Questi ultimi anni hanno segnato profondamente il comparto concimi. Non tutti i fattori all’origine dei problemi sono noti né è possibile analizzarli separatamente; come è avvenuto anche in altri comparti dell’economia, i fertilizzanti sono stati al centro di speculazioni legate alle commodity (beni di largo consumo) del settore agro-alimentare.
Ed è proprio dai fattori macroeconomici che prende il via una breve disamina non solo per capire meglio cosa succede (o è successo) ma anche per provare ad interpretare i segnali che condizioneranno il prossimo futuro. A parte (vedi riquadro “Un mercato rigido”) forniremo alcuni concetti legati al rapporto domanda-offerta del comparto concimi, mentre preferiamo iniziare da considerazioni legate al rapporto di cambio tra il dollaro statunitense e la moneta continentale.
Il cambio
Il grafico del rapporto di cambio è esemplificativo di una situazione veramente difficile. Abbiamo preso in considerazioni le medie mensili a partire da inizio 2009. Per ritrovare periodi con un rapporto intorno a 1,22/1,23 dobbiamo tornare indietro sino al 2005; i minimi del 2009 (febbraio) non scesero mai sotto 1,26 e, proprio nel novembre scorso, si raggiunsero i massimi dell’anno (1,50). Ricordiamo che la maggior parte dei concimi sono quotati in dollari e che l’Italia è totalmente dipendente sia per alcune materie prime (fosforo e potassio) sia in termini energetici (petrolio). Una diminuzione del potere d’acquisto di circa il 18% (novembre 2009-maggio 2010) si è tradotta immediatamente in un aumento dei prezzi quotati in dollari. Evidentemente le ricadute sul mercato italiano non sono state immediate ma è opportuno che i distributori conoscano alcuni meccanismi legati al cambio €uro/us$.
Immaginiamo di comprare un concime che costi 100 $/t, una nave da 6mila tonnellate vale 600mila dollari. Il compratore italiano deve garantire l’ammontare in dollari e per farlo può scegliere due strade. Si può decidere di comperare immediatamente i 600mila dollari, applicando il cambio del giorno dell’operazione: ad esempio, con un cambio di 1,25, si tratterà di sborsare 480.000 euro.
Ne consegue che il costo a tonnellata sarà di 80 euro e su tale cifra ci si dovrà basare per fare i conti del prezzo di vendita; ad esempio 90 €/t che garantirebbe un guadagno fisso di 10 €/t. In alternativa il compratore potrà acquistare i dollari occorrenti man mano che vende il concime, per mantenere inalterato il margine di 10 €/t egli dovrà variare il prezzo di vendita in funzione del rapporto di cambio. Ad esempio, se vende quando il cambio è 1,27, il prodotto gli costerà 78,7 euro/t e lo potrà collocare a 88,7, ma se il cambio scende a 1,22, il prezzo di vendita dovrà aumentare a quasi 92 €/t per lasciare inalterato il guadagno di 10 euro.
In periodi di oscillazioni dei cambi e, ancora di più, quando l’euro si rafforza, sarà più conveniente optare per la seconda strategia. La prima si usa raramente in quanto è troppo vincolante e si dovrebbe scommettere su una lenta e costante flessione dell’Euro prima di metterla in atto.
Vendite fantasma
Queste considerazioni ci portano immediatamente a ragionare su un altro aspetto della vendita, o meglio su un malcostume tipicamente italiano dei rapporti tra gli operatori del settore. Non pochi distributori ordinano più concime di quanto ne occorra, casomai a più fornitori e tentando di spuntare il miglior prezzo da ciascuno di essi.
A vendita conclusa, il venditore deve comperare i dollari necessari a coprire l’operazione per poter garantire il prezzo pattuito. L’acquirente senza scrupoli (e senza contratti realmente vincolanti) deciderà di ritirare a partire dal lotto più conveniente; fin qui nulla di male se non che, avendo programmato acquisti in eccedenza (o senza programmazione), il suo fabbisogno non gli consente di rispettare tutti gli impegni presi, e i fornitori la cui merce non viene ritirata capiranno troppo tardi che la loro vendita non ha alcun valore. Si arreca un primo danno al sistema logistico, un secondo alla politica commerciale del fornitore e un terzo di natura finanziaria se, per caso, l’euro si è rafforzato sul dollaro. Ma spieghiamo perché.
Tanto i produttori quanto gli importatori hanno necessità di programmare sia il confezionamento sia la consegna del concime venduto: un mancato ritiro farà saltare tutti i programmi a scapito del sistema logistico. Credendo di aver venduto, il venditore decide di rifornirsi (prodotto finito o materia prima, il discorso non cambia) per far fronte ad ulteriori richieste.
