Metalli pesanti nel riso: attenzione alla tecnica irrigua e alla varietà. È questo, in sintesi, il succo di uno studio pluriennale condotto dall’università di Milano e dall’Ente Risi, nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dalla regione Lombardia.
Il lavoro, illustrato in un apposito convegno che si è tenuto a Castello d’Agogna (Pv), si è reso necessario per studiare i meccanismi di assorbimento dei metalli pesanti nel cereale e le correlazioni con la tecnica agronomica. Il livello del cadmio nel riso è limitato a 0,2 mg/kg da un regolamento della Comunità europea; alcuni controlli hanno portato, anche in anni recenti, ad evidenziare la presenza in eccesso del metallo.
I risultati della ricerca condotta dall’Ente Risi nel 2007 e 2008 ribadiscono quanto emerso in un lavoro analogo di tredici anni fa: nelle zone a sud di Milano (Pavese, Lodigiano, ma anche parte del Novarese) il limite viene superato nel 12% dei campioni analizzati. Verrebbe da pensare che sia un problema legato alla vicinanza con la metropoli, ma in realtà non c’è una relazione così forte tra presenza di cadmio nel terreno e trasferimento alla granella.
«Invece – ha fatto notare Anna Del Ciello, dell’Ente Risi che ha illustrato la ricerca – si è notato che il cadmio aumenta esponenzialmente nella coltivazione in asciutta».
Marco Romani, ricercatore dell’Ente Risi, in collaborazione con l’istituto di Chimica agraria dell’università del Sacro Cuore di Cremona, ha determinato che è soprattutto l’asciutta in fase di fioritura a favorire il passaggio del cadmio dal terreno alla pianta e da questa alla granella. Inoltre alcuni concimi, per esempio il compost usato senza calce, possono aumentare ulteriormente la contaminazione.
I FATTORI DI RISCHIO
Una spiegazione di questo fenomeno arriva dallo studio effettuato dall’università di Milano nell’ambito del progetto Siquriso e illustrato da Gian Attilio Sacchi. Esistono due fattori che possono far accumulare cadmio nella granella fino a superare il limite di 0,2 mg/kg: la varietà e la tecnica di irrigazione.
«Coltivando in sommersione, abbiamo visto che le varietà di riso si comportano in modo molto diverso – spiega Sacchi –. Ve ne sono alcune che accumulano cadmio molto più di altre. Quindi esiste una variabilità che dipende dal tipo di riso. Ma se dalla sommersione passiamo alla coltivazione in asciutta o con asciutte molto frequenti, questa catalogazione si scombina al punto che quasi non è più possibile vedere differenze tra varietà».
Secondo Sacchi, il cadmio è presente nel suolo in uno stato che non è facilmente assimilabile, ma muta in presenza di ossigeno rendendosi disponibile. Inoltre, la coltivazione in asciutta sviluppa molto di più l’apparato radicale della pianta e questo permetterebbe l’assimilazione di una maggior quantità di cadmio.
Le differenze tra varietà di riso, quando si coltiva in asciutta, potrebbero essere determinate dal diverso sviluppo delle radici nel terreno non irrigato, oltre che da differenze genetiche.
In altre parole, alcune varietà di riso assimilano il cadmio molto più di altre; inoltre con la coltivazione in asciutta tutte tendono ad assimilarlo più che in sommersione.
Due risultati che sicuramente faranno riflettere i risicoltori, riaprendo una mai sopita diatriba tra fautori della coltivazione tradizionale o in asciutta.