, un gruppo di lavoro afferente al Dipartimento di scienze agrarie, degli alimenti e dell’ambiente (Safe) dell’Università di Foggia, coordinato da Emanuele Tarantino, ordinario di Coltivazioni erbacee, ha intrapreso, da qualche anno, diverse attività di ricerca previste nel progetto Oropomveg (“Studio e sperimentazione di mezzi di lotta nel contenimento di Orobanche ramosa quale fanerogama parassita emergente del pomodoro da industria in Capitanata”), approvato dalla Regione Puglia, e volte a individuare strategie sostenibili di lotta in alternativa all’uso di prodotti chimici e a ridurre progressivamente nel terreno la banca semi del parassita a una soglia minima.
«Negli ultimi dieci anni, nelle aeree orticole della Capitanata, si sta verificando un incessante e preoccupante incremento di infestazioni di orobanche – introduce Tarantino –. Inizialmente le infestazioni hanno interessato colture appartenenti alle famiglie delle Solanacee (tabacco, pomodoro, melanzana, peperone) e Brassicacee (cavolo broccolo e cavolfiore), successivamente altre appartenenti alle Composite (camomilla, insalata) e Ombrellifere (finocchio, sedano). Durante il 2014 la presenza di P. ramosa è stata osservata anche su specie botaniche spontanee quali Cirsium arvense».
Crollo delle rese
I danni economici prodotti da questa pianta parassita alle colture orticole foggiane hanno assunto attualmente livelli molto preoccupanti.
«In particolare da 3-5 anni l’orobanche si è diffusa su una superficie di circa 3mila ettari destinati a pomodoro da industria, con tale velocità e aggressività da essere considerata un serio rischio per la sua coltivazione. L’aumento delle infestazioni è frutto anche di disattenzioni verso un’agricoltura sostenibile in grado di rispettare la risorsa del terreno, mantenendola in condizioni di fertilità specialmente nei riguardi della dotazione di sostanza organica. Infatti, è noto che le maggiori infestazioni di P. ramosa si verificano nei terreni poveri di sostanza organica e di azoto, come lo sono molti terreni foggiani».
Le piante di pomodoro parassitizzate manifestano inizialmente una crescita più o meno stentata e successivamente un decremento quali-quantitativo della produzione, «dovuta alla riduzione della capacità di utilizzazione delle sostanze nutritive e assorbimento di acqua – spiega Tarantino –. La diminuzione della resa può arrivare fino al 75% rispetto a quella ottenibile in assenza di infestazione. La dannosità del fitoparassita è dovuta alla capacità di infestare rapidamente i terreni, sviluppandosi esponenzialmente mediante la produzione di quantità elevatissime di seme (fino a 500mila per pianta), di ridotte dimensioni (0,2-0,3 mm), la cui vitalità nel terreno può durare fino a 20 anni. A causa delle piccole dimensioni, i semi sono diffusi molto facilmente dal vento, dall’acqua, dagli animali e dall’attività dell’uomo mediante attrezzi e macchine agricole, ma soprattutto attraverso la raccolta meccanica del pomodoro che avviene tagliando le piante a livello del terreno dove sono presenti anche i turioni di P. ramosa. Le capsule mature liberano i semi, alcuni dei quali rimangono dormienti, mentre altri, se stimolati da essudati radicali (ormoni del tipo strigolattoni) delle piante ospiti, sono in grado di germinare immediatamente e dar vita a nuove piante parassite che emergono dal terreno formando turioni che maturando producono capsule e semi».
Data la sua particolare biologia il controllo dell’orobanche è tutt’altro che agevole, sottolinea Tarantino. «Diversi sono stati i metodi di lotta sperimentati a livello internazionale: solarizzazione, erbicidi, disinfezione chimica del terreno, avvicendamenti con piante trappole, lavorazioni del terreno, concimazioni azotate, letamazioni, varietà di pomodoro resistenti, sostanze sintetiche stimolanti la germinazione dei semi di P. ramosa, agenti di biocontrollo (microrganismi e insetti), nonché metaboliti secondari somministrati direttamente al terreno o attraverso l’aggiunta a compost. Le ricerche svolte in campo sui metodi di lotta applicati singolarmente hanno fornito risultati parzialmente o per nulla soddisfacenti, dovuti anche alla variabilità delle condizioni pedoclimatiche dei diversi ambienti».
Tecniche agronomiche appropriate
Perciò il gruppo di lavoro ha valutato congiuntamente l’impiego appropriato delle tecniche agronomiche di lavorazione del terreno e di concimazione organica e inorganica al fine di migliorare la fertilità dei terreni, oltre a metodi innovativi e specifici di controllo degli attacchi di P. ramosa nei confronti delle piante di pomodoro.
«L’aratura profonda 50 cm, dopo l’annata precedente in cui il terreno si presentava molto infestato, ha fornito una riduzione dell’infezione del parassita pari al 50% rispetto all’aratura più superficiale effettuata a 30 cm di profondità. Oltre all’aratura profonda, alcuni, fra i diversi metodi di controllo confrontati, hanno fornito una significativa riduzione degli attacchi del parassita. I trattamenti migliori sono risultati essere quelli effettuati impiegando: il biostimolante Radicon, una sospensione-soluzione contenente acidi umici e fulvici ottenuti da vermicomposta di lombrico, con la quale abbiamo compiuto un bagno radicale (dipping) delle piantine al momento del trapianto, alla dose di 150 cc per 100 litri di acqua; un compost costituito da fanghi agroindustriali, sansa e paglia e attivato con Fusarium oxysporum; la concimazione minerale azotata, con 80 kg/ha di solfato ammonico in pre-trapianto; lo zolfo, alla dose di 8 t/ha in pre-trapianto; la cultivar Red Setter, migliorata e resa resistente a P. ramosa con la tecnologia Tilling (Targeting induced local lesions in genomes)».
Ovviamente, sempre con l’obiettivo di diminuire le infestazioni nei campi, «occorre integrare tali tecniche agronomiche con altre preventive - aggiunge Tarantino, - cioè: la produzione di materiale di propagazione esente da semi del parassita attraverso pulitura e sterilizzazione del substrato da parte del vivaista; l’inserimento negli avvicendamenti delle cosiddette “colture-trappola” (fagiolo, pisello, mais, sorgo, ecc.) capaci di stimolare la germinazione dei semi di P. ramosa senza lasciarsi parassitizzare; il lavaggio dei mezzi meccanici e delle raccoglitrici meccaniche dopo la raccolta nei campi infestati per evitare la disseminazione in appezzamenti esenti; il filtraggio delle acque di irrigazione, specialmente quelle provenienti da invasi; le scerbature sia manuali dei turioni nelle vicinanza delle piante di pomodoro sia meccaniche tra le file prima della formazione dei semi».
Alla luce dei risultati ottenuti, lo stesso gruppo di lavoro sta continuando la sperimentazione anche nel 2015, conclude Tarantino, «ripetendo i trattamenti, da soli e in combinazione, che hanno prodotto i migliori risultati, nonché sperimentandone nuovi per aumentare le conoscenze e dare risposte più approfondite sull’argomento».