Luppolo “made in Romagna” per birre che giocano la carta della tipicità

MIchela Nati, dell'omonima azienda socia della cooperativa Luppoli italiani di Grattacoppa (Ra), assieme a Andrea Pausler mastro birraio del birrificio Amarcord di Rimini
Una coltura alternativa in piena diffusione grazie al successo dei birrifici artigianali e agricoli. Michela Nati socia della  Cooperativa Luppoli Italiani di Grattacoppa (Ravenna) racconta come, in soli tre anni, abbia chiuso il cerchio di una produzione affidabile di materie prime per l’industria brassicola (e per l’utilizzo come officinale) nell’ottica di una filiera controllata e tracciabile interamente locale.

Tipicità, il valore che mancava ora c’è.

Il luppolo è l’anello da rinforzare per chiudere il cerchio di una birra artigianale veramente

Coni di luppolo freschi

territoriale. Troppo limitata, si dice, l’offerta italiana di una coltura che, nonostante la recente crescita, non supera gli 80 ettari distribuiti lungo tutto lo stivale.

E troppo elevati i problemi di coltivazione per una coltura che richiede ampi spazi anche per gli elevati costi di impianto e di conduzione e che richiede un elevato know how, per la trasformazione ma anche agronomico. Ma il nostro è il Paese dove si è abituati a fare di necessità virtù.

E dove i piccoli produttori sanno fare rete, le piccole filiere crescono.

Sintesi di un articolo in uscita sul numero di giugno della rivista Imbottigliamento

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Piccole filiere crescono

Come quella innescata da Michela Nati della Cooperativa Luppoli Italiani di Grattacoppa (Ravenna). Una realtà nata solo 3 anni fa e che quest’anno, grazie al luppolo raccolto sui 4,8 ettari investiti dai 4 soci della cooperativa, ha consentito di attivare il primo progetto di una birra interamente “made in Romagna”.

“L’Originale” è infatti la novità presentata dal birrificio Amarcord di Rimini all’ultima edizione del Beer&Food Attraction, lo scorso febbraio (una delle ultime rassegne senza distanziamento sociale, prima del lockdown).

Una lager tutta “made in Romagna”

«Si tratta di una lager – spiega il mastro birraio Andrea Pausler -, con grado alcolico contenuto, caratterizzata da un’elevata aromaticità grazie al rispetto dei tempi di fermentazione a 11° C, la prolungata maturazione e l’uso di luppoli in fiore di origine locale».

L’uso di luppolo in fiore è una peculiarità che dona carattere alla birra e che consente ai fornitori di evitare la pellettizzazione, uno dei processi più critici, soprattutto per le piccole aziende.

«Pur essendoci costituiti solo nel 2018 – spiega Michela Nati – la nostra realtà nasce dalla solidità di Terremerse, una cooperativa multifiliera con più di 100 anni di esperienza e 5.600 soci, beneficiando degli anni di studi e di prove in campo condotte dai tecnici di questa struttura».

Un progetto nato da un’esigenza di differenziazione colturale. Sono bastati tre anni alle 4 aziende che hanno raccolto il testimone da Terremerse (Luppoli italiani è composta da: Soc. agricola Bellavista delle sorelle Nati, dalla società agricola Menta e Rosmarino di Valentina e Michele Plazzi e dalle società individuali di Riccardo Bellosi e Alessandro Tedaldi) per centrare l’obiettivo di sviluppare una produzione affidabile di materie prime per l’industria brassicola (e per l’utilizzo come officinale) nell’ottica di una filiera controllata e tracciabile interamente locale.


Il parco macchine

La cooperativa ha investito per dotarsi di tutti gli strumenti meccanici necessari per la gestione di questa coltura sia in campo, che in fase di raccolta e post raccolta.

Questo il parco macchine in dotazione alla cooperativa:

RACCOLTA. Bine trailer: carro raccolta, agganciato alla trattrice, che taglia e raccoglie le liane di luppolo;

DEFOGLIAZIONE: Picking-machine: macchina stabile a terra che separa i coni del luppolo dalla pianta e trasforma i residui in piccole parti che si utilizzano come ammendante in campo.

ESSICCAZIONE. I fiori di luppolo fresco, se non venduti immediatamente, vendono essiccati ad una temperatura controllata

PRESSA. Il fiore essiccato viene pressato in balle standard di circa 70 chili.

PELLET. Data la criticità del processo di pellettizzazione si è scelto di esternalizzare questa attività presso un’azienda tedesca. Si è optato per il soft pellet, più morbido di quello tradizionale.


Contratti di filiera sul fiore fresco

Le 4 aziende coltivano varietà di qualità, capaci di svilupare un alto tenore in alfa acidi come Chinnok, Cascade, Centennial, Nugget, più altre varietà in fase di test. «Siamo una realtà agricola – sottolinea Nati – e il nostro obiettivo non è quello di commercializzare diverse tipologie di luppolo, bensì di stabilire solide partnership focalizzate su progetti di qualità su varietà specifiche».

Come il contratto di filiera che lega questa realtà con il birrificio Amarcord, consentendo di valorizzare l’alta aromaticità dei coni freschi di luppolo, ma non tutta la produzione segue questa strada. Una parte dei fiori viene essiccata a temperatura controllata e pressata in balle. Una parte viene invece proposta come soft pellet (un processo esternalizzato). «Un prodotto che rispetto al pellet tradizionale consente una migliore diluizione del processo di birrificazione sia che il prodotto venga utilizzato in cottura che in “dry hopping”».

Un punto di riferimento per i birrifici artigianali

La commercializzazione di questi ultimi prodotti è affidata a Italian Hops Company, l’azienda modenese (con sede a Marano sul Panaro), nata nel 2014 come spin off del primo progetto di ricerca per la reintroduzione del luppolo in Italia, guidato dall’Università di Parma . «Dal primo campo sperimentale – spiega Eugenio Pellicciari, giovane imprenditore fondatore di questa realtà – la situazione si è piuttosto evoluta, consentendo alla provincia di Modena di diventare un punto di riferimento per la coltivazione di varietà di luppolo internazionali e anche autoctone».

Luppolo “made in Romagna” per birre che giocano la carta della tipicità - Ultima modifica: 2020-05-27T00:24:49+02:00 da Lorenzo Tosi

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