Nel giro di poche settimane il riso Thai è passato dai 520 $/t dei primi di luglio agli attuali 630 $/t. Potrebbe arrivare a 700$/t entro fine anno.
I pessimisti ci vedono l’innesco di una nuova bomba economico-alimentare con la possibilità di un radicale cambio della dieta: dal riso al frumento?
Di certo il perdurante clima avverso, le piogge torrenziali e le disastrose inondazioni hanno colpito molte aree dell’Asia e soprattutto il primo esportatore mondiale di riso, la Thailandia (circa un terzo del volume totale, 10 milioni di t).
Verranno messi a dura prova i labili equilibri alimentari dei luoghi di produzione del cereale bianco già alle prese con la crescita demografica e dei consumi degli ultimi anni.
Se fosse stato frumento sarebbe stata una tragedia sicura. Nel frattempo, rifacciamo il punto sulle prospettive di mercato a breve-medio termine per i principali cereali, obbligati dall’ormai costante incertezza dei prezzi. Ne parliamo con Stefano Serra di Infogranarie. Partiamo dal grano tenero e dalle scorte.
GRANO TENERO
«L’orizzonte 2011/12 è aggravato dal tendenziale calo degli stock granari in alcuni dei cosiddetti paesi esportatori: Europa, Usa e Canada con segnali opposti di “surplus” nei paesi dell’area Mar Nero, in Sud America e Australia».
Il “surplus” del Mar Nero ha fatto scalpore...
Nel 2010, sulla base del preciso sistema governativo di rilevamento degli stock, questi Paesi si videro “costretti” a innescare la crisi cerealicola con l’embargo. Oggi, con lo stesso sistema, scoprono di aver sottostimato di circa 10 mio/t le scorte finali 2010/11...!
Il Mar Nero torna dunque a esportare. E l’Europa che fa?
È indiscutibile quanto è accaduto fino all’agosto 2010 e, soprattutto, dal luglio 2011 in poi: le origini Mar Nero (Russia, Ucraina e Kazakhstan) sono tornate a essere il principale riferimento per i paesi dell’area del sud del Mediterraneo, ma anche per l’Italia. Con l’attuale volatilità delle valute e la necessità del Mar Nero di tornare a esportare a regime come nel 2008-2010, le chance europee di competere su destinazioni “storiche” come l’Egitto o il Magreb sono al lumicino, basti osservare nell’ultimo mese quante aste (non) si sono aggiudicate i francesi.
Che tipo di prodotto esporta il Mar Nero? A chi?
Principalmente grani teneri (e qualche volta anche duri) con caratteristiche vicine al foraggero. La domanda italiana e degli altri loro clienti, da sempre, si orienta a chiedere (qualitativamente) il meno possibile per poi avere l’opportunità di valutare, dopo l’imbarco, il prodotto consegnato con la speranza, molto spesso esaudita, di vedersi arrivare un livello qualitativo ben superiore alle attese.
Se i nostri molini e mangimifici, pagando da contratto la merce come feed, ricevono un grano panificabile o in alcuni casi con caratteristiche da superiore/di forza, è evidente il loro crescente interesse verso l’origine Mar Nero. Prova ne è che non appena la Comunità apre i contingenti all’importazione a dazio agevolato per quelle origini, gli importatori li “bruciano” in poche settimane, aggiudicandosi la totalità dei certificati di importazione...poi si assiste al massiccio arrivo del grano come di recente accaduto al porto di Ravenna arrivato ad avere oltre 300.000 t dal Mar Nero (v.box).
Produrre alta qualità in Italia paga? E pagherà?
Al momento chi ha prodotto grani di qualità superiore o di forza ed ha avuto possibilità di tenerli separati, spunta prezzi decisamente superiori rispetto ai produttori di varietà meno pregiate e soprattutto a chi non ha avuto l’accortezza di conservarli in “purezza”.
I misti rossi sono oggi molto vulnerabili agli attacchi di prezzo da parte dei grani comunitari ed extra EU-27. In futuro la qualità pagherà sempre, non tanto perché ve ne sia quantitativamente bisogno (le origini austro-tedesche e nord americane resteranno ben presenti anche in futuro), ma per sfuggire alla tenaglia dei prezzi del cosiddetto feed dal Mar Nero che non è attesa ridursi tranne che in casi di catastrofi naturali tipo 2010/11.
Qualità generica: meglio venderla o attendere?
Di grani foraggeri in Italia se ne producono sempre meno, ma per i detentori di tipologie di grano comparabili in qualità a quanto arriva dall’estero e che già si trova sui porti, lo scenario sul breve si tinge di cupi colori.
L’abbondanza di grani esteri sarà garantita anche dopo la fine dell’anno allorché saranno aggiudicati nuovi contingenti all’importazione (a dazio ridotto) e la competizione di prezzo potrebbe ulteriormente aggravarsi nei momenti di euro forte.
