Di certo ci sono quattro aspetti: la cifra messa in campo, la durata del piano, le filiere coinvolte e gli obiettivi prefissati.
Come poi le risorse verranno ripartite e quali istituti verranno operativamente coinvolti è ancora presto per dirlo. Tutto in via di definizione.
È chiaro però che il progetto di investimento per la ricerca in campo agricolo, annunciato nei giorni scorsi dal ministro Maurizio Martina e inserito nella legge di Stabilità, segna in qualche modo il superamento del “tabù” biotecnologie nel nostro Paese. Pur mantenendo una posizione di rigetto nei confronti degli ogm, l’Italia prova a scommettere sulle potenzialità del dna (e di internet) in agricoltura.
In pratica vengono messi a disposizione per i prossimi tre anni 21 milioni di euro per attività di ricerca su due fronti strategici: le cosiddette “biotecnologie sostenibili”, ossia quelle biotecnologie, come il genome editing e la cisgenesi, che danno come risultato prodotti non sono diversi da quelli ottenibili attraverso un miglioramento genetico convenzionale; l’agricoltura digitale, ossia quell’insieme di strumenti che possono contribuire a rendere la pratica agricola più precisa e “chirurgica”.
Sul primo aspetto sono una ventina i progetti proposti (v. tabella) che dovrebbero intervenire sulle colture tipiche del made in Italy: melanzana, agrumi, frumento e altri cereali, pomodoro, vite, melo, pioppo, olivo, pesco, albicocco, ciliegio. Sul secondo aspetto si parla della creazione di un “open data” agricolo, di un centro digitale delle informazioni online basato su sistemi cloud e sullo sviluppo di sensori e app.
La gestione del piano è affidata al Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura), che, ricorda Alessandra Gentile, commissario delegato dell’ente «è già leader su alcune di queste tematiche». Concentrandoci sull’ambito biotech possiamo ad esempio citare il contributo italiano al sequenziamento di numerosi genomi, il recente progetto ExpoSEED finanziato da Horizon2020 e l’utilizzo dell’approccio cisgenico per migliorare la resistenza ai patogeni nel melo, modificare la forma e la crescita nel pioppo e migliorare la qualità delle proteine nel grano duro.
Intervento istituzionale
La vera novità del piano sta nel fatto che fino ad oggi non erano mai state investite risorse da parte del Governo, con conseguenti difficoltà ad intervenire su colture di stretto interesse nazionale, che difficilmente possono ambire a raccogliere l’interesse di privati o gruppi internazionali.
L’obiettivo per queste tipicità, prosegue Gentile, «è aumentare la produttività e la resistenza a stress, penso a quelli legati al cambiamento climatico, come l’acqua e la salinità o l’insorgere di nuovi patogeni, ma anche ad incrementare la qualità delle produzioni, migliorandone le caratteristiche nutrizionali. Non ci sono priorità di intervento su una coltura, il piano è complessivo. Certo è possibile che vengano destinate più risorse a filiere sulle quali la ricerca è rimasta più indietro».
Le sperimentazioni, è bene ricordarlo, potranno avvenire solo in ambiente “confinato”: l’Europa, a differenza di Usa e Canada, non si è infatti ancora pronunciata sull’inquadramento di queste “nuove” tecnologie.
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