Potrebbe scoprire troppo tardi che la merce virtualmente collocata in realtà è da vendere nuovamente, anche perché molto spesso il distributore non ha nemmeno il “buon gusto” di avvisare il fornitore per comunicargli che l’ordine è annullato: danni finanziari e giacenze aumentate. Se, infine, l’acquisto dei dollari necessari a sostenere l’operazione fantasma si rivela più costoso perché l’euro si è rafforzato, allora il danno finanziario si aggrava ulteriormente.
Produzioni agricole
Per concludere l’esame del quadro generale, riteniamo opportuno analizzare i prezzi di alcune produzioni agricole annuali che influenzano in maniera diretta i consumi italiani di concimi. Sul fronte dei cereali a semina autunnale il prezzo del grano tenero mostra un andamento molto diverso da quello del duro. In realtà entrambi hanno toccato un picco nel luglio 2009 ma, mentre il tenero ha sostanzialmente contenuto la flessione, il prezzo del grano duro è sceso sino ai minimi delle scorse settimane e solo recentemente ha mostrato un segnale di ripresa che assolutamente non rende economicamente interessante tale importante coltura.
Ormai il prezzo dei due cereali è quasi equivalente e la produzione di duro nel Centro-Nord è significativamente aumentata a scapito di quella Meridionale. In tutti i casi le perdite in termini di superfici sono inquietanti e non lasciano sperare nulla di buono nel medio termine: il conto economico della coltura resta negativo e le concimazioni di fondo sono una delle prime voci da tagliare.
Al contrario i due cereali a semina primaverile mostrano un andamento dei prezzi abbastanza simile. Tanto il mais quanto il risone, dopo aver toccato i minimi lo scorso autunno, hanno iniziato la risalita: lenta e faticosa quella del mais, percentualmente consistente quella del risone. Non a caso le semine di granturco sono state in netta flessione, mentre quelle di riso lasciano spazio ad un moderato ottimismo.
Comparti
Infine diamo un’occhiata all’andamento di alcuni comparti chiave, in funzione della domanda autunnale prevalentemente indirizzata verso azotati e fosfatici.
Il mercato dell’urea continua a essere caratterizzato da domanda scarsa. Probabilmente la situazione nazionale è migliore di quella mondiale ma, in tutti i casi, i prezzi ne risentono in miniera significativa. La flessione dell’euro e la preferenza di prodotto granulare rispetto al prilled, stanno favorendo un lieve recupero delle quotazioni nazionali dopo l’inevitabile flessione di inizio primavera. Al contrario il prezzo internazionale resta debole in quasi tutte le aree produttive.
Richiamando i concetti espressi nel riquadro, questi livelli di prezzo corrispondono a momenti decisionali di particolare gravità: si deve scegliere se continuare a produrre o se mettere in atto azioni volte ad alleggerire la pressione dell’offerta su una domanda fiacca. Al momento non si parla di imminenti chiusure (ancorché temporanee) di impianti e la debolezza dell’euro non agevola certo le importazioni Europee. Tuttavia, nel caso in cui i prezzi delle produzioni agricole dovessero riprendersi, crediamo che le basse scorte di azoto presenti in Italia, associate alle necessità logistiche dei primi anelli della catena, possano generare una discreta domanda appunto sin dai prossimi mesi estivi.
Anche il mercato del fosforo è fiacco e paga l’incremento dei costi di trasporto marittimi. La domanda per i mesi estivi è ancora di là da risvegliarsi. Come per l’urea, le prossime settimane potrebbero essere interessanti per concludere qualche affare. A rovinare il quadro c’è la citata debolezza dell’euro, non appena si dovesse raggiungere una nuova stabilità sarebbe il caso di anticipare gli acquisti.
In Italia le disponibilità sono basse, addirittura il perfosfato triplo è quasi assente ed anche i produttori di concimi organo-minerali così come i granulatori/compattatori non hanno scorte sufficienti ad affrontare l’autunno. Suggeriamo di prestare particolare attenzione al fosfato monoammonico, concime interessante e con un buon rapporto qualità-prezzo-contenuto.
La tabella con i costi al consumo delle unità fertilizzanti, conferma quanto sopra descritto. Rispetto a un anno fa tanto le unità azotate quanto quelle fosfatiche evidenziano incrementi di una certa entità; di contro la flessione del costo del potassio è da attribuirsi ad una sovraquotazione 2008-2009 che stravolse lo storico rapporto tra le unità fertilizzanti. Oggi si è sostanzialmente tornati ai rapporti di un tempo con una tendenza da confermare verso 1:1:1 per i valori degli elementi nutritivi di maggior interesse.