Il luppolo è una coltura di nicchia in Italia e lo sviluppo della filiera è per ora frenato da una produzione che non è in grado di soddisfare la richiesta interna.
Sulla base dei dati Agea, al 2020 sono stimate infatti poco più di 100 imprese, concentrate per lo più nelle zone settentrionali del Paese, per una superfice investita di circa 52 ettari.
La presentazione del rapporto
Il 21 giugno, a partire dalle 9:30, si terrà la presentazione, presso il Mipaaf, della monografia edita dal CREA “Outlook statistico-economico del comparto luppolo”, realizzata nell’ambito delle attività del progetto nazionale Innova.Luppolo (https://innovaluppolo.crea.gov.it).
Un settore in fermento
Ciò nonostante, negli ultimi anni, il settore è stato interessato da diversi fenomeni propulsivi, interni ed esterni, che stanno contribuendo a disegnarne le linee di evoluzione:
- forte propensione dei luppolicoltori verso l’adozione di forme collaborative, che ha visto il nascere di diverse Associazioni di produttori con la finalità di avviare un percorso di produzione comune, con scambio di competenze ed esperienze, volto alla tutela e alla promozione del prodotto;
- avvio di progetti sperimentali per lo sviluppo della coltura sostenuti nell’ambito dei Psr 2014-2020 (per mezzo delle misure 4, 6 e 16);
- produzione di normative regionali a sostegno della promozione turistica dei territori legati alla brassicoltura artigianale ed agricola.
Articolo pubblicato su Terra e Vita 18
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Il tavolo nazionale
Al dinamismo produttivo corrisponde però la necessità di avere strumenti normativi e programmatori che permettano alla filiera di crescere e svilupparsi. Tutto questo ha portato nel 2019 il Mipaaf all’istituzione di un Tavolo di settore (D.M. 31935 del 06/05/2019), con l’obiettivo di predisporre un Piano che accompagni lo sviluppo della filiera.
Attualmente il quadro normativo di riferimento per la filiera del luppolo è composito e vede il prevalere di norme comunitarie recepite nell’assenza di un quadro strategico di sviluppo nazionale. La normativa comunitaria, con il Reg. Ce 1850/2006, disciplina infatti le modalità di certificazione del luppolo e dei suoi derivati. Le procedure si applicano soltanto alle partite di luppolo destinate alla vendita ed escludono:
- il luppolo raccolto su terreni di proprietà di una fabbrica di birra e utilizzato da quest’ultima;
- i prodotti derivati dal luppolo e trasformati sotto contratto per conto di una fabbrica di birra e utilizzati dalla stessa;
- il luppolo e i derivati condizionati in piccole confezioni e destinati all’uso privato;
- i prodotti ottenuti da isomerizzati dal luppolo.
Il nodo delle Op
Il Reg. 1308/2013 relativo all’Ocm (Organizzazione comune di mercato) unica dedica numerosi articoli al settore e prevede:
- aiuti alle Organizzazioni di produttori (Op) del luppolo (art. 59) per finanziarne gli obiettivi di sviluppo (destinati però esplicitamente alla sola Germania);
- regole per la commercializzazione da parte delle Op del settore (artt. 73-75);
- norme per la certificazione del luppolo commercializzato dalle OP (art.76);
- criteri per le importazioni (art. 190).
A livello nazionale ad oggi non sono riconosciute Op per il settore, viste le produzioni ancora molto limitate. Per quel che riguarda la certificazione, il D.M. del 20/07/2015 individua il Mipaaf quale Autorità di certificazione nazionale e di conseguenza l’elenco dei soggetti certificatori (al momento cinque).