Unico fattore positivo è il limite logistico del Mar Nero che negli anni scorsi, soprattutto in inverno, ha consegnato a singhiozzo, consentendo “prove di appello” ai ritardatari nella vendita.
GRANO DURO
Passiamo al grano duro: l’assenza dell’offerta Usa lascia sempre più solo il Canada? Con quali effetti?
I serissimi problemi alle semine (allagamenti) e il conseguente scarso raccolto americano (in quantità), hanno trebbiato solo il 50% dei consumi, azzerando da settimane ogni nuova esportazione (oltre a quanto già su carta da parecchi mesi).
Morale, quel milione di tonnellate che tutti gli anni arrivavano sul mercato Usa dal Canada, in questa campagna, non “libereranno” un eguale volume di grani americani per l’export, ma andranno a colmare il loro deficit produttivo. Il Canadian Wheat Board avrà quindi la possibilità nel suo (forse) ultimo anno di single desk (il monopolio dell’offerta di grani canadesi potrebbe terminare il prossimo 1° agosto 2012) di fare ancor più il bello o il cattivo tempo nel primo semestre del 2012, allorché diventerà di fatto la sola origine estera sia per i mercati comunitari che per i paesi del Sud Mediterraneo.
Che prospettive per il duro nel 2012?
Il 2012 si presenterà molto differente da quanto si vive oggi. In Europa si dovrebbe confermare un aumento delle superfici a duro dell’ordine del 5-10% mentre in Usa e Canada l’incremento dovrebbe essere ancor più significativo (+10-15%) stante l’attuale livello di prezzo che vede il duro “feed” venduto allo stesso prezzo dello spring col 15% di proteina. Se i prezzi e soprattutto lo “spread” tra duro e tenero si manterrà fino al marzo 2012, le semine e i raccolti 2012 in Nord America potrebbero fortemente influenzare le quotazioni anche nel nostro paese: negli anni in cui Usa-Canada e Messico producono oltre 9 mio/t di grano duro la pressione commerciale da oltreoceano tocca livelli molto elevati.
I contratti di filiera sono un lusso o una necessità?
Alla luce del rischio climatico, della progressiva concentrazione dell’offerta registrata negli ultimi anni e del rischio di rivedere lotti di duro prendere la via del mangimificio (se mai i prezzi dei foraggeri o del mais schizzassero alle stelle), la decisione di siglare contratti di coltivazione è di certo una scelta interessante.
Negli anni si è trovato il modo di attenuare (contrattualmente) i rischi di fallire i termini contrattuali o di essere (come prezzi) completamente fuori mercato, ma nel caso di imprese con una significativa forza finanziaria e in grado di cogliere i momenti di “volatilità” delle quotazioni, i contratti di filiera potrebbero essere un pesante onere che sbiadisce il grande onore di supportare le realtà produttive locali.
Poiché nel giusto mezzo spesso si trova la soluzione, stante il significativo deficit strutturale dell’Italia (un buon 40% dei consumi è coperto da grani esteri), ritengo che il “lusso” dei contratti di filiera sia anche una necessità per continuare ad avere una produzione sufficiente a ridurre quel gap negoziale che abbiamo con il Canada e gli altri (pochi) venditori mondiali.
Cosa pensa del progetto Coldiretti di produrre direttamente pasta tramite il Cai (Consorzi agrari d’Italia) e portarla quindi sullo scaffale?
Il sogno dell’integrazione verticale dal campo alla tavola è nel nostro dna e rappresenta il sogno di molti produttori, inclusi quelli delusi dalla recente evoluzione dei mercati cerealicoli nel nome della globalizzazione: un aereo che spesso porta molto in alto, ma in caso di avaria non fornisce paracaduti ai viaggiatori.
Credo che il progetto sia lodevole sulla carta , ma dovrà fare i conti con alcuni aspetti molto rilevanti quali la continuità qualitativa delle materie prime nei 12 mesi e i costi di produzione. Ricordo che anche quando la produzione italiana ha raggiunto i 5 milioni di t i principali marchi di pasta hanno continuato ad acquistare (a premio) grani esteri di altissima qualità: una ragione ci sarà pure! Il tutto si regge se il concetto di “materia prima di qualità, tutta italiana” riuscirà a spuntare un significativo premio di prezzo sui marchi commerciali, altrimenti i risicati margini imposti dal dover gioco forza comprare (a premio) la “crema” della produzione nazionale potrebbero progressivamente disilludere i promotori. La pasta italiana è senz’ombra di dubbio un prodotto di qualità che il mondo cerca di copiare, ma quanto di questo successo dipende dal grano nazionale e quanto dalla pluri-generazionale esperienza dei nostri “mastri pastai”?