Le piante biocide (rafano, senape e Brassica juncea) e la facelia (Phacelia tanacetifolia) costituiscono una nuova frontiera per la difesa sostenibile anche del pomodoro da industria. Lo testimonia il loro crescente utilizzo da parte di aziende agricole foggiane, come dichiara Fernando Di Chio, agronomo coordinatore Sud Italia per Sis (Società Italiana Sementi).
«Senape e rafano sono efficaci contro i nematodi galligeni, che attaccano l’apparato radicale del pomodoro soprattutto nei terreni sabbiosi e nelle zone costiere. B. juncea è meno efficace verso i nematodi ma è molto attiva contro funghi patogeni dell’apparato radicale, come Pythium e altri. Tutte e tre queste specie, che al Sud vanno seminate a ottobre, singolarmente o in miscuglio, e sfalciate e trinciate a marzo, subito prima del trapianto del pomodoro, hanno azione biofumigante e quindi disinfettante del terreno: infatti liberano i glucosinolati, composti che manifestano un’elevata azione biocida (fungicida, battericida e nematocida) nel suolo. Inoltre, queste piante, sovesciate, garantiscono un ottimo apporto di massa verde, quindi di sostanza organica, che si degrada rapidamente aumentando il contenuto in humus del terreno. In particolare la B. juncea, alta 2 m, apporta circa 1.000 q/ha di massa verde, con un costo per l’agricoltore solo di circa 100-110 euro per l’acquisto di 10 kg di semi per ettaro».
“Diserbo” naturale
Ma queste piante biocide manifestano anche altri effetti positivi sul terreno e quindi sulla coltura del pomodoro da industria. «In primo luogo sembrano esercitare un effetto repellente verso i ferretti, dannose larve dei coleotteri della famiglia degli elateridi, che ho riscontrato in alcune prove di campo condivise con Pellegrino Riccio, tecnico dell’Op Futuragri di Foggia. Inoltre, grazie all’apparato radicale fascicolato, lasciano il terreno poroso, soffice, ben aerato, in ottime condizioni per la lavorazione pre-trapianto. Infine lo sfalcio effettuato prima della fioritura consente di controllare la presenza di erbe infestanti e in particolare di quelle resistenti, come loietto (Lolium spp.) e cardo campestre (Cirsium arvense), prima che fioriscano e vadano a seme. Esattamente come si fa sfalciando nei tempi dovuti il foraggio».
Non è infine da trascurare, aggiunge Di Chio, l’effetto “mortificante” che le piante biocide sembrano avere su orobanche. «Questa è una pianta parassita sempre più temibile per il pomodoro da industria anche nell’areale foggiano. Ma la coltivazione di piante biocide prima del pomodoro, pur non impedendo l’emergenza dei turioni di orobanche, sembrano farli crescere stentati, sofferenti, più piccoli, tanto è vero che fioriscono prima e hanno vita più breve. Tale aspetto, però, è da approfondire ulteriormente».
Nettare al posto giusto
La facelia invece è una pianta nettarifera, e quindi mellifera, per l’elevata capacità di attrarre, oltre alle api, numerosi insetti pronubi. «Perciò – spiega Di Chio – si sta provando a seminarla sui bordi dei campi di pomodoro e utilizzarla come pianta trappola verso il tripide occidentale dei fiori (Frankliniella occidentalis), che assumendo il nettare dalle piante di facelia non si riversa su quelle di pomodoro, evitando di trasmettere il dannoso virus dell’avvizzimento maculato del pomodoro (TSWV). In tal senso Sis sta avviando una collaborazione con docenti universitari e tecnici per trovare la soluzione migliore nell’uso della facelia contro i tripidi del pomodoro, con la sua trasemina nei campi di pomodoro. L’impiego della facelia è, in sostanza, una tecnica sostenibile di controllo del tripide».
La difesa sostenibile garantita sia dalle piante biocide sia dalla facelia va promossa, conclude Di Chio, anche perché è in linea con la nuova Pac, che è molto più attenta alla difesa dell’ambiente. «Queste piante hanno una fioritura eccezionale, rispettano i pronubi, possono sostituire il sovescio del favino. Consentono una rotazione intelligente e conveniente».