Le opportunità dietro all’angolo
In tale contesto, la proposta di riforma della Pac post-2023 presenta alcune novità anche per il settore del luppolo. La prima, di carattere generale, vedrebbe, nel caso si procedesse al riconoscimento di Op per il settore, la programmazione degli aiuti ad esse destinate nell’ambito del Piano Strategico Nazionale (Psn - il documento di indirizzo della Pac attualmente in corso di programmazione, si veda Terra e Vita 17 pag 14-15). Inoltre la proposta Pac prevede:
- la possibilità del sostegno accoppiato al reddito anche per il settore del luppolo nel caso sussistano ragioni sociali, economiche e ambientali che ne giustifichino l’adozione (art. 30);
- la possibilità di interventi settoriali (artt. 39 e 40);
- precisi obiettivi di intervento (art.55), ovvero: pianificazione della produzione e adeguamento della domanda, concentrazione dell’offerta e immissione sul mercato, ottimizzazione dei costi di produzione e redditività degli investimenti dal punto di vista ambientale e per la stabilizzazione dei redditi, ricerca e sviluppo di metodi di produzione sostenibili, promozione sviluppo e attuazione di metodi di produzione rispettosi dell’ambiente; contributo alla mitigazione dei cambiamenti climatici;
- inoltre, l’art. 82 fissa l’importo finanziario destinato alla Germania; mentre l’art.100 stabilisce che, qualora il Paese decida di non attivare gli interventi settoriali, le risorse ad esso destinate debbano essere destinate ai pagamenti diretti.
È evidente che la Pac post-2020 offre ampie opportunità all’intervento nel settore, ma le sue attuali dimensioni in Italia non potrebbero portare al riconoscimento di Op e quindi alla definizione di programmi operativi specifici a norma dell’art. 82 della proposta di regolamento della Pac, a meno di non intervenire sul DM n. 1108 del 31.01.2019 e modificare i requisiti per il riconoscimento delle Ocm.
Ocm, una strada conveniente?
Nello stesso tempo andrebbe valutata l’effettiva opportunità di procedere in tal senso per due ordini di ragioni. La prima è di ordine strategico, poiché la proposta di regolamento conferma il budget per l’Ocm specifica alla sola Germania, in Italia si dovrebbe ricorrere al 3% previsto per la creazione di nuove Ocm per i settori in cui non sono attive, con risorse che sarebbero altrimenti destinate ai pagamenti diretti del primo pilastro.
In tal caso bisognerà attendere le scelte che farà l’Italia e nel caso si opti per l’utilizzo del 3%, vedere quanto spazio ci potrebbe essere per un settore ancora giovane rispetto ad altri più organizzati come il cerealicolo o quello zootecnico.
La flessibilità dei Psr
La seconda ragione riguarda la possibilità di utilizzare strumenti più flessibili, come quelli offerti dalla Politica di sviluppo rurale, che meglio si adattano alle esigenze di settori giovani come quello del luppolo. In questo senso va anche tenuto conto che, per tale politica, è stato di recente approvato un periodo di transizione (Reg. Ue 2020/2021) relativo al biennio 2021-2022 in cui le relative annualità delle risorse Feasr 2021-2027 verranno utilizzate con norme e regole dei Psr 2014-2020. La riprogrammazione di questi ultimi potrà essere l’occasione di rendere esplicita la finanziabilità del settore luppolo in talune misure dei programmi regionali.
Le scelte del Psn
Qualsiasi sia l’opzione scelta, occorrerà definire gli obiettivi del settore nel futuro Piano strategico della Pac affinché possano aprirsi effettive opportunità di sviluppo del settore:
- il Psn disciplina, tra gli altri, gli interventi di sviluppo rurale che saranno attivati a livello regionale, pertanto definire obiettivi specifici per il luppolo porterebbe al finanziamento di interventi coerenti con le linee di sviluppo nazionali;
- la gestione dei pagamenti diretti a norma dell’art. 30 della proposta di regolamento potrebbe trovare ragion d’essere una volta fissati gli obiettivi di sviluppo per il settore;
- delineare una strategia di sviluppo del settore luppolo lascerebbe la porta aperta a futuri interventi di tipo settoriale, che potrebbero rendersi necessari qualora la filiera segua un percorso di crescita sostenuto quale quello degli ultimi tempi.
In ogni caso la definizione di una strategia di sviluppo è quanto mai necessaria in relazione ad un quadro normativo piuttosto articolato, con un progressivo incremento di norme locali sulla birra artigianale o agricola che introducono definizioni ad hoc a volte incoerenti con quelle nazionali (v. riquadri in basso).
Gli obiettivi da sviluppare
Rispetto alla normativa esistente sarebbe quindi opportuno che si arrivasse da un lato ad un testo unico sulla birra, che disciplini il settore e l’intera brassicoltura, dall’altro sarebbe necessario definire una strategia di sviluppo ai fini della programmazione 2023-2027.
