Il dodicesimo round negoziale sul Ttip (il gigantesco trattato di libero scambio tra Europa e Usa) doveva tenersi in Europa a dicembre, ma è slittato a febbraio 2016. Le trattative intanto proseguono. Paolo De Castro, relatore permanente per il Ttip della Comagri è tornato di recente da Washington e con lui facciamo il punto: “I diversi incontri che hanno scandito la missione di una delegazione dell’Europarlamento a Washington a inizio novembre si sono rivelati positivi dal punto di vista delle priorità europee per il settore agroalimentare, in particolare in tema di tutela delle indicazioni geografiche, sulla quale le istituzioni statunitensi hanno mostrato positiva attenzione”.
La Ue ha una posizione univoca?
Certo. È una posizione chiaramente articolata, che tiene conto della complessità dei temi trattati e della molteplicità dei soggetti coinvolti. Il Parlamento europeo ha partecipato in maniera attiva alla definizione di questa posizione, consegnando all’esecutivo un Rapporto (Lange) dettagliato per i diversi settori protagonisti del negoziato. La Commissione Agricoltura ha contribuito a questo documento delineando con precisione le priorità per il settore agroalimentare europeo.
Un recentissimo rapporto Usda stima l’impatto del TTtip in tre diversi scenari (eliminazione delle sole tariffe; via le tariffe più alcune barriere non tariffarie; via tariffe e barriere non tariffarie). Prevede fra l’altro un aumento dell’export agroalimentare Usa, soprattutto carne e lattiero-caseari; in un altro caso, stima in forte incremento dell’export Usa di pollame e suini mentre cala l’export europeo. Qual è la parte del bicchiere mezzo pieno?
Si tratta di scenari che non necessariamente rappresentano direzioni obbligate per la definizione di questo accordo. Essendo ancora in fase di piena negoziazione, le due parti dovranno convergere verso un equilibrio che sicuramente rispecchierà diverse caratteristiche dei tre quadri prospettati dall’Usda e che si distinguerà anche per altre specificità. Parliamo di uno scenario competitivo totalmente inedito, nel quale nuove regole e nuove forze potranno definire opportunità positive per entrambe le sponde dell’Atlantico. Senza questo equilibrio dubito che un accordo possa essere raggiunto.
Sempre secondo l’Usda l’ok al Ttip farà aumentare il Pil europeo e statunitense. Anzi, l’incremento sarà maggiore per l’Europa, ma grazie soprattutto al maggior export di “non agricoli” e ai prezzi più bassi per l’import. L’agricoltura farà il vaso di coccio?
L’agricoltura avrà un ruolo importante in quella che sarà l’area commerciale più vasta del mondo. È quindi evidente che bisognerà organizzarsi con maggiore determinazione per essere più forti e competitivi. Una necessità che vale sul piano europeo, ma anche per alcuni Stati membri come l’Italia. Se pensiamo, ad es. a formaggi e ortofrutta, non abbiamo nulla da temere. Dobbiamo lavorare con ancor più motivazione per raggiungere una più solida forza aggregativa perché la qualità già c’è.
Lei ha di recente sottolineato che il Ttip aprirà un grande mercato per i nostri prodotti tipici. In cambio noi apriremo alle commodity Usa, la materia prima di tanti ns prodotti tipici: chi ci guadagna di più?
L’Italia è già importatrice netta di commodity provenienti anche dagli Usa, quindi non ci sarebbero grandi variazioni rispetto a ciò che già accade dopo una eventuale firma del Ttip. Ribadisco che la forte richiesta di eccellenze agroalimentari italiane da parte dei consumatori statunitensi mostrano quanto questo mercato sia florido e come sia concretamente possibile, attraverso una maggiore e più capillare presenza dei nostri prodotti, combattere il fenomeno dell’italian sounding.
Ampliando gli scambi non potrebbe incrementare anche la contraffazione alimentare a nostro svantaggio?
Parte della contraffazione si basa proprio sulla difficoltà di reperire prodotti originali made in Italy o sull’assenza di regole che garantiscano una corretta informazione al consumatore circa la provenienza di quello che porta in tavola. Il Ttip, oltre che agevolare gli scambi e offrire la possibilità di commercializzare i nostri prodotti sui mercati Usa, può essere anche la cornice giusta per definire nuove norme che tutelino i consumatori. Due fattori importanti che vanno proprio a intaccare la contraffazione, non a incrementarla.
Perché gli Usa dovrebbero rinunciare ai loro standard sanitari, più laschi, per adeguarsi a quelli europei più restrittivi?
Sul tema degli standard si rischia di cadere in una delle tante generalizzazioni che riguardano questo accordo. È impreciso dire che gli standard statunitensi sono inferiori ai nostri. Non è così per tutti i settori. Torna il tema dell’equilibrio a partire da una soglia ben chiara che non consente un abbassamento di standard già esistenti. Diciamo che il gioco si fa al rialzo, non al ribasso, nell’interesse di tutti i cittadini.
Lei ha dichiarato che attorno al Ttip si sta innescando una battaglia ideologica. Non le sembra che in Italia si parli pochissimo di Ttip?
Sono d’accordo. Se ne parla troppo poco e molto spesso i pochi che ne parlano lo fanno in maniera parziale e in assenza di un contraddittorio competente. Parlandone di più e in maniera approfondita ma comprensibile si potrebbero fugare molti dubbi che, purtroppo, si fondano su affermazioni il più delle volte non corrispondenti alla realtà dei fatti.
Cosa pensa della norma che prevede il ricorso ad arbitrati internazionali contro le norme di un singolo Stato?
La proposta Ue è stata avanzata. Prevede un tribunale pubblico e 15 giudici scelti tra 5 europei, 5 statunitensi e 5 da paesi terzi scelti dalle due parti. Attendiamo una reazione ufficiale dei negoziatori Usa.
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