Recrudescenza del mal dell’esca sulla vite. I gridi di allarme si alzano da qualche anno da praticamente tutte le zone vitate italiane. E se un tempo l’incidenza variava enormemente in funzione dell’età dell’impianto, oggi sempre più spesso si registrano sintomi e fallanze anche su impianti giovani, di 8 o anche di 7 anni d’età.
Accuse e sospetti
Quanto basta per scatenare una ridda di accuse e di sospetti: colpa dell’impiantista e dell’errata densità d’impianto, colpa del terzista e dei danni della vendemmia meccanica, colpa del vivaista e dell’innesto non eseguito a regola d’arte. Troppi sospettati, per un crimine su cui finora non si è ancora del tutto indagato. I Demodays fanno il punto sulla situazione. L’incontro organizzato da Horta a Res Uvae, l’azienda dimostrativa di Castell’Arquato (Pc) il 6 marzo (vedi riquadro) mette a confronto i maggiori esperti per discutere le cause e individuare le soluzioni oggi disponibili contro le Malattie del legno. Chiamate così, al plurale, perché i responsabili potrebbero essere più di uno. «Noi infatti vediamo sintomi fogliari simili – ammonisce Laura Mugnai, dell’Università di Firenze -, però le macchie che troviamo nel legno, nei vasi xylematici, possono essere legate a diversi patogeni. Oppure lo stesso patogeno può dare origine a sintomi diversi, un po’ come capita sul frumento con gli attacchi di Fusarium (che possono generare mal del piede o fusariosi della spiga».
La vera sindrome del mal dell’esca, così come abbiamo chiarito oggi anche grazie agli studi di Mugnai, è determinata dalla sovrapposizione, o piuttosto in alcuni casi, dalla successione di una tracheomicosi e di una carie. Per la prima gli agenti causali sono principalmente Phaemoniella clamidospora e Phaeoacremonium aleophylum, mentre il principale agente di carie è Fomitiporia mediterranea.
L’innesto non c’entra
Dove si trova l’inoculo? Cosa predispone la pianta agli attacchi? Quali sono le azioni di prevenzione più efficaci?
«Le vie di accesso preferenziali –commenta Mugnai – sono sicuramente ferite come quelle di potatura. L’infezione avviene per via aerea e l’inoculo è presente sul legno piuttosto che nel terreno. Tutti i funghi coinvolti a parte Phaemoniella clamidospora non sono tipici dell vite e li abbiamo riscontrati anche su altre specie arboree. Ad incidere sull’attuale recrudescenza potrebbe essere la densità e la forma d’allevamento, la gestione del legno, di sicuro c’è molta differenza tra i vitigni».
«La suscettibilità varietale – conferma Elisa De Luca dei Vivai cooperativi Rauscedo – è sicuramente uno dei fattori su cui occorre maggiormente indagare». Le varietà più colpite dal mal dell’esca in fase giovanile sono infatti spesso le stesse: Cabernet sauvignon, Sauvignon blanc, Incrocio Manzoni, tutte suscettibili indipendentemente dal tipo di innesto effettuato, dal vivaio dove sono cresciute, il vivaista che le ha prodotte, ma le basi fisiologiche di questa predisposizione non sono ancora state individuate.
Assolutamente da scagionare quindi l’innesto. «Sia che sia a omega – commenta De Luca-, a spacco o a incastro o a verde: se èfatto a regola d’arte, se la barbatella è morfologicamente ben conformata, con un callo regolare, allora non ci son problemi. Si tratta sempre di un taglio, ma lo è anche l’alternativa dell’innesto o sovrainnesto effettuato in campo, che genera possibili punti di accesso per l’inoculo fungino, con minori garanzie fitosanitarie».
Può allora essere presente in vivaio questo inoculo?
Inoculo in campo?
«Abbiamo effettuato decenni di indagini, analizzato più di 40mila piante dal 1995 nei 108 ettari di Fossalon di Grado, individuando sempre presenze bassisime di patogeni fungini coinvolti nel complesso del mal dell’esca. Addirittura mai nessuna traccia di Phaemoniella clamidospora». La fase di campo delle barbatelle dura non più di 6 mesi e la rotazione con mais e soia è di almeno 5-6 anni. Le indagini effettuate a Fossalon e altre zone hanno comunque permesso di vedere che, la varietà e l’andamento climatico hanno grande importanza sulle manifestazione dell’esca anche se i funghi dell’esca non ci sono nel terreno si possono avere manifestazioni anche eclatanti.
Una tecnica “odontoiatrica”
Recenti indagini hanno ad esempio ridimensionato l’influenza dei piccoli tagli di potatura, ritenuti un tempo il maggiore fattore di rischio, sulla diffusione della malattia nel vigneto. Al contrario i grandi tagli di potatura devono essere accuratamente disinfettati e protetti con mastici cicatrizzanti e i residui della potatura dovrebbero essere trasportati al di fuori del vigneto e bruciati. La tecnica oggi più in voga è però quella della dendrochirurgia. Una tecnica “chirurgica”, o forse meglio dire “odontoiatrica”, di rimozionedelle carie
del mal dell’esca tramite trapani e frese. «L’unica tecnica – dice Denis Coaciancing dei “Preparatori d’uva” – in grado di curare e non di prevenire l’esca». Possibile? Anche se si rimuove il legno colpito, l’inoculo rimane comunque ben presente all’interno della pianta. «Fino a 10 anni fa – ha lamentato al’ultima Fieragricola Mattia Vezzola, enologo guru del Franciacorta – registravamo fallanze da mal dell’esca pari al 5-7% ogni anno».
Un grosso guaio per chi, come Vezzola, ha fatto della longevità del vigneto uno dei maggiori fattori per caratterizzare la qualità delle proprie rifermentazioni. «Oggi grazie al metodo Simonit & Sirch abbiamo imparato a potare e abbiamo ridotto tale percentuale allo 0,6%».
«Con la dendrochirurgia – commenta Mugnai – rimane comunque tanto potenziale inoculo nella pianta, ma i risultati sembrano esserci. Può essere che l’intervento produca un cambiamento nella fisiologia della pianta». I preparatori d’uva però non divulgano dati sulla percentuali di successi e comunque non c’è nulla finora di pubblicato. Altre possibilità?
Prevenire con il Trichoderma
«Buoni risultati – assicura Massimo del Pane di Isagro – sono ottenuti con il contenimento biologico del mal dell’esca mediante l’utilizzo di Remedier, un agrofarmaco a base di Trichoderma asperellum e Trichoderma gamsii ad azione fungicida antagonista».
La sua applicazione, soprattutto nei vigneti più giovani, al momento del “pianto” della vite e/o comunque alla potatura, ha la capacità di impedire la colonizzazione del patogeno diminuendo di gran lunga le nuove infezioni e pertanto riducendo, col tempo, l’incidenza della malattia nel vigneto.
di Gian Paolo Ponzi
Un’altra delle soluzioni tecniche da approfondire a Res Uvae, il 6 marzo 2018 dalle ore 10 alle ore 16 al convegno "Vigneto_2020: come gestire le malattie del legno"
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Res Uvae
Costa Gravaghi, 7
29014 Castell'Arquato (PC)
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