In particolare, questa dovrebbe essere orientata a:
- favorire la cooperazione dei produttori al fine di concentrare la produzione e incrementare i volumi. La politica di sviluppo rurale presenta diversi strumenti di incentivo per la cooperazione lungo la filiera e della stessa con i settori a monte e a valle del processo produttivo. Operare in questo senso porterebbe alla definizione di una massa critica di prodotto necessaria ai fabbisogni, all’ottimizzazione dei costi di produzione e a garantire redditività ai produttori di base;
- incentivare una produzione ambientalmente sostenibile e che sposi gli obiettivi di protezione e salvaguardia ambientale e di lotta ai cambiamenti climatici. In questo senso è opportuno lavorare sia in termini di ricerca, che coinvolga tutto il processo produttivo, sia di diffusione delle innovazioni già utilizzate in altri Paesi per la filiera del luppolo o in settori simili. Tale processo potrebbe essere garantito, ad esempio, attraverso la definizione di Gruppi operativi (Go) per l’innovazione cofinanziati nell’ambito dei Psr;
- sostenere l’adozione di pratiche e tecniche produttive all’avanguardia grazie ad attività specifiche di assistenza tecnica e formazione degli operatori
- incoraggiare lo sviluppo della filiera nelle aree rurali come opportunità di resilienza e diversificazione delle aree più interne e marginali.
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Il successo dei birrifici artigianali
A partire dalla seconda metà degli anni ’90 il settore brassicolo ha subito un processo di trasformazione produttiva che, in maniera incrementale, sta progressivamente contribuendo a rinnovare sia gli assetti produttivi sia gli stili di consumo e, di conseguenza, la tipologia di consumatori. Questo fenomeno è stato determinato dalla nascita dei birrifici artigianali, il cui successo ha interessato più di recente anche le multinazionali di settore, che hanno avviato processi di diversificazione produttiva anche attraverso l’acquisizione di birrifici artigianali.
La birra, pur non essendo considerata a livello comunitario un prodotto agricolo (non è classificata tra i prodotti dell’all.1 del Trattato dell’Unione europea e pertanto è esclusa dall’accesso a taluni aiuti comunitari compresi quelli della PAC), deve gusto e aromi alle materie prime da cui è prodotta. Con l’affermarsi delle birre artigianali si sono creati dei proto-distretti che hanno visto nascere i birrifici in aree dove è diffusa la coltivazione dell’orzo distico; inoltre, in molte di queste aree, sono state avviate recentemente delle piccole produzioni commerciali e/o sperimentali di luppolo, prodotto ad oggi ancora per lo più importato.
Artigianale o agricola?
Il quadro normativo nazionale di riferimento è piuttosto articolato, affiancando al recepimento degli indirizzi comunitari la normativa del settore brassicolo artigianale e agricolo, nonché quelle contenute nel Testo unico sulle piante officinali. Nello specifico, il D.M. 212/2010 riconosce, in maniera indotta, la birra come prodotto agricolo, il birrificio agricolo come azienda integrata nella produzione e nella vendita diretta di birra agricola e la produzione di malto come attività connessa, ai sensi dell’art. 2135 C.C., ai fini delle imposte sui redditi. Secondo la norma, si definisce birra agricola il prodotto finito che nella sua composizione abbia almeno il 51% della materia prima coltivata dal produttore (i produttori possono accedere così ai benefici di cui al DM 212/2010: finanziamenti e regime fiscale agevolato).
Di contro, la legge 154/2016 definisce (art. 35) per la prima volta in Italia la birra artigianale come “…prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione ….., che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi”.
A tali norme, per il luppolo, si affianca anche il Testo unico in materia di coltivazione, raccolta e prima trasformazione delle piante officinali, contenuto sempre nel collegato agricolo.
La proliferazione di norme locali
Negli ultimi anni si sta assistendo ad un progressivo incremento di norme regionali sulla birra artigianale e/o agricola. L’obiettivo è quello di promuovere la territorialità, filiere agricole locali e turismo di prossimità.
Leggi regionali, spesso diverse fra loro, che introducono definizioni ad hoc a volte incoerenti con quelle nazionali; paletti legati alla produzione e trasformazione di materie prime locali come sinonimo di qualità, senza considerare che si tratta di produzioni agricole agli albori, soprattutto per quanto riguarda il luppolo. Inoltre, il proliferare di marchi di qualità regionale rischia di provocare una frammentazione inutile in un settore ancora lontano dal consolidamento qualitativo e strutturale.